Ve lo diciamo dall’incipit, se siete stati al Sonar Festival nella sua versione catalana, be’ non approcciatevi a Stoccolma pensando possa essere lo stesso. Il Sonar e Barcellona rappresentano imprescindibilmente il connubio città-evento: lo si respira in ogni angolo, via, piazza della capitale catalana con i suoi party-off o con il corollario di iniziative che rendono il Sonar una tappa obbligata per gli amanti del genere. A Stoccolma, invece, al nostro arrivo non abbiamo trovato né un poster, una bandiera svolazzante, un flyer che potesse farci comprendere che eravamo lì per questo. Nulla. Solo freddo (nemmeno tanto) e piccoli cumuli di neve e sabbia. Ma in fondo in una città e in una stagione agli antipodi rispetto a quelli della casa madre non ci saremmo mai aspettati di veder brulicare canotte e occhiali da sole come sulla Rambla. Stoccolma riaffiora dal Lago Mӓlaren in 14 isole e su Sӧdermalm, la più grande, c’è il centro congressi Münchenbryggeriet sede del Sonar scandinavo. All’interno il festival si snoda su tre diversi piani: uno per l’ingresso, il secondo come sede del SonarClub (lo stage principale) e SonarLab, mentre all’ultimo il SonarDome a cura della Red Bull Music Academy. Una lunga discesa dalla fermata metro di Mariatorget, nessun attesa al freddo e subito dentro.
[title subtitle=”Venerdì 14″][/title]
Si inizia presto, prestissimo per i canoni italiani. 19:15 e il SonarDome viene già scaldato da suoni dub techno ma è presto per restare e decidiamo di “ascoltare” l’aria che tirava in giro. Spostandoci tra i diversi stage abbiamo cominciato ad apprezzare il livello organizzativo della sessione scandinava: zone bar equamente distribuite, ampi sfoghi di decompressione, sicurezza presente ma non invasiva e brocche traboccanti acqua per tutti al crocevia tra il SonarClub e il SonarLab. Arrivate le 20:30, come testimoniavano il numero di birre e sbuffi di fumo nicotinico sulla balconata esterna al SonarClub il festival si andava ingrossando e si stava preparando ad accogliere una delle performance più attese dall’audience locale.
Il live ambient targato The Field dà inizio al fenomeno che ha contraddistinto in background tutto il weekend ovvero una transumanza centripeta di tutto il Sonar (inteso come entità unica formata da individui diversi) verso lo stage principale e, mentre Alex Wilner terminava di incantare il floor principale, sugli altri stage si susseguivano diversi act tra cui i Sisy Ey (uno dei migliori live di giornata) e l’idea di avere a che fare con un sold out ci è sembrata dannatamente iperbolica, ma ci ricordiamo di essere in Svezia e di avere una visione troppo relativizzata e canonizzata. Intanto Evian Christ ed il suo dj-set distonico non riescono a mantenere le redini del SonarClub che si va lentamente a sfaldare in nome di una Estrella e una Marlboro così decidiamo di cedere andare anche noi alle tentazioni apprezzando comunque il set del prodigio ventiquattrenne.
Rapido cambio palco, sono le 23:05 è il tempo di James Holden, nuova transumanza e il floor si ricompatta. Il live di Holden è del tutto mentale, si viene catturati dai richiami per alieni che il genio britannico confeziona girando valvole e abbassando cursori; ha l’aria da sciamano sapiente e saggio, ti catapulta con lui in un’altra dimensione e l’effetto è comune su tutta l’audience. Ti devasta con “Rannoch Dawn” e ti sopreleva con “Sky Burial”: applausi, applausi, applausi ma c’è bisogno di una scarica fisica oltre che mentale e notiamo essere un’esigenza comune e dopo il live di Holden si presenta forse l’unico vero problema di tutto il weekend: due o più artisti che suonano contemporaneamente su stage diversi e dover scegliere dove andare. Decidiamo di aspettare l’inizio di Daphni e l’attesa è ricompensata, Daniel Snaith con la sua aria da nerd incalza con ritmi break beat house che ripopolano il SonarClub e come suggerito da alcuni ragazzi italiani presenti (quasi tutta l’Italia rappresentata: Gaeta, Napoli, Roma, Bari, Urbino, Bergamo), inizia la “festa”, piedi e teste incalzano sul floor e prima di fonderci completamente nel floor del SonarClub diamo un occhio alla lineup e c’è Floating Points a pochi scalini da noi. Si vola via. Il SonarDome è caldissimo, Sam Sheperd ha iniziato da un solo quarto d’ora e la miscela esplosiva formata da hip hop, dubstep e suoni d’oltreoceano infiamma il Dome, confermando le aspettative che riponevamo in lui. Sarebbe una più che degna conclusione per la prima giornata di Sonar ma veniamo investiti dalle casse dritte degli Skudge, veri padroni di casa che decretano il SonarDome come il miglior campo di battaglia della serata, e all’esterno mentre passeggiamo costeggiando il Riddarfjärden siamo consci che domani sarà anche meglio.
[title subtitle=”Sabato 15″][/title]
Oggi decidiamo di arrivare un’ora più tardi, la lineup è pregna ma all’entrata un laconico foglio A4 annuncia Kalkbrenner assente per problemi di salute e la sua sostituzione con Aeroplane. Non proprio lo stesso però stiamo a vedere. Sullo stage principale si esibisce Naomi Pilgrim che incanta con la sua voce e ci propone un appetizer neo-soul pop che apre al meglio il SonarClub, mentre su al SonarDome la garage/dubstep del finnico Desto non trova giustizia numerica nell’audience presente. È ancora presto, ma è un nome da seguire e noi ce lo siamo goduti.
