Sono passate ormai più di 24 ore dalla fine di questa seconda edizione italiana del celeberrimo Time Warp e i pensieri, le sensazioni, la fatica fisica e mentale stanno via via scemando lasciando posto al suono dei polpastrelli che picchiettano ritmicamente sulla tastiera del mio pc per raccogliere ciò che resta di quello che per me a livello mainstream si conferma essere quanto di meglio sia stato organizzato in terra italica negli ultimi anni, anche seppur non esente da qualche piccolo difetto, sicuramente rivedibile nella prossima annata perchè sì, credo che l’Italia si sia guadagnata almeno un’altro Time Warp, o almeno questo è ciò si augurano tutti quelli che ne hanno potuto essere parte.
Ma partiamo con ordine parlando dell’arrivo al festival, dove nei parcheggi si respirava una forte atmosfera di smarrimento; orde di clubbers disperati che giravano a destra e a manca in cerca dell’entrata per la quale però non c’era nessuna indicazione e considerato che l’area dei padiglioni che ospitava l’evento era stata spostata rispetto all’anno scorso risultava abbastanza paradossale che non ci fosse nessuno ad incanalare le persone verso l’ingresso corretto. Arrivati finalmente davanti all’ingresso ci troviamo alla prese con una fila abbastanza lunga ma tutto sommato ben gestita e scorrevole che ci porta a un pre-filtraggio con blanda perquisizione. Entrati nel cortile ci controllano i biglietti e siamo dentro in pochi secondi, anche qui ci accorgiamo che non c’è un’indicazione che sia una sul dove sono ubicate le varie aree e nemmeno fuori dai padiglioni è scritto il numero della sala quindi chi non è fornito di piantina dell’evento (che ancora ora non ho capito dove distribuivano) si ritrova ad errare disperato in ogni hangar cercando di riconoscere da lontano il dj che sta suonando per capire in che sala sia finito. Questa pecca la ritengo l’unico vero problema riscontrato nell’organizzazione della serata ma devo dire che era ovviabile già dopo il primo giro di ricognizione una volta capito come era posizionato il tutto. Lo spazio utilizzato per gestire l’evento era a dir poco ENORME, probabilmente molto più grande della MaimarktHalle di Mannheim e delle varie arene olandesi che hanno ospitato le altre edizioni e questo aspetto aveva dalla sua il fatto di offrire in qualsiasi momento la possibilità di godersi la musica senza caldo torrido o sgomitamenti vari (salvo volendo stare proprio sotto la consolle), stessa cosa per quanto riguarda i bar, i bagni e le aree di ristoro, numerosissimi e gestiti abbastanza bene. Di contro il rischio era che con tutto questo spazio a disposizione il tutto risultasse un po’ dispersivo, ma devo dire che visto il tipo di clientela presente ha invece reso l’esperienza decisamente migliore evitando magari che nella ressa a qualcuno saltassero i nervi con relative spiacevoli conseguenze. E proprio collegandomi a questo argomento devo dire che per la seconda volta consecutiva il popolo italiano ha risposto in maniera più che dignitosa alla chiamata, sia per la presenza (biglietti staccati secondo me ben superiori a quelli dell’anno scorso, visto anche l’aumento delle sale) sia per il comportamento generale e visto che nel clubbing si fa un gran parlar male degli italiani (spesso purtroppo azzeccandoci) questa volta mi fa molto piacere sottolineare di non aver visto nemmeno una rissa e soprattutto di aver incontrato tanti ragazzi stranieri ben amalgamati nella folla e felici come una Pasqua di far festa insieme a noi, cosa che purtroppo non sempre mi è capitato di percepire in questi anni.
