Vent’anni non sono solo un anniversario: sono una distanza sufficiente per vedere un’idea diventare realtà, e una realtà trasformarsi in cultura. Quando nel 2005 Cristian Adamo fonda Vinilificio, il vinile è un formato marginale, relegato a una nicchia di collezionisti o appassionati irriducibili. L’industria musicale è altrove: l’MP3 è già ovunque, lo streaming muove i primi passi e la maggior parte delle stamperie ha chiuso o lavora con macchinari risalenti agli anni Ottanta. In questo contesto, apparentemente ostile, Cristian sceglie di andare controcorrente: non solo continua a credere nel vinile, ma decide di reinventarlo da zero.
La sua intuizione è duplice: da un lato, la possibilità di incidere file digitali su microsolco in copia unica e personalizzata, aprendo un campo fino ad allora inesplorato; dall’altro, l’idea che il supporto fisico potesse restituire significato all’esperienza musicale, sottraendola alla frenesia digitale e riportandola a una dimensione più intenzionale e consapevole. Il tutto partendo da un garage condiviso con un’officina di restauro Vespe sull’Appennino bolognese.
Da allora, Vinilificio ha inciso dischi customizzati in singola copia, in piccole tirature e, grazie alla partnership con la stamperia tedesca Rand Muzik anche su larga scala, per dj, producer, etichette indipendenti, aziende di moda, agenzie di marketing, artisti visivi, collezionisti e innamorati. Ha attraversato l’evoluzione tecnica del settore, la crisi delle materie prime, il ritorno dell’interesse verso il formato da parte delle major, la trasformazione del modo in cui fruiamo la musica. Eppure è rimasto fedele a una visione precisa: il disco non come feticcio nostalgico, ma come oggetto pieno, capace di restituire alla musica spazio, attenzione, intensità. In altre parole, la volontà di darle forma e peso.
Oggi che Vinilificio compie vent’anni, abbiamo ripercorso insieme a Cristian la storia di questo laboratorio unico e le circostanze che ne hanno segnato l’avvio, arrivando a toccare anche i tanti mondi che il suo ideatore ha attraversato nel corso del tempo: la radiofonia, con il programma Lains for Lions, prima sulle frequenze della compianta Radio Città del Capo e oggi in streaming su NEU Radio, l’organizzazione di eventi e dj battles come l’ITF e l’IDA, il lavoro di promoter, booking agent e tour manager, fino alla nascita dell’etichetta Original Cultures, progetto che intreccia musica e arti visive per connettere culture lontane attraverso dischi, eventi e collaborazioni che raccontano una ricerca indipendente, consapevole e libera da logiche commerciali.
Cristian, innanzitutto congratulazioni per questi primi 20 anni di Vinilificio.
Sì, è incredibile, Vinilificio ha compiuto vent’anni e ancora stento a crederci!
Partiamo dall’inizio. Qual è stato il primo vinile che hai avuto fra le mani e quando hai cominciato a sentire un legame con questo tipo di oggetto e di ascolto?
Diciamo che appartengo a quella generazione in cui i giradischi, come del resto la televisione, erano parte integrante dell’arredamento in quasi ogni casa italiana. Per ascoltare musica bisognava avere vinili, cassette o la radio. Erano semplicemente i mezzi disponibili all’epoca. In casa, i miei ascoltavano parecchia musica, mio padre suonava il basso e la chitarra. Era un ambiente stimolante, musicalmente parlando. I primi dischi che mi sono capitati a mano erano i 7 pollici dei miei genitori che ascoltavo con il mangiadischi. Ricordo su tutti Shaft di Isaac Hayes, Starman di Bowie, La notte di Adamo Salvatore, Sitting on the Dock of the Bay di Otis Redding. Avevo anche dischi miei di cartoni animati e trasmissioni televisive: Goldrake, Jeeg, Heidi, Johnny Bassotto, La Tartaruga, e poi le favole, sempre su 7 pollici. Tutti dischi che ascoltavo in loop, costantemente. Poi, credo più o meno alle elementari, ho avuto accesso anche agli LP dei miei, grandi classici come i Beatles, Lucio Battisti, Paul McCartney, Jobim, Porgy and Bess di Gershwin, Louis Armstrong, Led Zeppelin, Frank Zappa.
