Nuova label (NINL) e nuovo album in arrivo, a più di undici anni di distanza dal suo predecessore, “Dance Baby”: non è stato con le mani in mano, Mladen Solomun, in questa fase di stop forzato. E considerando che si tratta di uno degli artisti che più e meglio ha saputo interpretare le svolte e le dinamiche del clubbing nell’ultimo decennio, è sempre bene seguirne le mosse. Abbiamo avuto modo di fare una veloce chiacchierata con lui, legandoci all’uscita dei primi due “antipasti” dell’LP in arrivo ma non solo.
Allora: qual è la differenza tra il Mladen Solomun che nel 2009 faceva uscire “Dance Baby” e quello che oggi, a cavallo tra il 2020 e il 2021 sta facendo uscire un nuovo album?
La prima differenza è quella più ovvia: dodici anni. Tanti. In più di un decennio molte cose possono accadere, no?, ed in effetti molte sono successe. Il mondo è cambiato; e io come persone sono cambiato, sono cresciuto. “Dance Baby” è venuta fuori l’anno in cui avevamo aperto il nostro club ad Amburgo. Ma è anche l’anno in cui è morto mio padre. L’ultima traccia di quell’album – “Somebody’s Story” – l’ho creata proprio pensando a lui, perché nel momento in cui la stavo componendo era ormai chiaro che aveva solo pochi mesi di vita davanti. E infatti: quattro giorni dopo la sua morte, usciva il disco. Ora, a distanza di più di dieci anni, dalla mia parte ho molto più esperienze, come musicista ma anche come essere umano. Ma certe cose poi forse riesci a capirle davvero solo col senno di poi.
“Home”, il primo singolo a precedere il tuo nuovo lavoro sulla lunga durata, credo che abbia una vena sottile ma pervasiva di ottimismo, di fiducia. Quali sono gli elementi che potrebbero permetterci di guardare con ottimismo al futuro del clubbing e della musica da dancefloor?
Mi fa molto piacere che tu abbia notato questa cosa in “Home”… E’ una traccia disegnata effettivamente per i dancefloor, e per trasmettere un senso di ottimismo. Poi chiaro, per i tempi in cui stiamo vivendo è difficile parlare di “ottimismo”. Ma proprio questo mi fa dire che uno dei grandi doni della musica è quello di portarci a non arrenderci mai, a non perdere la fiducia. E se oggi tutto ciò che è musica e ballo è inevitabilmente fermo, messo in ombra, la magia della musica per fortuna è ancora lì, intatta, e sperabilmente a breve saremo di nuovo liberi di goderla in tutta la sua essenza.
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Senti, credi che l’EDM abbia in qualche modo influenzato con le sue dinamiche – musicali o soprattutto industriali – la sfera techno ed house? O sono rimasti due ecosistemi completamente diversi, nel modo di funzionare?
Magari mi sbaglio, ma non credo che l’EDM ci abbia influenzato. Poi non so, magari qualche effetto c’è stato, ma se io guardo a me e a tutto quello che mi gira attorno credo che noi siamo rimasti completamente separati da quel mondo lì. Chiaro, non puoi fare a meno di notare tutti i giganteschi eventi EDM che sono fioriti nell’ultimo decennio, e sono tanti, ma una volta constatato questo – boh, finisce lì. Anche solo stando nel nostro, chi avrebbe pensato dodici anni fa che il mondo techno e house avrebbe raggiunto così tante persone? E che avrebbe dato vita a così tanti festival? Senza contare che ora come ora sono proprio gli eventi EDM ad aver iniziato a spingere un po’ di più sulle radici techno e house di ciò che è la cultura dance, magari anche solo perché hanno visto che pure i dj “nostri” suonano di fronte a pubblici grandissimi e invece la scena puramente EDM ha smesso di funzionare così tanto. Ma tutto questo mi interessa il giusto. Io ho sempre seguito il mio stile, la mia discografia e i miei dj set sono lì a dimostrarlo.
Ormai lo stanno dicendo un po’ tutti: Ibiza sta cambiando, sta cambiando parecchio, e molto probabilmente cambierà ancora di più nel prossimo futuro, allontanandosi sempre di più dallo spirito delle origini, dalle origini e dalle vibrazioni che – loro sì – l’hanno resa la Mecca per tutti gli appassionati di clubbing. E’ vero tutto questo? E’ un discorso corretto?
