Quando si è trattato di parlar “male” delle discoteche, dell’incapacità del settore di unirsi, farsi rappresentare in maniera efficace, elaborare strategie comuni, non ci siamo certo tirati indietro, da queste parti. Eppure, nonostante tutto, ad oggi siamo arrivati ad una situazione paradossale: la maledette, gaglioffe, disorganizzatissime discoteche e tutto il mondo del ballo stanno riaprendo, sì, stanno ripartendo, stanno tornando a lavorare a ritmi quasi normali (…anche perché ‘sta faccenda della “capienza al 50%” non la stanno prendendo sul serio in molti). Chi invece, un po’ per scelta un po’ per mancanza di alternative perché troppo soggetto a controlli, ha rispettato sempre al millimetro tutte le limitazioni imposte da due anni a questa parte, ovvero il mondo della musica live con gli spettatori non seduti, è ancora fermo al palo.
O meglio: è in una situazione forse ancora peggiore dell’essere fermi al palo. E’ cioè in una situazione praticamente kafkiana, la della musica dal vivo con la gente-in-piedi: non è chiaro come stiano le cose, c’è una specie di “bolla d’aria” legislativa per cui non è chiaro cosa sia concesso cosa no. Il che si traduce solo in una cosa: ricattabilità totale. Così totale da renderti impossibile di lavorare seriamente. Non sai cosa puoi fare cosa no, concretamente; e, di conseguenza, non puoi creare un business plan serio. Rischi di fare le cose in un un certo modo (contare cioè su un certo tipo di capienza – che decidi tu – e su un certo tipo di introiti magari non solo dalla vendita dei biglietti alla porta), ma la verità è che anche a cinque minuti dall’apertura delle porte potrebbe arrivare qualche forza di sicurezza pubblica o qualche ente amministrativo a dirti “Eh no, non si può fare, ferma tutto, non si apre, non si suona”.
Non ci credete? Vi pare fantascientifico e troppo allarmistico/pessimistico?
Dovete sapere che già prima la musica dal vivo viveva su equilibri ogni tanto stranissimi. Aneddoto personale: quando lavoravo all’organizzazione di concerti, seguendo anche buona parte della permessistica necessaria, mi ero trovato a dover sbrigare le pratiche per un concerto che si sarebbe svolto la domenica, in una venue dove in pratica si tengono cinque concerti alla settimana, in regime normale. Eppure, anche se la venue in questione è collaudatissima per i live, quando si lavora da lei ogni volta bisogna fare richiesta di un permesso speciale in Comune, controfirmato da un geometra/ingegnere che, a strutture montate, vieni a dare l’ok su quanto è stato approntato. Ora: come dicevamo, il concerto era di domenica. Ok? Come ovvio, le strutture per svolgerlo (palco, luci, impianti di amplificazione) sarebbero state montate il giorno stesso, a poche ore dall’inizio del concerto (il gruppo era in tour, quindi il giorno prima era da tutt’altra parte). Come fare col permesso controfirmato dal geometra/ingegnere? Senza di quello, in teoria, il concerto non si poteva svolgere. Nessun problema a darlo: solo che per ovvi motivi, il permesso suddetto si poteva consegnare solo di domenica. Gli uffici comunali preposti chiudevano il venerdì. Per riaprire il lunedì.
Il concerto poi si è fatto. Dopo dieci minuti di smarrimento degli impiegati comunali posti di fronte a questo problema (che avevano anche azzardato un iniziale “Eh ma allora il concerto non si può fare!”, teneramente; ma quando gli ho risposto con la massima calma e cordialità “Va benissimo. Però comunicate voi i motivi dell’annullamente, firmandovi coi vostri nominativi, alle quasi duemila persone che hanno già comprato il biglietto in prevendita” hanno battuto in ritirata), dicevamo, dopo dieci minuti di contrattazioni si è giunti ad un accordo di buon senso: “Facciamo allora che mandate il permesso firmato dal geometra via fax domenica” – sia mai che si potesse usare la mail!, e parliamo di una cosa successa sei anni fa, non sessanta – “e poi noi lunedì controlliamo sia tutto ok”. Va bene, me lo dichiarate per iscritto? “No, non serve, e poi non possiamo”. Ah.
Il concerto è andato poi benissimo, ma: se fosse successo qualcosa il giorno del concerto? Qualcosa anche solo da imputare alla sfiga ed all’imprevedibile fato? Di chi sarebbe stata la responsabilità? Su chi sarebbe stata rovesciata? Una cosa posso solo dire: il sottoscritto e i suoi colleghi, come organizzatori, avevano fatto tutto a modo. Ed erano pronti a fare qualsiasi cosa per ottemperare tutti gli obblighi di legge previsti. Però secondo le leggi della burocrazia italiana, e la sua arretratezza tecnologica fino a solo pochi anni fa (almeno le cose stanno infatti pian piano migliorando…), ti ponevi comunque nella condizione di agire fuori legge, o in una zona grigia in cui se tutto va bene non ci sono problemi, ma se tutto va male è colpa tua – anche se non è colpa tua.