E il primo disco acquistato da te, da adulto?
Il mio primo disco da “grande”, a nove anni, è stato Just An Illusion degli Imagination. Ma ascoltavo anche tantissime cassette, originali e soprattutto copiate. Veramente tantissime, molte centinaia. Se devo essere sincero forse sono state le cassette copiate il vero vaso di Pandora della mia infanzia e adolescenza, dove ho letteralmente scoperto tantissima musica a me sconosciuta”.
Cristian Adamo nel suo elemento

Poi sono passati decenni e per tutti noi mangiacassette e giradischi erano diventati lontani ricordi di infanzia ed adolescenza. Com’è maturata l’idea di dare vita a Vinilificio in un momento in cui il vinile sembrava ormai fuori gioco?
Sì, è vero, quando ho aperto Vinilificio, il vinile era ufficialmente dato per morto e sepolto. Non si producevano quasi più vinili. Come dicevi, per molti anni ho lavorato come promoter di concerti, booking agent e tour manager e nel febbraio del ’97 organizzai un piccolo tour degli Invisibl Skratch Piklz (Qbert, Shortkut e Mix Master Mike): Milano, Napoli, Bologna. Furono tre date epocali, soprattutto quella di Zona Dopa al Livello 57. Fu un momento spartiacque. Quando capii che il giradischi poteva essere usato come un vero e proprio strumento musicale e che quello a cui avevamo assistito avrebbe cambiato la vita di molte persone. Qualche mese dopo, sempre in Zona Dopa, nel novembre del 1997, organizzai la prima dj battle ITF (International Turntablist Federation) in Italia, invitando come giuria i leggendari Beat Junkies: Dj Babu, Rhettmatic, J Rocc, Shortkut.
Invisible Skratch Piklz – dal vivo a Bologna in Zona Dopa nel 1997
Parliamo di quasi 30 anni fa… quale fu la risposta del pubblico?
Come avvenne con gli ISP anche l’ITF fu un successo enorme. Cominciai a lavorare a tempo pieno sul turntablism e con i turntablist. Per capirci, in quegli anni le dj battle erano veri e propri eventi a cui partecipavano non meno di mille persone. C’era molto interesse e molto fermento creativo. I turntablist e i battle dj’s usavano dischi prodotti appositamente per loro: i battle breaks e i dj tools. Con il tempo però i turntablist iniziarono a sentire la necessità di creare musica originale con dischi personalizzati, campioni, breaks ed effetti… E, non bisogna dimenticarlo, la musica in digitale come la conosciamo oggi non esisteva: niente Serato, niente Traktor, niente controller. Così dalla fine degli anni ‘90 cominciai a cercare una tecnologia che permettesse di incidere dischi in singola copia. Una ricerca che durò qualche anno, fino a quando nell’autunno del 2004, ad una finale europea ITF a Stoccarda ebbi la fortuna di incontrare Ulrich Sourisseau, che pochi mesi prima aveva cominciato a produrre il VinylRecorder (e per chi non conoscesse Sourisseau e il suo VinylRecorder eccoli qui raccontati in breve da Kid Koala ndr)
Le finali ITF del 1997 a Bologna con l’esibizione completa dei Beat Junkies
Un incontro decisivo.
Esatto, l’anno seguente in un garage condiviso con un’officina di restauro Vespe sui primi Appennini bolognesi nasceva Vinilificio. I primi dischi li abbiamo incisi io e Dj T-Robb. Mentre il nome è nato per caso, in macchina, durante un’allegra serata invernale, farneticando sempre con T-Robb e con TY1 (allora Tayone).
