Pieno come un uovo, esaurito in ogni ordine di posto: si presenta così il Fabrique di Milano per l’unica data primaverile del Migration Tour di Bonobo (tornerà questa estate a Roma e al bellissimo Locus Festival, quest’ultimo presentato giusto nella mattinata di ieri), per un live sold-out da mesi e attesissimo da tutti che ci fa riflettere su quanto stia succedendo nell’ultimo periodo in nell’ambito della musica elettronica.
Era già successo con i live di The xx, con Sohn e in generale con tantissimi altri concerti dell’ultimo periodo: tutti gremitissimi, segno e testimonianza di un grande momento per l’elettronica, almeno per quella di largo consumo. Logico, tutta questa attenzione, tutto questo interesse davvero spasmodico non può non portare ad una massificazione del pubblico che assiste ai live. Normale quindi che ci siano moltissimi fan, come normale che ci siano quelli lì per moda e quelli lì per caso: così ti ritrovi a vedere un pogo (su “Flashlight” sorpresa inaspettata della set list) che davvero sembra un po’ fuori contesto e tra le prime file, in alcuni momenti, sembra più un pubblico da concertone del Primo Maggio a San Giovanni (…viene poi da chiedersi anche a cosa serva l’md al live di Bonobo, ma preferiamo restare col dubbio) che il concerto di uno che, sostanzialmente, fa downtempo.
Lo sappiamo: messo così sembra un discorso molto snob da vecchi attempati quali forse siamo. E forse in parte lo è. Ma non ce la sentiamo di soprassedere: in alcuni momenti ci sembra manchi un filo di cultura, un filo di know how tra chi assiste a questi live. Forse la colpa può essere data alla generazione che, prima con YouTube e poi con Spotify, ascolta “un po’ a casaccio”: senza approfondire, e che segue una moda alternativa solo sulla carta, prendendone gli aspetti più superficiali e adattandola in modo spurio. Nulla da obbiettare, sia chiaro, anzi ben vengano i sold-out; ma noi continuiamo a sognare spettatori come al Sónar o come in generale nei live che ogni tanto ci capita di vedere in giro per l’Europa, dove il pubblico sembra un po’ più consapevole di dove si trova e del perché si trova esattamente lì.
Veniamo comunque al Fabrique, a quanto accaduto ieri sera. Bonobo presenta il fortunatissimo “Migration”: un album bello, non bellissimo, a cui per l’occasione segue un live bello (per alcuni in sala “…della vita“) ma non bellissimo.
Simon Green, alle macchine e basso elettrico, pesca tantissimo oltre che da dall’ultima uscita anche da “Black Sands” (ritornato in vinile al banchetto e preso d’assalto), relegando invece giusto ai pezzi più famosi “The North Borders”. La band – batteria, basso, sax/clarino e vocalist – accompagna Green nella creazione di una musica organica che ha davvero grossissima presa sul pubblico. Un pubblico che reagisce con autentici boati ad ogni pezzo (soprattutto le hit di “Black Sands”) e ad ogni variazione di ritmo: basta infatti un accenno di cassa dritta a infiammare letteralmente tutti. E poco importa se su “Kong” il batterista “canni” il tempo (occhiataccia di Bonobo, che poi però sorride) e che nonostante la splendida forma e la splendida voce di Szjerdene “First Fires” venga malino, perché strutturata per una voce maschile con note basse che, è abbastanza evidente, non sono nelle corde di chi la canta. La stessa sensazione che si ripete nell’attesissima “No Reason” a cui va l’ultimo boato della serata. Si chiude con un “encore” di due pezzi
Bello quindi, magari non memorabile, ma bello sì. Con tanti applausi finali, Bonobo conquista il pubblico di Milano e lo fa senza troppa difficoltà, giocando soprattutto di mestiere e senza esaltare (e questo va detto), portando a casa un live riuscito. Un live per molti “perfetto“, ma onestamente sono state altre le cose che in passato ci hanno lasciato senza fiato.