Gli esempi in tal senso potrebbero essere mille. A partire dall’annoso problema delle capienze legali che in Italia sono ridicole, ma talmente ridicole che non vengono prese per buone nemmeno dalla Siae (spesso infatti le capienze ammesse in sede di permesso Siae sono il doppio o il triplo rispetto alle capienze legali dei locali: e si è talmente consapevoli della inevitabilità della cosa che i controlli incrociati, che smaschererebbero il tutto in un secondo, non partono praticamente mai, con buona pace di tutti). Insomma, se nelle discoteche si infrangono le leggi e le capienze alla grande, negli anni anche in maniera decisamente intenzionale pur di fatturare molto di più, nel campo della musica live “in piedi” si finisce comunque molto facilmente in stagni di illegalità, anche a voler fare le cose un po’ più a modo, sempre però cercando di stare sul mercato. Perché di mercato si tratta: non siamo mica come le fondazioni liriche, che possono permettersi di operare perdendo milioni, pardon, decine di milioni di euro all’anno, tanto poi le istituzioni e/o il “salotto buono” ripaga & ripiana.
Mediamente, è un settore molto responsabile quello della musica live in Italia. Vessato da mille leggi e leggine, da infiniti regolamenti e da una permessistica quasi babilonese nella mole, tende comunque a comportarsi bene e a fare tutto a modo. Anche perché è parecchio controllato. E tutto questo nonostante non sia praticamente mai aiutato da nessun tipo di agevolazione, zero spaccato.
E qua arriviamo al punto. L’impressione è che, fra chi in Italia ci amministra, sia diffusa una convinzione per cui le discoteche e il ballo siano una bolla di (mezza) illegalità quasi inevitabile, dove in effetti ci si raduna non per il ballo ma proprio per lo sballo, la movida senza senso e senza causa, e insomma, “Lasciamoli sfogare questi qui che proprio si sentono di dover uscire la notte, diamogli una valvola, si sa che è gente di merda o che comunque la notte vuole comportarsi di merda”. I concerti invece no. I concerti sono concettualmente imparentati con attività rispettabili: il cinema, il teatro, la musica classica. Infatti guarda caso il teatro è bellamente già tornato al 100% di capienza (mi è capitato di vedere Valerio Lundini all’Arcimboldi, a Milano, un paio di settimane fa, e ritrovarsi in una sala esaurita fino all’ultimo posto ha dato una sensazione quasi surreale). Però se un concerto viene fruito “in piedi”, ovvero con una modalità da giovinastri, da rockettari, da drogati, da capelloni (perché sì, si ragiona ancora così, purtroppo), allora quasi tutto l’alone di rispettabilità attorno alla parola “concerto” viene a cadere miseramente. Quasi tutto, attenzione, non tutto, eh no: perché almeno se venisse a cadere tutto, ‘sto alone, anche i concerti-in-piedi verrebbero visti come uno sfogatoio che è impossibile da controllare, come le discoteche e il ballo, e quindi magari un 50% si ammollava pure a loro, con ovviamente la possibilità di rifornirsi al bar – perché figurati se non bevi come uno sciamannato se già vai a fare una cosa disdicevole come ballare, teppista che non sei altro. Invece no: i concerti in piedi, che sono un’altra cosa rispetto alla discoteca, si sono visti ad un certo punto vietare la somministrazione di bibite durante l’evento. Sulla base di cosa, boh. Abbiamo un sospetto: sulla base del “…e poi bevono, e diventano incontrollabili, si assembrano, danno vita e contatti promiscui: sia mai”. L’idea che un concerto dei Tortoise – tanto per fare un nome a caso – diventi una Sodoma e Gomorra di gente che si avvinghia tra loro solo perché ti bevi una birretta a metà live, ecco, fa abbastanza ridere, mettiamola così.
Sì, mettiamola così.
Nel momento in cui l’Italia inizia veramente a rompersi le scatole delle restrizioni, dato che – anche a fronte di quello che sta succedendo all’estero – sono sempre più percepite come ormai esagerate ed inspiegabilmente vessatorie, si è capito che era arrivato il momento di allentare un po’, tanto da far riaprire perfino quel disdicevole “pisciatoio sociale” (in che altro modo definirlo, vero Ministro, sei d’accordo con noi?) che sono i posti dove si balla, almeno quelli propriamente detti: tanto si sa che sono delle fogne antropologiche, via. Diamogli il contentino, con ‘sto 50% che in fondo sappiamo nessuno rispetterà davvero.