Da allora a oggi sono trascorsi due decenni. Come hai visto evolvere nel tempo l’approccio dei tuoi clienti verso il vinile?
Inizialmente i miei clienti erano perlopiù dj che si ostinavano a fare dj set con i vinili. Anche gli artisti, fin da subito, sono stati molto interessati alle potenzialità del vinile personalizzato e hanno rappresentato una nicchia importante nel mio lavoro. Credo che il primo disco veramente “visionario” che ho inciso sia stata una piccola serie realizzata per Andrea Renzini per pennarello Pantone e pelle del rullante. Pian piano poi mi sono ingegnato per personalizzare il più possibile il disco, stampando i centrini, le copertine, facendo pictures discs. Oggi è la norma ma ai tempi non era affatto scontato.

Certo che no. E man mano la clientela si è allargata…
Molto, anche perché parallelamente ho sempre avuto una grande attenzione nel rendere il disco il più accessibile possibile anche a chi non ha mai avuto un rapporto professionale con il mondo dei vinili. Da subito la presenza sul web, oltre al passaparola e a collaborazioni nell’ambito di eventi musicali e culturali, ha avuto un ruolo importantissimo nel diffondere l’idea che era possibile realizzare vinili totalmente personalizzati in singola copia. Ho investito molto nella creazione di una web app, ora arrivata alle versione 2.0, per rendere possibile a chiunque la realizzazione del proprio vinile personalizzato. Tutto questo per dire che la clientela di Vinilificio – anche se “clientela” non è un termine che amo particolarmente – è molto diversificata nelle richieste e negli utilizzi che fa del disco. Ci sono chiaramente dj e musicisti, case discografiche, artisti, aziende di moda, agenzie di marketing, ma anche persone comuni che regalano un disco per occasioni speciali o per dichiarare il proprio amore.
Suona tutto perfetto…
O quasi… noto infatti che negli ultimi anni, finita la meraviglia del “Ho sentito dire che il vinile sta tornando”, per molti è diventato puro merchandising, dove la musica rimane un simbolo, svuotato però del suo contenuto. Devo essere sincero, questa visione non mi appartiene. Non credo che nel mondo ci sia bisogno di altri oggetti inutili da cui già siamo sommersi. Dischi mai ascoltati che diventano soprammobili impolverati. Credo invece che ci sia bisogno di musica, intendo musica che abbia un valore, che emozioni, che trasmetta vibrazioni e che valga la pena di ascoltare, e il disco in vinile è uno dei modi più belli per ascoltarla.
Recentemente un noto hotel di Milano ci ha commissionato un 7 pollici per Eric Clapton. Inoltre anni fa clienti sconosciuti si sono poi rivelati essere Madame, Valerio Lundini, Angelina Mango, e nel 2016 Massimo di Lena, nel periodo techno minimal berlinese prima dei Nu Guinea/Nu Genea, ci commissionò una serie di 12 pollici che erano già produzioni di grande qualità e stile
Concordo, non a caso il vinile sembra continuare a navigare in buone acque anche in Italia. Su Spotify ed Apple proliferano podcast dedicati a questo formato, le mostre fiere e le mostre mercato del disco si moltiplicano, e proprio quest’anno in Sala Borsa, a Bologna, ha inaugurato una sala per l’ascolto di vinili. Quali, insieme all’aspetto emozionale, credi siano i fattori che abbiano potuto influire su questo revival sul quale due decenni fa in pochi avrebbero scommesso?
