Il cambiamento è radicale. Non poteva essere altrimenti, visto quanto è stato lungo il regno da direttore artistico di Ivan Fedele sulla Biennale Musica di Venezia. Ma la svolta impressa da Lucia Ronchetti (compositrice prolifica, un diploma in composizione e musica elettronica all’Accademia di Santa Cecilia e un profilo consolidato in Europa, a partire dalla Germania) è netto. E pure ambiziosa. Non si può definire altrimenti l’aver già messo le carte in tavola: quattro anni dura il suo incarico, e lei ha già sfornato il concept per ciascuna delle prossime quattro edizioni. Quest’anno ci si concentra sulla voce, in modo davvero radicale: la voce come praticamente unico strumento o strumento predominante. Dal 17 al 26 settembre si esplorerà come mai in passato lo “strumento più antico del mondo” (e spesso anche il più difficile…), percorrendo come sempre vie che si basano parecchio sulla classica contemporanea – una musica molto più viva di come viene percepita e, talora, fruita – ma con delle digressioni molto interessanti. Quella che ha subito colpito il nostro occhio è quella che riguarda la presenza di ZULI, con tra l’altro un progetto particolarissimo per (appunto) sola voce: il dj/producer con base a Il Cairo, in Egitto, è uno dei talenti più affilati ed interessanti presenti oggi nella scena elettronica, punto. E’ ancora un nome per pochi qui da noi, ma tra le benedizioni di Lee Gamble, Aphex che inserisce suoi brani nei suoi set (usciti tra l’altro per l’italiana, benemerita Haunter Records) e soprattutto l’intrinseca qualità altissima di quello che fa, se il mondo avesse un senso dovrebbe diventare una superstar contesa da festival e quant’altro. Non che però gli interessi più di tanto, come ci racconta nell’intervista; e non solo, sottolinea un altro concetto molto, molto evidente (ma mai abbastanza compreso) e molto, molto importante. Quale? Scopritelo leggendo questa intensa chiacchierata.
Iniziamo proprio dalla fine, ovvero dal progetto speciale che presenterai alla Biennale Musica di Venezia il 22 settembre. Ha l’aria di essere davvero qualcosa di interessante, non convenzionale. Cosa dovremo aspettarci? Puoi raccontarci qualcosa di come è stato pensato ed ideato il tutto?
Pensare di fare musica prima di tutto attraverso e con la voce è qualcosa che mi in realtà molto naturale, visto che in realtà il mio background musicale è aver suonato da giovane in un sacco di band. Sai, anche quando ho iniziato a fare musica prettamente strumentale con le macchina in qualche maniera, spesso anche inconscia, ho sempre lasciato dello “spazio” per la voce. Con questo progetto che presento alla Biennale finalmente la voce si prende tutto lo spazio. Tra l’altro, io abitualmente quando creo musica butto giù delle tracce vocali che mi servono da “appunto” su come sviluppare le traccia e quali elementi aggiungere (e come lavorarli), si tratti di componenti armoniche o ganci melodici. Ecco: in questo progetto queste tracce vocali non sono più semplici “appunti” ma sono prese, sviluppate, rese uniche protagoniste. E comunque: aspettatevi un sacco di autotune!
Mi viene da chiederti: quanto potrebbe essere diverso presentare la tua musica in un contesto classico ed “istituzionale” come la Biennale veneziana rispetto a quello che è invece forse più abituale per te, ovvero club e dintorni? E’ difficile doversi giocare due lati così differenti alternativamente?
Non è difficile per nulla. Questo perché una grandissima parte di quello che faccio, direi decisamente la parte maggiore, è musica che non è da dancefloor; e quindi mi ritrovo spesso a suonare in contesti dove la parte “dance” non è contemplata. Se poi mi ritrovo in un club, allora suono musica da club, senza problemi.
Hai incrociato le tue strade con l’Italia più volte, negli ultimi anni, a partire dalla tua collaborazione con l’ottima Haunter Records. Che percezione hai della nostra nazione, musicalmente e non solo?
Sì, ho davvero passato molto tempo in Italia negli ultimi cinque anni. Che dire? Ho veramente un debole per le vostre parti, ovviamente per il cibo così come per le persone. Musicalmente però devo dire che in qualsiasi posto in cui sia andato, indifferentemente dalla nazione e dalla zona del mondo, la comunità di appassionati ed addetti al settore si assomiglia: non vedo differenze particolari. La gente non si rende ancora pienamente conto di come internet serva a mettere in contatto persone che hanno una sensibilità comune, dei gusti simili, che insomma si assomigliano proprio parecchio (anche in cose come il modo di vestire, per dire). In questo modo si crea una comunità universale che travalica l’appartenenza e la specificità geografica. In concreto: ho molto più in comune con chi ha le mie stesse passioni e i miei stessi interessi e sta in giro per il mondo che col mio connazionale medio.