Nell’opinione pubblica, fra i media, nelle dichiarazioni dei politici, al momento di parlare di riaperture si è sempre e solo parlato delle discoteche, dando loro un ruolo ed una rilevanza centrale che non hanno più almeno dagli anni ’90: diciamolo senza paura, questo
Coi concerti-in-piedi si è rimasti invece a metà del guado, visto non è chiaro se sono “pisciatoio” o “rispettabile attività culturale”. Non si sa cosa fare, non viene detto cosa fare; ad oggi ancora c’è una zona legislativa completamente grigia in cui forse bastano dei permessi locali (comunali? Regionali? Venusiani?), forse no, forse chissà, forse vaffanculo a soreta. Come cazzo si fa a lavorare così? Ma evidentemente per Franceschini e, a cascata, per tutto il resto del nostro Governo – ma diremmo anche del nostro Parlamento – questo non è un problema particolare: si può tranquillamente lasciare a bagnomaria un intero settore ed un intero comparto culturale, dato che in fondo è “culturale sì, ma fino ad un certo punto”. Solo così infatti si spiega il silenzio da sfinge franceschiniano degli ultimi tempi. Ma che poi, come dare torto al caro Dario? Nell’opinione pubblica, fra i media, nelle dichiarazioni dei politici, al momento di parlare di riaperture si è sempre e solo parlato delle discoteche, dando loro un ruolo ed una rilevanza centrale che non hanno più almeno dagli anni ’90: diciamolo senza paura, questo. Le discoteche sono state sovrarappresentate, nel dibattito pubblico attorno alle riaperture. Come si parlava di loro, e se ne è parlato parecchio nei giorni pre 11 febbraio, in teoria si doveva parlare anche dei concerti. E intendiamo: i concerti con la gente in piedi.
Non è stato fatto.
Perché?
Una prima risposta ve l’abbiamo già data: per questa drammatica miopia+presbitismo culturale che impedisce di mettere a fuoco l’importanza del mondo dei concerti non jazz e non classici. Una seconda risposta va invece nel fatto che, esattamente come nel clubbing, non si è stati in grado di unirsi e di parlare con una voce sola (il lascito più grande e livello di lobbying e provvedimenti della principale associazione di settore, Assomusica, è stato fare un gigafavore alle multinazionali del ticketing e del booking; ma anche le sigle più piccole ed indie-alternative, a furia di sentirsi migliori, si sono forse dimenticate di sporcarsi le mani e di provare ad essere influenti per davvero, non solo su Facebook, Instagram e su Rockit, con tutto l’amore per Rockit). Insomma, si poteva fare di più e si poteva fare di meglio. Negarlo è negare l’evidenza, e dirlo non è un modo per sputtanare chi invece ha impiegato tempo, fatica, sudore, conoscenze e sforzi per ottenere qualcosa, perché di persone così ce ne sono tante. Ma se il mondo delle discoteche e del clubbing va criticato, e l’abbiamo fatto senza sconti, ci pare corretto avere lo stesso peso e la stessa misura col mondo della musica live: come pungolo per migliorare, sì. Non per metterci su un piedistallo, chi cazzo se ne frega di un piedistallo.
Brilla anche il silenzio di chi è andato a Sanremo. Qualcosa ha detto Cosmo, qualcosa ha fatto La Rappresentante di Lista, Dargen è l’unico che ha affrontato il tema nel brano in gara (ma anche lui, più orientato al ballo che altro come immaginario, per quanto non sia un dj), forse qualcuno altro ha fatto qualcosa e ci è sfuggito o non l’abbiamo notato, ma pareva quasi che nel magico mondo dorato di Sanremo – popolare come non mai nel 2022, lo confermano tutte le numeriche – ci fosse una clausola segreta fatta firmare per cui un certo tipo di argomento era intoccabile ed inaffrontabile, pena la squalifica e la sodomia forzata sei metri sottoterra, o direttamente la damnatio memoriae con effetto immediato.
La gente ha fame di concerti, così come ha voglia di ballare. Ancora: la gente ha dimostrato di amare i concerti tantissimo, e negli ultimi due decenni anzi il settore del ballo è andato via via sempre più in flessione, con l’esplosione invece di quello dei concerti-in-piedi. Figuriamoci. Ma se questo è il modo in cui il mondo dei concerti-in-piedi sa difendere se stesso, beh, faccia attenzione: le cose potrebbero peggiorare progressivamente, in un futuro nemmeno lontano. Lo sappiamo che segretamente artisti di successo e loro management pensano che se perdi qualcosa dai live, alla fine comunque guadagnerai in sponsor, accordi commerciali coi brand, comparsate in eventi di gala (esattamente come quando è morta la discografia, i proventi da vendita dei dischi, ci si è detti “Massì, ma tanto stiamo recuperando col live quello che abbiamo perso lì, guarda i cachet come riusciamo a farli raddoppiare di anno in anno”). Proprio però come insegna il calcio, a furia di avere stadi vuoti cala anche l’interesse delle persone da casa. DAZN e Tim si stanno sotterraneamente azzuffando fra di loro perché gli accordi che si erano fatti sulla trasmissione della Serie A erano basati su calcoli che si sono dimostrati clamorosamente irrealistici, sovrastimati. Se parte dell’Italia inizia a poter fare a meno del calcio, prima o poi potrebbe anche fare a meno della musica e dei musicisti.
Rimettere in piedi un circuito live forte, organico, rilevante socialmente anche agli occhi della politica, con sostegno sia per i pesci grossi che per le attività più di base, è una necessità fondamentale. Se non volete farlo per la cultura e il senso di socialità collettivo, fatelo almeno per i vostri portafogli.
E noi, noi spettatori, noi amanti della musica e delle emozioni ed esperienze che essa ci regala, facciamoci sentire un po’, facciamoci sentire un po’ di più.