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R.I.P. Mark Bell, un genio, un galantuomo

La prima reazione è stata: “Non è vero. Non può essere”. Lo è stata perché Mark Bell è uno di quegli artisti che chiunque ami la musica elettronica, e sottolineiamo chiunque, dovrebbe avere in considerazione enorme, suprema. Il fatto che negli ultimi anni sia stato più tranquillamente nell’ombra non significa si debba perdere di vista quanto il suo contributo alla musica “nostra” sia stato imprescindibile. E quindi, non riesci ad immaginarti di ascoltare la migliore techno o electro o IDM e pensare che Mark Bell non sia più tra noi, a dire la sua, come l’ha detta a nome LFO (sigla inizialmente condivisa con Gez Varley, poi portata avanti da lui solo) o anche solo come l’ha detta lavorando, con incisività pari all’umiltà del mettersi serenamente al servizio degli altri, con artisti come Björk – da “Homogenic” in poi sempre al suo fianco – o i Depeche Mode (“Exciter”).

Album come “Frequencies” (1989), “Advance” (1996) e “Sheath” (2003), i tre LP usciti a nome LFO, sono veramente di un livello superiore. Superiore. E lo sono ascoltati ancora oggi: provate, se non li conoscete. Provate, per rendervi conto della tremenda perdita che purtroppo ci tocca annunciare (il decesso sembra avvenuto per delle improvvise complicazioni in seguito ad una operazione). Siamo tutti più poveri. Lo sono ancora di più le persone che hanno avuto modo, anche solo per una giornata o per un’ora, di stare a fianco di Mark Bell. L’anno scorso abbiamo avuto modo di passare molto tempo con lui a Torino, in occasione della sua partecipazione al Traffic Festival: un set di altissimo livello, in serata; ma anche una persona che per tutto il giorno è stata sorridente, disponibile, gentile di una gentilezza ed educazione quasi d’altri tempi.

Per tutto quello che ha fatto, per tutto quello che artisticamente ha dato, lui sì che avrebbe potuto comportarsi da superstar, facendosi schermo con guardie del corpo, manager, corti dei miracoli assortite, e rifiutandosi di esser disturbato da chicchessia: invece era un tranquillo e sereno cinquantenne inglese, assolutamente alla mano, pronto ad avere con tutti una chiacchiera, un confronto, una discussione. Questo non fa che renderci ancora più attoniti e sconfortati. Una notizia davvero tremenda. Con almeno la certezza che la sua musica, e il suo genio, vivranno per sempre. Perché sì, “…this is going to make you freak”.