In un’ora il numero dei presenti sembra essere il doppio della giornata precedente e dopo il piacevole live dei Wild at Heart al SonarDome, è tempo di SonarClub, c’è Jon Hopkins. La sua performance possiede del magnetico, il SonarClub si riempie come mai prima nella serata precedente e “Open Eye Signal” dà il via ad uno dei migliori live che questo weekend scandinavo abbia visto. La performance del britannico è un’ascesa incredibile trainata dai suoni sincopati di “Immunity” e raggiunge il climax nella doppietta “Breathe This Air/ We Disappear”. Il SonarClub esplode, anche Hopkins, dinoccolato – timido – quasi goffo nel battere le mani per ringraziare le grida del pubblico ad inizio live, si trasforma: le mani, frenetiche, agitano e rilasciano note a velocità elevate, si muovono così tanto da staccare un cavo per un momento… musica giù, silenzio. A quel punto, sempre per quella dannata visione relativa, ci saremmo aspettati un fischio, un grido invece nulla, come in chiesa. La funzione riparte e sia avvia alla fine senz’altri intoppi; si rialzano i riflettori e ci accorgiamo che quell’iperbole non era così tanto lontana, il sold out c’è ma è diverso da come ce lo possiamo aspettare, è spaziato e ordinato come la fila per salire al SonarDome ormai bloccato dall’afflusso di gente catapultatasi al piano superiore per ascoltare La Fleur.
Proviamo a sopravanzare tutti grazie al braccialetto che nella gerarchia colorimetrica ci permetteva di andare ovunque, ma le note di “Cirrus” cominciano a rimbalzare dalle torri. Il Munchenbryggeriet si flette verso un ipotetico centro e tutto il Sonar è li; Simon Green prende il centro del palco, uno ad uno anche i componenti della band. è il suo momento e Stoccolma lo sta aspettando. Lo sentiamo dalla tensione palpante, dalle grida, da quella insana forza attrattiva che uno stage può suscitare e ti spinge verso le prime file. Per chi come il sottoscritto ha usurato “The North Borders”, il live di Bonobo è stato un susseguirsi di emozioni scatenate dall’ascolto in vivo di questo capolavoro e, facendosi apprezzare anche tecnicamente, i suoni di “Antenna”, “Know You”, “Sapphire”, “Towers” con la presenza di Szjerdene, sembravano essere riprodotti in playback e l’approvazione e soddisfazione per questo viaggio in terra nordica si è fatta sempre più concreta. Conclude salutandoci e ringraziandoci e incominciamo ad apprezzare i risultati di una venue così estremamente ricca di act ma concentrata in un unico posto. Il cambio palco su ogni stage è rapidissimo, il tempo di scolarsi una birra, un giro in bagno, un attimo di decompressione e si riparte senza nemmeno accorgersene. L’esperienza è ricca, è vivida, è pulsante.
I momenti catartici sono terminati al SonarClub è tempo di funky e house targati Dirtytwo e spostandoci sugli altri stage abbiamo conferma della bontà di questa spedizione svedese. Facce rilassate, divertite, qualche accenno di euforia più che giustificata ma tutto è assolutamente composto e tutto scorre tranquillo verso la fine. Ecco, guardando l’orologio ci accorgiamo di avere solo un’ora ancora e vorresti averne ancora o sperare che ci sia un party-off ma qui non è Barcellona, oramai lo sappiamo e siamo agli sgoccioli. Lo stage principale è oramai avviato alla chiusura con i suoni nu disco di quel che è rimasto degli Aeroplane e preferiamo passare e così come noi molti altri. I fan delusi dall’assenza di Kalkbrenner invece trovano soddisfazione nel set potentissimo di Sandra Mosh che riempie e ribalta il SonarLab e dà filo da torcere anche al set in puro stile footwork di Dj Rashad che regala l’ultima fiammata al SonarDome e mette la parola fine alla nostra esperienza svedese. Un attimo di attesa, recuperiamo il cappotto e siamo fuori, il Sonar Stockholm 2014 è alle spalle.
Questa prima edizione del Sonar Stockholm, a cui susseguirà quella nel 2015, ci ha lasciato con il sapore di una differenza sostanziale dalla controparte iberica e da qualsiasi altro concetto di festival.
È un festival a dimensione umana in cui è possibile ritrovarsi a scambiare due parole con Sebastian Mullaert dei Minilogue e con Bonobo o trovarsi a ballare di fianco a James Holden, senza avvertire quell’aria mistica che spesso affidiamo all’arte di un producer o di un dj. E’ un festival in cui la sicurezza del frequentatore viene messa al primo posto: litri e litri di acqua nei pressi degli stage e tappi per orecchie a preservare i timpani tanto cari a tutti i clubbers. È un festival che, anche se lontano e non propriamente a portata (non per il costo del biglietto quanto per Stoccolma), rappresenta comunque un punto d’incontro tra diverse culture attratte dal valore degli artisti che compongono la venue e che siamo certi diverrà un punto fermo nel panorama dei festival invernali europei. E’ un festival dove è possibile riscontrare il rigore lavorativo degli apparati che giorno per giorno lavorano alla crescita del movimento e che permettono a noi di godere di un’esperienza nuova e proiettarci a volerla rivivere e quindi per questo e tutti i motivi che ognuno potrebbe riscontrare da questo report Tack Stockhom, Tack Sonar!