Eccomi di ritorno dalla mia ennesima avventura lungo le sterminate vie del clubbing. Sfrutto il ricordo e le sensazioni ancora non del tutto assopite per scrivere a caldo questo report e trasportare, per quanto possibile, i nostri lettori all’interno della mia mente e dargli un assaggio di cosa è stato questo SEMF. Innanzitutto, la prima cosa che mi sento di dire è che il format di party indoor dove vengono sfruttati i padiglioni fieristici si rivela come sempre da un lato molto comodo a livello di infrastrutture e servizi, dall’altro il tutto risulta essere un pò dispersivo e “freddo”, ma è il prezzo da pagare per avere tanto spazio dove ballare senza sentirsi in un sauna. La location era grossomodo un intero padiglione della Fiera di Stoccarda (che si chiama Messe) dove erano divise le varie sale, per altro in maniera ottima sia da un punto di vista logistico che per quanto riguarda l’insonorizzazione di una rispetto all’altra, in modo da non sentire i bassi della sala a fianco ad ogni pausa della propria. Di gente ce n’era davvero tanta sebbene il sold out fosse stato raggiunto soltanto la sera dell’evento. Come sempre le popolazioni nordiche si dimostrano educate e competenti (nonché molto attraenti nel lato femminile). Anche un pò “sfascioni” a dirla tutta, ma alla fine a differenza di altri popoli non danno fastidio a nessuno e si godono il tutto.
Ma veniamo al succo, la parte musicale. Causa un infinito quanto impervio viaggio in auto da Milano, passando in mezzo a 500 km di pioggia, neve, ghiaccio e chi più ne ha più ne metta, riusciamo a raggiungere il festival solo all’ora in cui Cenerentola scappò dal ballo. Male perchè ci perdiamo pronti via il set di Felix Krocher e soprattutto il fantastico live di Anthony Rother che erano anni che attendevo di vedere. Spiace molto che la scaletta li proponesse così presto ma ci diranno che hanno fatto davvero bene anche se davanti a non molta gente. Appena entrati, velocissimo giro ai lockers per lasciare i cappotti e via subito per recuperare il tempo perso! In sala 1 c’è Sven Vath, fresco fresco di un set strepitoso in quel di Berlino nell’ormai rinomato Boiler Room. Le due ore intime e coinvolgenti sparate in video mi hanno talmente colpito e coinvolto da farmi decidere di dedicargli almeno un paio d’ore. E si rivelerà essere una mossa azzeccatissima. Dopo aver fatto fatica a riconoscerlo in consolle per via del nuovo look coi capelli rasati (sembra invecchiato di 20 anni) mi piazzo sotto palco per godere al meglio il poderoso impianto audio e luci. Le due ore che seguono sono veramente di ottimo livello, i bassi che risuonano come cannonate nei timpani sono per me la più dolce delle sensazioni e considerato l’atteggiamento di chi mi circonda direi che si tratta di un sentimento condiviso. Non c’è niente da fare, per quanto si possa dirne male per mille motivi, quando Sven è in serata non ce n’è per nessuno, riesce a coinvolgere la pista come pochi. E’ un dj vecchio stile, uno che guarda sempre la pista e non tiene la testa bassa su un laptop, uno che ancora oggi preferisce suonare invece che produrre. E quando suona così, è un piacere approfittarne.
Passano così 120 minuti di euforia, a me sembra che ne siano passati 12 quando mi accorgo che la lancetta sull’orologio indica il secondo rintocco, ergo è ora di cambiare sala e di andare a rendere omaggio ad uno dei miei artisti preferiti. Mathias Kaden è, come sempre, scatenato a più non posso nei suoi balli dietro la consolle e non perde tempo nel contagiare anche la pista con una vorticosa tech house. Più tech che house a dirla tutta! Giochi col mixer, ovazioni continue e grandi sorrisi nel dancefloor accompagneranno tutta la durata del suo set. Vengono lanciati dei palloni dal palco e si finisce a fare dei tornei di pallavolo tra italiani e tedeschi in mezzo alla pista, giusto per smorzare gli animi in tempi in cui parole come spread e debito pubblico ci stanno mettendo involontariamente in una situazione di antagonismo. Ricordarsi che la musica è questione democratica è doveroso, di fronte a un dj siamo tutti uguali e tutti amici. Sempre. Sono le 4 e tutto va bene, il prode Mathias saluta tutti e io decido di spostarmi nella vicina sala 3 dove la biondissima (e fascinosissima) Monika Kruse sta tenendo incollata la pista al palco usando la sua techno, calda ed incalzante, come calamita. E’ difficile per me pensare di allontanarmi ma dopo un’oretta arriva il momento di Chris Liebing. Come sempre il tedescone agita la testa avanti e indietro in continuazione come a voler fungere da metronomo per i salti alti 1 metro che la sua musica fa fare a chi gli sta davanti. La festa è al suo massimo e le prime luci dell’alba iniziano timidamente a fare capolino mentre Adam Beyer sale in cattedra per scrivere l’ultima, emozionante, pagina di una festa senza dubbio memorabile. Il 2012 dello svedese è stato davvero intenso ed ogni occasione per gustarsi un suo set è ben accetta. Una volta concluso si son fatte le 8.30 del mattino ma la festa è ancora imballata, tutti hanno voglia di ballare e l’uscita in un mare di folla festante è la degna conclusione di un viaggio che ci vedrà dopo sole 3 ore nuovamente sulle autostrade per un ritorno altrettanto massacrante. E vissero tutti assonnati e contenti!
Pics by: Kidkuts Photography