Per ciò che concerne il lato scenografico della festa posso invece dire di essere rimasto soddisfatto a metà, non perchè ci fosse qualcosa di sbagliato o non all’altezza, anzi, ma non posso fare a meno di pensare che alcune delle idee già testate nelle precedenti edizioni estere non siano state sfruttate a dovere in questa. Per fare un esempio, quando ero entrato nella “Grotta” il marzo scorso a Mannheim ero rimasto davvero senza parole, l’impatto visivo era notevolissimo in quanto i teli appesi al soffitto occupavano l’intero padiglione che ospitava l’area mentre questa volta il fatto che la sala fosse piazzata nel mezzo di un Hangar gigantesco rendeva il tutto più, come dire, in miniatura, e quindi il risultato non poteva necessariamente essere prorompente come il suo corrispettivo teutonico. Stesso discorso per lo stage con il 3D Visual Mapping, sicuramente bellissimo ma non capisco come mai non sia più stata sfruttata l’idea di proiettare su dei cubi giganti appesi dietro alla consolle come alla Brabanthalle di Den Bosch lo scorso anno nell’edizione olandese, era secondo me molto più di impatto rispetto a quanto visto stavolta, anche se questa è una peculiarità mia che non sono di certo un VJ, magari i ragazzi di Cosmopop avranno avuto altre esigenze e chi sono io per contraddirli?
L’offerta musicale invece era davvero notevole e la timetable è stata studiata in maniera intelligente in modo che anche gli utenti particolarmente “ingordi” riuscissero a dedicare almeno un’oretta a quasi tutti i big presenti. Se posso fare un appunto l’unica scelta che mi ha lasciato un po’ perplesso è stata quella di Richie Hawtin a chiudere dopo Chris Liebing nella sala 1, non che il biondino canadese non ne sia all’altezza ma vista la sua tangibile parabola discendente a livello di suoni degli ultimi anni è impensabile di piazzarlo a mettere “minimal” dopo 3 ore di cannonate made in CLR, forse sarebbe stato meglio invertirlo con Carl Cox e farlo suonare dopo Sven Vath con cui già quest’estate aveva condiviso il palco sia all’Amnesia che allo Space di Ibiza regalando 2 dei set più energetici dell’intera estate balearica.
Personalmente a livello di esperienza musicale seppur non avendo sentito niente per cui strapparmi i capelli o che portasse qualcosa di radicalmente nuovo nel mio bagaglio personale, devo ammettere di essermi sentito molto coinvolto dall’atmosfera che si viveva, dalla potenza degli ottimi impianti, dalle tante ragazze presenti, da tutto ciò che mi circondava per l’intera durata della festa. Ho sentito un gran dj set dei Pan-Pot che hanno confermato le impressioni positive avute a Mannheim, ho davvero apprezzato il live dei Premiesku firmato dai sempreverdi Livio & Roby in collaborazione con George G. e poi mi sono immerso in un tour de force di 6 ore nelle quali ho sentito tutti e 6 gli headliners del festival che erano stati divisi per 3 ore a testa nelle tre sale principali. Ho voluto essere democratico e concedere un’ora a tutti per par condicio ed ecco il risultato: ho iniziato con il buon Loco Dice che ho trovato rispetto all’ultima volta che l’ho sentito quest’estate ad Ibiza meno mentale e molto più concreto, come del resto la platea italiana richiede di essere, soprattutto in eventi così grandi. Ha seguito a ruota un prepotente, immenso, straordinario Chris Liebing, davvero non so come altro descrivere il set del tedesco la cui testa fa costantemente su e giù come a voler scandire il ritmo dei salti alti 1 metro e mezzo che chi gli sta davanti perpetua ad ogni sua ripartenza. Avrei voluto poter rimanere lì sotto più del programmato e ne sarebbe valsa assolutamente la pena, ma se c’è una cosa che questi anni di clubbing mi hanno insegnato è che nonostante dopo tanti anni di cartucce da sparare ne abbia ancora poche, in qualunque Time Warp non ci si deve mai e dico MAI perdere l’ultima ora di Sven Vath, del resto è il padrone di casa e non vuole fare di certo brutta figura.
Quando arrivo da lui il Re è già sul suo trono, coi suoi fedeli sudditi ai piedi adoranti e bisognosi di un po’ di quel groove che solo 30 anni di esperienza dietro la consolle ti possono donare. E come previsto, come era ovvio che fosse, Sven non delude le aspettative proponendo un set carichissimo ed inaspettatamente più techno del solito, abbinando bassi cupi a lunghi intervalli di pad. In chiusura inaspettatamente si trasforma per un quarto d’ora in Luciano e butta sul piatto in sequenza Whitney Houston, gli Stardust (che dio li benedica) e Michel Cleis mentre una montagna color ebano si fa spazio alle sue spalle, si affaccia in consolle ed è un boato paragonabile ad un gol a S.Siro. Carl Cox in in da house babe! Lasciatemelo dire, vedere due persone come Sven e Carl, con 30 anni a testa di djing sulle spalle, ballare insieme e divertirsi ancora come ragazzini è qualcosa che dovrebbe dare l’idea di quanto rispetto meritino persone come queste, che sono sempre stati innanzitutto dj e poi tutto il resto, gente a cui piace davvero “sentire” la pista piuttosto che tenere la testa bassa su un pc e sbattersene di chi c’è davanti.