Sono diversi i fattori culturali, sociali e commerciali che hanno innescato il cosiddetto “ritorno” del vinile. Chiaramente uno dei principali impulsi è stata l’esplosione della musica in streaming, la cosiddetta musica liquida. La musica digitale ha dato la possibilità a chi possiede anche solo un cellulare di poter accedere istantaneamente ad un enorme flusso di contenuti musicali. Un flusso costante guidato dall’algoritmo. L’ascoltatore non è più costretto a scegliere quello che desidera ascoltare, è l’algoritmo a decidere per l’ascoltatore. Il disco fisico ha così rappresentato una specie di resistenza culturale alla musica liquida. Si è sviluppata la necessita di poter dare una fisicità alla musica, di poterla in qualche modo “toccare”, di poterle dedicare attenzione con un ascolto più “meditativo”, proprio per i “limiti” fisici imposti dal supporto. Il disco dona valore alla musica, un valore emozionale.
Indubbiamente…
Parlando invece di fenomeni sociali e commerciali il Record Store Day ha sicuramente influito a sensibilizzare gli amanti della musica, i collezionisti e successivamente anche i più giovani. Nei primi anni 2000, la nascita di studi e fabbriche fondati da dj e produttori, come il nostro e Rand Muzik, partiti da un’idea “do it yourself”, quando il vinile non era ancora un fenomeno commerciale, hanno contribuito a rivitalizzare il settore con una produzionepensata per il circuito indipendente. Poi, fiutato il business, sono arrivate le major e i capitali e hanno stravolto un po’ tutto, ma questo fa parte del giochino legato al mercato e al capitale con cui bisogna costantemente rapportarsi, volenti o nolenti.
Da subito la presenza sul web, oltre al passaparola e a collaborazioni nell’ambito di eventi musicali e culturali, ha avuto un ruolo importantissimo nel diffondere l’idea che era possibile realizzare vinili totalmente personalizzati in singola copia
Nonostante il ritrovato grande interesse, anche da parte delle major, verso il formato, qualche tempo fa circolava voce che il vinile non avrebbe avuto vita lunga perché in seguito alla grande domanda si stava esaurendo il materiale necessario a fabbricare i dischi. Verità o leggenda metropolitana?
Verità. Dalla fine degli anni ‘90 le vendite di vinile cominciarono a crollare. Le produzioni di dischi rappresentavano una micronicchia dell’industria musicale. Le fabbriche di dischi chiudevano, le tecnologie e i macchinari erano rimasti fermi alla fine degli anni ’80. Gestire una fabbrica di dischi significava recuperare e gestire impianti vecchi di almeno venti, trent’anni, essere possibilmente ingegneri e avere le capacità di riparare macchinari senza però avere pezzi di ricambio. Stampare dischi, tra la fine degli anni ‘90 e i primi quindici anni del 2000 significava ingegnarsi e saper risolvere problemi insomma.
Un’impresa per temerari…
Le criticità erano numerosissime. Ad esempio esisteva una sola azienda al mondo negli Stati Uniti che produceva lacquer disc, il supporto essenziale necessario per poter produrre le matrici necessarie per stampare. Questa azienda, Transco/Apollo, nel 2020 prese fuoco e chiuse definitivamente. Fu un colpo durissimo. Questa e mille altre problematiche nella catena produttiva fecero sì che si diffusero diversi rumors sulla reale sostenibilità tecnica e di approvvigionamento di materie prime e semilavorati dell’industria discografica. Dal 2010 in avanti insomma il business cominciò ad andare a gonfie vele e le richieste aumentavano in maniera esponenziale ma le tecnologie e le competenze scarseggiavano.
E poi, come è avvenuto il recupero?
E poi “business is business” e, fiutato il trend, le aziende che avevano smesso di produrre macchinari assieme a nuove aziende e nuovi capitali hanno riattivato l’intera catena produttiva. Ora stiamo per entrare nella fase in cui la produzione sta per superare la richiesta e negli anni a venire credo bisognerà affrontare nuove criticità. Una cosa però è certa: a prescindere dai cicli economici e culturali, il vinile rimane e rimarrà il supporto fisico più iconico di sempre e, proprio per le sue specificità, non morirà mai.
