Si è fatto un gran parlare in questi giorni delle “devastazioni” occorse, ad opera dei tifosi della squadra olandese del Feyenoord, in alcune delle principali piazze capitoline nelle ore che hanno preceduto la sfida con la Roma. Ne abbiamo sentite di tutti i colori sull’Olanda ed i suoi abitanti, sul fatto che non sia tollerabile uno scempio del genere, dimenticandoci però in fretta la (ben) poca cura che noi stessi abbiamo spesso riservato alle nostre città ed al loro inestimabile patrimonio artistico, senza poi aprire il discorso su come siamo soliti comportarci quando andiamo all’estero. La cosa che più ci ha fatto sorridere è stato sentir dire che gli Olandesi non siano in grado di apprezzare il valore di ciò che hanno vituperato per il fatto di non aver niente che possa anche solo essere minimamente accostato alla “Grande Bellezza” nostrana ed alle mille storie che potrebbero raccontare le sue strade, le sue chiese, i suoi scorci.
Fatto sta che con un tempismo tanto inaspettato quanto fortunato, questo weekend eravamo diretti proprio nella città di Rotterdam, che per l’occasione offriva la terza edizione del Rotterdamse Rave, manifestazione organizzata dai ragazzi di Give Soul nella straordinaria cornice del Maassilo, utilizzato per tutto il XX secolo come magazzino per la raccolta del grano e diventato circa una decade fa una delle venue più suggestive di tutti i Paesi Bassi. La line up era di quelle da far tremare le ginocchia: tre sale, situate parallelamente una accanto all’altra. Ai due estremi a farla da padrone sono state Electric Deluxe, la label del padrone di casa Speedy J, idolatrato più del Re d’Olanda da queste parti, e CLR, purtroppo (o per fortuna, secondo i punti di vista) questa volta orfana del suo fondatore e mentore Chris Liebing. Nel mezzo una sala dalle vibrazioni house con alcuni dei nomi più rinomati della scena olandese, su tutti Tom Trago e Benny Rodrigues. Un cuore caldo in mezzo a due pareti stagne, come a voler spezzare il gusto forte della techno con la sensazione afrodisiaca che solo certi generi sanno regalare. La solita, impeccabile, gestione degli ambienti e dei servizi ha fatto il resto.
Dal canto nostro, abbiamo potuto apprezzare l’ottima ed abbondante apertura del berlinese Subjected, bravo come pochi altri a tenere la pista ad un orario in cui dalle nostre parti ci sarebbe solo lo staff (il Maassilo prima della mezzanotte invece era già quasi a capienza) ed allo stesso modo l’argentino Juan Pablo Pfirter, che ha saputo riscaldare a dovere la sala CLR prima che un sontuoso Brian Sanhaji, con la sua stratosferica verve artistica, chiudesse il discorso su quale sarebbe stato il nostro set preferito della nottata. Dall’altra parte tra un monumentale set di Marcel Fengler e la solita sequela di sassate di Surgeon abbiamo avuto modo di pagare il nostro tributo a Jochem Paap, nonostante non sia tra i nostri artisti preferiti, ovviamente da un punto di vista meramente musicale. Perchè sul talento e sulla capacità di tenere la pista del “vecchio” c’è davvero poco da recriminare. Se aggiungiamo che per lui Rotterdam vuol dire casa e che nella città del porto techno è sinonimo di Speedy J il gioco è fatto. Tre ore di qualità elevatissima, una sala piena che non dava mai l’impressione di essere una tonnara, in cui si ballava comunque sempre abbastanza comodamente e dove l’afa, che normalmente caratterizzerebbe un ambiente così colmo, era un lontano ricordo.
Un sogno, diciamo noi. La norma, pensano loro.
Quello che abbiamo vissuto fra quelle mura è stato così eccitante da farci muovere le gambe sotto il tavolo al solo ricordo di quei magici attimi di pura empatia condivisi con altre migliaia di fortunati (ed educatissimi) ragazzi e ragazze, provenienti per altro quasi esclusivamente dalla stessa città di Rotterdam. Ma come? – direte voi – Un evento che porta (almeno) diecimila persone, con una quantità di artisti quasi inquietante per talento e varietà, ad un prezzo risibile (i biglietti partivano da 10 euro e finivano a 30 nell’ultimo stock) non attira gente dalle altre città? Eh no, perchè da queste parti eventi come questo sono la regola, non l’eccezione. Perché l’Olanda, non esattamente il posto più divertente della terra nelle decadi del Dopoguerra, ha saputo crearsi una scena sana, libertina (con i dovuti limiti) e capace di essere qualcosa di più simile ad un Credo che ad uno sfogo giovanile, come invece accade altrove. Non è inusuale infatti, e ci è capitato anche questa volta, trovarsi a ballare accanto all’equivalente dei nostri genitori, che abbiamo spesso visto scatenarsi quanto e più di noi. E allora ci perdoneranno i critici e perbenisti della prima ora, che settimana prossima avranno dimenticato tutto ed avranno un nuovo tema su cui indignarsi, ma qua parliamo di musica elettronica. E se dobbiamo guardare ai nostri cugini orange sotto questo punto di vista (si tratti di varietà della proposta, civiltà del pubblico, etica del lavoro, meritocrazia e chi più ne ha più ne metta) purtroppo siamo noi a dover (mestamente) chinare il capo e chiedere scusa, perchè se c’è qualcuno a non avere nemmeno la più pallida idea di cosa voglia dire avere per le mani un patrimonio inestimabile, non sono di certo loro.