Ok, ora è ufficiale: Dissonanze nel 2011 non si fa. Sarà curioso vedere le reazioni, adesso. Sarà curioso vedere come reagiranno quelli che si lamentavano del prezzo d’ingresso (che comunque era assolutamente in linea con quello di altri eventi europei, per non dire più basso). Sarà curioso vedere quanto saranno contenti quelli che non sopportavano più che Dissonanze si fosse dato, parole loro, al “commerciale” – ma gente per cui “commerciale” significava avere artisti come Sven Väth, Richie Hawtin, François Kevorkian, Chris Liebing, Dave Clarke, e il fastidio era dato più che altro dal dover stare fianco a fianco nella sala grande con migliaia di altre persone, perché a loro modo di vedere “…il vero Dissonanze è quello degli act sperimentali, del chiostro, degli eventi da poche centinaia di persone”. Sarà curioso vedere come la prenderanno quelli che non sopportavano che a Dissonanze ci fossero tante robe sperimentali-intellettuali-duemaroni, perché alla fine l’unica roba che diverte è la cassa in quattro quando regna in sala grande, tutti le mani al cielo, e il resto è solo stronzate da gente con la puzza sotto il naso. Se tutte queste persone saranno coerenti, ecco, sorrideranno soddisfatte, e spereranno che nel 2012 il festival non riprenda il suo abituale corso. Saranno contente che un festival che è, a seconda di come lo si guarda, troppo snob o troppo poco snob ora si prende una pausa. Anzi: ci libera della sua presenza.
Ci saranno però anche quelli che si diranno: ehi, accidenti, è un peccato. E penseranno: l’unico festival in Italia che metteva insieme sia ricerca in campo digitale che il trionfo delle grandi meravigliose messe techno per migliaia di persone, aggiungendo pure chicche assoluto di taglio non meramente area clubbing (da Gil Scott-Heron a Bat For Lashes, da Caribou agli Zu con Mike Patton, dai Battles ai Salem), nel 2011 non c’è. Club To Club a Torino sta crescendo, è vero, ma non è (ancora) la stessa cosa. La vera utopia di voler, anzi, di dover unire quantità e qualità trova una battuta d’arresto. Torna ad aprirsi il solco tra chi pensa che l’elettronica sia faccenda una per pochi eletti scippata da dinamiche commerciali e chi invece trova inutile seghe mentali da intellettuali stronzi attorcigliarsi con l’ascolto attorno a tutto ciò che non è minimal-tech-house. E magari ciascuno dei due partiti sarà più contento così.
E comunque: i soliti dietrologi diranno che l’edizione del 2010 è stata un flop (ma è un flop mettere in piedi un cartellone come quello? E’ un flop radunare comunque cifre a quattro zeri di spettatori?), notando magari che nella sera di Tiesto – giusto per fare un esempio – il Palazzo dei Congressi era molto più pieno (cosa che in effetti è vera). E diranno che sono finiti i soldi. E i dietrologi non vorranno sentire ragioni quando gli si spiegherà che comunque il Palazzo era prenotato anche per quest’anno, e che è stata una scelta precisa – non un’imposizione – quella di non dar vita al festival in questa annata. Le condizioni per farlo, Dissonanze, anche nel 2011, c’erano. Ma se alla fine la gente mette molta più passione nel criticare, nel fare la dietrologa e nel tentare di ottenere degli accrediti (sapeste le scene d’isteria che si scatenavano…) piuttosto che nell’ascoltare i set e nel capire il filo logico delle scelte artistiche così come la voglia di combinare i diversi aspetti dell’elettronica e dei suoi mondi paralleli, ecco, allora forse decidere di darci un momentaneo taglio è una faccenda che ha una sua ragion d’essere. E che dovrebbe spingere, tutti quanti, a trenta secondi di riflessione.