Non so se sono la persona più giusta a cui fare questa domanda, visto che io ho messe piede per la prima volta ad Ibiza solo nove anni fa, e sono pochissimi. Faccio fatica quindi a dire come fosse prima, l’Isola, in quelli che molti vedono come gli “anni d’oro”. Anche perché prima della mia prima visita non c’era nulla che mi spingesse ad visitarla, non c’erano miei amici che ci andavano, non c’era insomma nessuna connessione neppure potenziale. La prima volta che ci sono arrivato, due cose anche abbastanza ovvie ho visto: la bellezza dell’isola, e il modo in cui la cultura dance fosse egemone. Queste due caratteristiche hanno fatto sì che Ibiza diventasse il melting pot per eccellenza di persone – e per “persone” intendo anche di storie, di attitudini, di background – affascinate dal ballo, dal clubbing. Negli anni per me Ibiza è diventata casa, dopo che appunto a lungo non avevo avuto nessun rapporto con essa, e lo è diventata non solo per i party. Prova ne sia il fatto che adesso, quando tutto era fermo, c’ho passato comunque un bel po’ di tempo: e me ne sono innamorato ancora di più.
Tornando più strettamente alla musica: qual è la linea di confine fra techno ed house? Se ne esiste una, naturalmente.
Ovviamente hanno molto in comune. Entrambi si basano sulla cassa in quattro, entrambi sono nati nel vero underground, entrambi sono stati generati da persone con un’attitudine ben definita e riconoscibile (e sovrapponibile l’una con l’altra). Entrambe si sono sviluppate in una maniera simile, da quando sono nate. SI differenziano per dettagli, fra di loro. E sì: nei dettagli le differenze possono essere molto grandi. Possono essere quasi delle vere e proprie opposizioni difficili da conciliare. Ma se ci pensi, questo è esattamene quello che accade in una grande famiglia. Possono esserci similitudini possono esserci contrasti, ma alla fine lo sai che fai parte della stessa famiglia. E ti dirò, in realtà quello che conta davvero non è la differenza fra questo o quello, fra un genere o meno, ma quanto la musica in sé sia in grado di toccare le persone.
So che non è mai facile rispondere a domande come queste, ma: qual è stato il tuo +1 preferito? E, qual è stato in assoluto il tuo socio di back to back preferito?
Eh già, domanda difficile. Soprattutto la prima. Se parliamo di back to back, lì magari riesco a darti una risposta, il mio preferito è probabilmente Kristian degli Âme. Siamo amici da tanto tempo. Nel mia primissima serata targata DIY, parliamo del 2002, ero talmente a corto di soldi che l’avevo fatto dormire – sì, l’ospite era proprio lui – non in un albergo ma sul divano di casa mia. La cosa meravigliosa di suonare con lui è che puoi andare sulla techno, puoi stare sulla house, puoi andare da qualsiasi parte – e puoi farlo veramente a lungo. Oh, questo è un criterio molto importante per me: amico, hai resistenza? Riesci a durare a lungo? E Kristian, ci puoi scommettere, di resistenza ne ha da vendere.
A livello più personale, qual è il segno più evidente e distintivo delle tue origini balcaniche?
Credo il sense of humour, il modo in cui mi appartiene. Che si traduce nel non perderlo mai, anche nei momenti più difficili e complicati.
“Home”, ne parlavamo prima, è un buon punto di partenza: ma cosa dobbiamo aspettarci dall’album?
Varietà di suoni e di stili, a riflettere tutti i miei gusti. Ci sono anche ospiti su questo disco, e la loro presenza non è casuale né frettolosa: sono stato molto attento a dare anche a loro la possibilità di esprimersi pienamente. Alla fine, una delle cose più difficili è stato scegliere quali tracce includere nell’album e quali invece lasciare fuori.
In effetti già il secondo singolo “Kreatur Der Nacht”, uscito proprio oggi, mi sembra abbastanza sorprendente, con la sua virata anni ’80…
Volevo far rivivere musicalmente quel decennio, che ha significato molto musicalmente per la mia infanzia, soprattutto nelle accezioni punk e new wave. Ho chiamato la band Isolation Berlin a darmi una mano a costruire il tutto e devo dire che sì, sono molto soddisfatto del risultato: era esattamente quello che volevo.