In questi anni hai collaborato con musiciste e musicisti della scena musicale elettronica, ricordo anche di qualche nome davvero grosso che ti contattò…
È vero, sebbene Vinilificio sia una piccola realtà, negli anni abbiamo avuto la possibilità di collaborare e incontrare diversi produttori di fama anche della scena elettronica. Posso sicuramente citare Claudio Coccoluto, che proprio nei primissimi mesi di vita di Vinilificio, ci contattò con il suo incredibile entusiasmo. Ma anche Dave Morales che si presentò in studio da noi nel periodo del Covid per stampare una sua release. Devo dire che trovarmi “face to face” con Morales con la mascherina di brillantini con scritto MORALES, mi lasciò veramente a bocca aperta. Non nego di essermi un po’ emozionato. Tra i nostri clienti abituali poi c’è anche la leggenda della techno trance, Mauro Picotto, ed ancora artisti ed etichette che stimiamo particolarmente. I primi che mi vengono in mente sono Max Graef, Glenn Astro, Nelson From the East e la Tartelet Records.
Una cosa però è certa: a prescindere dai cicli economici e culturali, il vinile rimane e rimarrà il supporto fisico più iconico di sempre e, proprio per le sue specificità, non morirà mai
Qualche richiesta particolare da parte degli artisti per i propri vinili?
Richieste particolari sono all’ordine del giorno e non necessariamente da personaggi noti. Parlando però di questi, posso dirti che qualche mese fa abbiamo realizzato un disco commissionato da un caro amico di Pete Townshend, con materiale inedito registrato su bobina dal vivo e che il disco è stato donato a Townshend per il suo ottantesimo compleanno. Recentemente poi un noto hotel di Milano ci ha commissionato un 7 pollici per Eric Clapton. Inoltre anni fa clienti sconosciuti si sono poi rivelati essere Madame, Valerio Lundini, Angelina Mango, e nel 2016 Massimo di Lena, nel periodo techno minimal berlinese prima dei Nu Guinea/Nu Genea, ci commissionò una serie di 12 pollici che erano già produzioni di grande qualità e stile.
Una delle realtà musicali di cui sei cofondatore è Original Cultures, etichetta musicale che ha sfornato negli anni dischi interessantissimi senza seguire alcun trend ma perseguendo unicamente la qualità, penso a Beat Inc. agli esordi, per arrivare al progetto Oké di Deda/Katzuma e a quello The Elephant di Mitelli/Mirra/Calcagnile. La creazione di Original Cultures è stata in qualche modo consequenziale al progetto Vinilificio?
Original Cultures nasce nel 2008, quindi pochi anni dopo la nascita di Vinilificio. Inizialmente era un progetto strettamente legato alla produzione di residenze per artisti e musicisti internazionali con un particolare focus sul Giappone, l’Italia e l’Europa. Le residenze erano poi finalizzate alla produzione di un evento unico ed irripetibile che ci ha portato, oltre che a Bologna, a Londra, a Manchester, ad Essaouira in Marocco e a organizzare anche un tour europeo. Da questo intenso fermento creativo è nata l’esigenza di fermare su vinile una parte di queste esperienze, a testimonianza di queste produzioni e incontri. Negli anni poi l’attività di residenza e produzione di eventi si è fermata e ci siamo concentrati sulle produzioni discografiche. In tutto ciò Vinilificio, essendo parte integrante del progetto, si è occupato di curare le produzioni discografiche che poi hanno una distribuzione internazionale abbastanza capillare. Tutti i dischi che abbiamo prodotto hanno una peculiarità, un elemento originale e quindi una ragione per essere pubblicati su vinile, su cassetta o in digitale. Non abbiamo mai fatto una release perché dovevamo farla.