Cosa significa oggi “successo” nel contesto della musica elettronica e di quella da club? E, in caso, cosa dovrebbe invece significare?
Io sono stato decisamente distante dai social media negli ultimi anni e, considerando che sto al Cairo, loro sono un po’ l’unica finestra possibile su quello che è lo “spirito dei tempi” per quanto riguarda un certo tipo di scene: quindi ecco, se mi chiedi cosa significa “successo” per me e di conseguenza per la gente, beh… non lo so. Sono convinto in realtà che questa parola e questo concetto possa avere molte declinazioni diverse a seconda delle persone. Se mi chiedi cosa sia “successo” per me, è semplicemente il riuscire a guadagnarmi da vivere facendo solo ed esclusivamente la musica che mi piace fare – mi basta davvero questo, non sento di avere bisogno di altro.
Quali sono stati gli artisti che ti hanno influenzato di più, nel formare la tua identità da musicista? Parlo non solo a livello di suono ma anche a livello di attitudine; e possono essere persone che hai incontrato davvero o semplici figure di riferimento universalmente conosciute.
Beh sai, crescendo dove sono cresciuto per un sacco di tempo non ho mai conosciuto qualcuno che avesse anche solo una vaga idea di quello avevo in testa di fare, figuriamoci qualcuno che lo facesse veramente. Mai. La prima volta che ho potuto finalmente avere una conversazione musicale di spessore con un essere umano in carne ed ossa è stato, tipo, nove anni dopo che avevo iniziato a fare musica… In generale, parlando di musicisti che mi hanno influenzato dal profondo, citerei Josh Homme dei Queens Of The Stone Age, Trent Reznor, PJ Harvey e Madlib. Ecco, quest’ultimo credo che sia probabilmente l’influenza più “ovvia”, se si prende in considerazione quello che faccio.
Ma quindi l’influenza geografica conta qualcosa, se si fa musica elettronica? In parte hai già risposto…
…e ti confermo che no, il fattore geografico non conta praticamente nulla, è un linguaggio ormai del tutto internazionale. Ti dirò: non riesco a capacitarmi di come questa posizione, che a me pare evidente e di semplice buon senso, sia ancora vista come eccentrica e minoritaria. In realtà basterebbe guardarsi attorno ed ascoltare. Non serve altro per capire com’è la situazione davvero, evitando luoghi comuni ed automatismi interpretativi assolutamente errati.
Partendo dalle seminale serate KIK fino ad arrivare ad irsh, l’esperienza più recente, tu sei stato un animatore a dir poco fondamentale della scena musica da club e per la musica elettronica al Cairo. Come descriveresti l’evoluzione nel tempo e lo stato attuale della scena? Quali sono i nomi che ci consigli di tenere d’occhio? E che tipo di pubblico c’è oggi, per questo tipo di proposta musicale, nella tua città?
Caspita, sono successe tante cose negli anni… Posso dirti che per un sacco di tempo il tutto è andato veramente a rilento, anzi, sembrava proprio si fosse destinati a scomparire, almeno come scena effettivamente attiva. Ma oggi invece mi sento molto fiducioso: credo che siamo nella fase più viva e promettente mai avuta finora, davvero. C’è tutta una nuova generazione di producer e dj – tutti sotto i venticinque anni, fra l’altro – che, al contrario di quello che poteva succedere a me alla loro età, hanno tutta una serie di amici e colleghi con cui potersi confrontare e stimolare a vicenda. Questo significa anche un’altra cosa: se lanciano degli eventi la gente viene eccome, in numero molto maggiore rispetto alle venti persone scarse che invece venivano ai miei tempi, almeno all’inizio. Guarda: giusto pochi giorni fa c’erano almeno 150 persone al dj set di Rama, tra l’altro con una proposta per nulla accomodante, visto che si stava sui 160 bpm. E’ fantastico tutto questo, credimi. Invece, per quanto riguarda i nomi da segnalare: ti direi il già citato Rama, poi Tor5y, ABADIR, El Kontessa, Gahallah, Ismael, Post Drone, Assyouti, Youssef Yasser, Ashrar, Yaseen… ma sono sicuro che sto dimenticando un sacco di nomi. La cosa migliore è vedere la line up di irsh: invitiamo solo artisti di cui siamo fan convinti.
A proposito di essere fan di qualcosa, domanda finale: qual è la tua release di cui oggi vai più fiero?
Direi “Terminal”.
Foto di copertina di Malak El Sawi