Ormai è tanto, tantissimo tempo che l’Italia ha scoperto i festival e ha (ri)scoperto il gusto della musica fruita live. Ve ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, in queste pagine: vita, morte e miracoli. Ciò che forse non abbiamo ripetuto abbastanza – anche se lo abbiamo scritto tipo sedicimila miliardi di volte – è che mettersi ad organizzare cose di musica in prima persona è un mestiere maledettamente difficile.
Purtroppo soprattutto nel “nostro” mondo, quello del clubbing, quello dei dancefloor, ma in realtà anche quello della musica “nuova” legata alla cultura del diggin’, c’è ancora una preoccupante tendenza a prendere sottogamba quanto sia complesso organizzare qualcosa, pensando che un certo tipo di complicazioni fossero retaggio di un piccolo mondo antico. È come se in tanti, troppi fosse ancora incastonata nella mente la convinzione che in fondo oggi basta avere gusto nell’immaginarsi una line up, avere i contatti giusti per bookare gli artisti immaginati, fare un calcolo a spanne “Se spendo 1000 di artistico e incasso 500 di biglietti più altri 500 di bar ci sto dentro, massì, anche perché io e il mio team siamo bravi a fare promozione” e infine ricordarsi di comprare tante bottiglie di vodka e di gin e di avere tanto ghiaccio nella boule e tanta simpatia nei modi di fare e voilà, il festival è pronto, l’evento è fatto.
Stiamo estremizzando? Mica tanto. Perché a parole tutti sono consapevoli che organizzare eventi musicali è un lavoro serio, ma nei fatti messi di fronte alle prime voci strane su un foglio Excel (“Ah, è vero, c’è la SIAE“, “Ah, ma la sicurezza costa così tanto?“, “Che stronzo questo artista, vuole il driver professionale, costa un botto“, “Oddio, chi pulisce poi a fine evento?“, “Ma davvero devo mettere una guardia giurata a sorvegliare le strutture?“) crollano in tanti. Perché si rendono conto che invece di incassare 500 biglietti + 500 bar, avrebbero dovuto incassare almeno il triplo. Sennò i conti non tornano. E ti fai male.
Senza contare poi quelli che non sanno leggere i contratti di un artista, non sanno stimare il “peso” di un tech rider (può succedere che il noleggio – imposto dall’artista – di un determinato impianto, di una determinata backline, di determinate luci sia nel camplesso più oneroso del cachet stesso, se ci metti anche trasporti interni e ospitalità).
Insomma: l’Italia è un paese bellissimo, ed è pure pieno di festival e boutique festival meravigliosi, di cui andare fieri, ma è anche un paese dove l’analfabetismo organizzativo in campo musicale è ancora spiccato e, purtroppo, va di pari passo con la convinzione del “Massì, dai, è facile, che ci vuole, il grosso è azzeccare la line up…“.
(No, non è facile per niente, e Sounds Right ve lo spiega bene; sotto vi spieghiamo come e perché)

Per tutta quest’ultima categoria, a cui un po’ si guarda con simpatia ma un po’ anche oxfordianamente detto ha rotto il cazzo, arriva ora una cosa che, sinceramente, se avete velleità da organizzatori in campo musicale dovreste segnarvi su-bi-to. Stiamo parlando di Sounds Right, un corso in 13 appuntamenti (10 virtuali + 3 reali) dove vengono sviscerati mille aspetti assolutamente fondamenttali da sapere e padroneggiare se si vuole entrare nel campo dell’organizzazione di eventi musicali.
Corsi in giro di tal genere ce ne sono, anche buoni, ma questo ha una caratteristica notevole: è gratis. Ripetiamo le sei letterine magiche: gratis. Grazie al lavoro di Note Legali APS, associazione benemerita sta facendo un grande lavoro di informazione e tutela per i lavoratori in musica, e grazie all’appoggio logistico fornito dal network di KeepOn Live (il migliore e più affidabile network di posti per la musica dal vivo in Italia), utilizzando in maniera intelligente i fondi europei – nello specifico, quelli di LIVEMX Creative Europe – si è dato vita a qualcosa di davvero utile e nel suo piccolo necessario.
I posti ovviamente sono limitati, c’è tempo fino al 21 luglio 2025 per fare domanda ma chi prima arriva meglio alloggia. Info qui, iscrizioni qui. Nota bene: dovete avere partita IVA ed essere in qualche modo associati ad un luogo dove si fa musica dal vivo. Un minimo di requisiti, insomma.
Ora, sinceramente, non avete più scuse. E alla prossima persona che ci si para davanti esclamando “Ti devo parlare, ho avuto un’idea geniale: fare un festival“, se snasiamo che dietro c’è solo velleitarismo e non conoscenza reale della materia ora possiamo anche iniziare a rispondere male. Non siamo negli anni ’90: l’entusiasmo non basta più, e la conoscenza musicale nemmeno.