Non credo che nel mondo ci sia bisogno di altri oggetti inutili da cui già siamo sommersi. Dischi mai ascoltati che diventano soprammobili impolverati. Credo invece che ci sia bisogno di musica, intendo musica che abbia un valore, che emozioni, che trasmetta vibrazioni e che valga la pena di ascoltare, e il disco in vinile è uno dei modi più belli per ascoltarla
Per tutti gli artisti di Original Cultures con Vinilificio hai realizzato vinili in edizione limitata che potremmo definire oggetti da collezione, non solo musicalmente parlando, ma anche per quanto riguarda l’aspetto visuale.
Il progetto Original Cultures è nato come una piattaforma di incontro tra artisti visuali, musicisti, produttori e dj. Paper Resistance, che insieme a me, Yassin Hannat e Laurent Fintoni, è uno dei quattro componenti di Original Cultures, ha creato la parte visuale e l’iconografia dell’intero progetto, incluse tutte le produzioni discografiche ed eventi. Per alcuni progetti speciali, come Zoooriginals, abbiamo poi coinvolto artisti e producer in una serie di 7 pollici picture disc, split tra artisti visuali e producers. La prima release è stata con Ericailcane assieme ai due produttori giapponesi Daisuke Tanabe e Jealousguy, mentre per la seconda la parte visuale è stata affidata a David Ellis e la parte musicale Katzuma e Souleance. Per il 12 pollici Elephant dei C’mon Tigre, Gianluigi Toccafondo ha creato l’opera divenuta copertina in serigrafia stampata da Squadro. Per l’evento di Original Cultures di Londra invece abbiamo creato dei picture disc in copia singola esposti nella galleria con Dem, Ericailcane, Will Barras e Om Unit, Tayone e Tatsuki.
Il magnifico lavoro fatto su “Elephant” dei C’mon Tigre

Vinilificio ha trovato la sua ultima casa in Officina Margherita a Bologna, un luogo ibrido che riunisce più realtà e dove senza scadenze regolari vengono organizzate mostra fotografiche, esposizioni o presentazioni. Vuoi parlarcene?
Officina Margherita è uno spazio che abbiamo aperto nel 2016 assieme a due amici, Marta Jorio e Paper Resistance, a cui di recente si è aggiunta Martina Lucidi, in arte Naive. Cercavamo uno spazio nel centro di Bologna che ci desse la possibilità di avere una sede operativa e allo stesso tempo la possibilità di organizzare mostre o piccoli showcase. L’unione fa la forza ed è nata così Officina Margherita. Non siamo una vera e propria galleria, ma di tanto in tanto ci piace ospitare mostre di artisti che apprezziamo sia come persone che come produttori di pensiero e di arte. Per questo non abbiamo un calendario, non abbiamo la pressione di dover vendere. Quando si allineano le stelle ci accendiamo e apriamo Officina Margherita al pubblico.
Proprio qui sono stati organizzati già due eventi per celebrare i primi 20 anni di Vinilificio. Nell’installazione celebrativa Il filo del suono, lo scorso 23 maggio, hai raccolto i microscopici fili di plastica generati dall’incisione del vinile per esporli come “nuvola sospesa” di memoria sonora: un gesto poetico, ma anche tecnico, che incarnava l’essenza stessa del mestiere. Nel secondo, lo scorso 13 giugno, hai aperto le porte di Vinilificio ai tuoi clienti per fargli assistere alla sessione di incisione del proprio disco. Ci saranno altri appuntamenti legati al ventennale?
Sì, in quest’anno per noi un po’ speciale abbiamo deciso di festeggiare. Il primo appuntamento è stato un party/happening e il secondo l’open studio. In queste due occasioni abbiamo deciso di mostrare il lato meno conosciuto dietro alla produzione di un disco inciso. Per questo autunno invece stiamo preparando una serie di incontri proprio in Sala Borsa qui a Bologna, in collaborazione con la sala ascolto vinili, per il momento tuttavia non posso aggiungere altro. Il consiglio è di seguirci sui nostri canali. 🔗 Instagram | Facebook | Website