Come se nulla fosse il ragazzone made in UK prende le redini della Sala 2 e inizia il suo show col canonico “Aw Yes Aw Yes Aw Yes” che scandisce l’inizio di un’ora fantastica; la sua è una Tech House ordinaria ma che non stanca mai, coinvolgente ed energica senza sperimentazioni particolari ma come diceva il profeta Aiazzone “Provare per credere” ed io ogni volta che ho provato con Carl non sono mai rimasto deluso. Restano 2 ore e due artisti, decido di andare a sentire prima Marco Carola, che ultimamente non mi ha mai emozionato molto ma che l’anno scorso al Time Warp olandese aveva fatto 2 ore stratosferiche in chiusura. Lo trovo inizialmente un po’ moscio ma devo ammettere che mi farà ricredere molto in fretta; seppur non sui suoi livelli migliori e considerato che arriva dalla serata Music On con annesso after alla Plage ad Ibiza devo dire che il suo set è molto valido, la sala è affollata e festante e dopo essermi goduto la performance del napoletano mi affaccio all’ultima ora di festa col sorriso sulle labbra e le gambe (seppur abbastanza doloranti) ancora volenterose di muoversi.
Mi fiondo da Richie Hawtin, pensando “di sicuro dopo Chris Liebing non potrà deludermi, che sia la volta buona che sentirò il vecchio Richie di qualche anno fa?” Entro nella sala e a malapena sento la musica, ritmi blandissimi e solita minimal né carne né pesce che caratterizzano da almeno 2-3 anni qualunque set di qualunque Time Warp gli abbia sentito fare. Come è possibile suonare questo tipo di musica alle 6 del mattino nella sala dove c’era techno con la T maiuscola fino a 2 ore prima? Non a caso molti (compreso me) decidono di spostarsi nuovamente nelle altre sale e chiudere la serata ai ritmi che le prime luci del giorno si meritano. Mi riferiranno poi che l’ultima mezz’ora del canadese è stata più carica ma io sto cominciando a perdere la pazienza. Nei prossimi giorni dovrò sentirlo altre 3 volte fra Manchester e Ibiza, spero con tutto il cuore che si riveli musicalmente più carico o almeno più vario altrimenti difficilmente mi vedrà ancora, il credito non può essere infinito.
Una volta concluso il festival ordinatamente la gente esce, si raccolgono da terra gli “esausti” e dopo una notte di bagordi e buona musica ci si avvia verso la vicina metropolitana o verso la zona dei pullman per tornare ognuno a casa propria. Qualche temerario si recherà all’after, io non ho più le gambe e sinceramente ne posso fare a meno per questa volta.
Che dire, l’esperienza anche quest’anno è stata certamente notevole. Nel mio articolo di presentazione dicevo che ci si attendeva delle conferme e credo che queste siano arrivate. L’offerta è cresciuta, la domanda si è adeguata, la festa è riuscita. Certo, ci saranno senza dubbio da limare alcuni particolari come in qualunque festa di un certo livello, ma quel che è certo è che le basi per dare una concreta continuità a questo evento nostrano sono state messe e dopo questa seconda edizione sono state rinforzate ulteriormente. Come già scritto rispetto all’anno passato ho notato soprattutto molti più visitatori stranieri, sintomo del fatto che questo evento non viene visto da fuori come un recinto per “ghettizzare” gli italiani cattivi e maleducati ma inizia (anche sicuramente grazie al marchio che si porta dietro) ad essere visto globalmente come un qualcosa di cui vale la pena essere parte e questo al nostro panorama nazionale non può far altro che bene.
Ci vediamo l’anno prossimo, o almeno speriamo!