In realtà, quando Sfera ha iniziato a pensare e a lavorare a “Famoso” non poteva certo prevedere che il 2020 sarebbe stato un anno così assurdo e, per molti, doloroso. E queste righe non vogliono né possono essere una critica a tutto l’album, non avendolo ancora ascoltato e non potendolo giudicare dai soli titoli (…del resto, pure a leggere il titolo del singolo uscito oggi si potrebbe inizialmente pensare ad una garrula celebrazione della vita da VIP nei club, quando invece ne è un netto emo-disconoscimento). Anzi: comunque è oggettivamente interessante (ed importante) che un artista italiano abbia raggiunto a livello di numeri e collaborazioni importanti “paritarie” quello che ha raggiunto lui. Un traguardo arrivato non con le paraculate o coi talent, ma col lavoro passo dopo passo partendo da zero: chapeau, fatelo voi se ne siete capaci.
Ok. E poi, capiamo anche che una macchina così grossa (produzione, promozione, eccetera) non sia per forza “agile”, vada pianificata in anticipo, dura improvvisare in tempo reale, secondo i canoni del pop, della discografia mainstream, dei grandi numeri e dei grandi palcoscenici.
Il punto è però che proprio la capacità di essere “agile”, di pensare in altro modo, di fottersene delle convenzioni e delle dinamiche abituali è ciò che ha reso grande e popolare ed amata presso le nuove generazioni la trap e la “galassia Sfera Ebbasta”. Tutto perduto? Tutto sacrificato sull’altare del diventare adulti, del diventare “grossi”? Quindi davvero: era necessario andare comunque a presentarsi con un brano come “Bottiglie Privé” nel momento in cui non ci sono privé in cui andare, non ci sono bottiglie di Dompe a cui aspirare (il primo problema improvvisamente, per giovani e meno giovani, è diventato non più avere un successo, ma avere una vita), non ci sono nemmeno modelle da incontrare e/o da inseguire, desiderare?
(Abbasso le modelle strafighe ma stupidotte, non servon più; continua sotto)
La cultura hip hop, e sia rap che trap vi appartengono, ha sempre fatto della capacità di interpretare lo “spirito dei tempi” la sua forza. Lo “spirito” reale, nel bene e nel male: nell’impegno politico come nel consumismo, nel vippaiolismo cannaiolo come nell’ansia di dare un senso ed un sapore alla propria vita borghese immergendosi nelle dinamiche e semantiche da malavita. Ma oggi, oggi che davvero non c’è più un cazzo da scherzare ma nemmeno di farsi i “viaggioni”, vista la pandemia che stiamo attraversando, che senso ha un immaginario così? Può funzionare?
Chissà. Magari sì. Magari come “fuga”. Come escapismo. Ma in realtà quello che Sfera vuole fare – anche dando un occhio al docu-film celebrativo uscito su Amazon che anticipa l’uscita dell’album – è occhio e croce proprio una operazione-verità, nel raccontare la sua vita e nello spiegare anche le trappole del “diventare famosi”, togliendo la patina dei lustrini. Non una messa in scena. “Bottiglie privé”, il primo singolo estratto, uscito oggi, è esattamente questo: un brano che vuole essere un display di “verità”, di “sincerità”, proprio a svelare quanto effimera sia la messinscena continua. Vediamo se ci sarà altro. A occhio abbiamo però proprio l’impressione che presentarsi come biglietto da visita con una traccia così sia un passo falso, sia cioè una scelta inopportuna – e non in senso moralista, ci mancherebbe!, ma proprio in senso di attualità, di capacità di “parlare” alla situazione che si sta vivendo da qualche mese. Non c’era modo di scegliere altro? O, forse, è perché proprio non c’è “altro” nel disco? Quale delle due?
Può essere che la risposta sia “Ormai era pianificato così, non si poteva più tornare indietro”, il che dimostrerebbe che anche l’agile navicella-Sfera, che lo ha portato dal nulla di “Cinny” ad essere il più carismatico musicista/performer italiano della nuova generazione (perché lo è) è diventato un transatlantico un po’ pachidermico, per l’ansia, la voglia o quel che volete voi di simulare ed anzi assumere su di sé i meccanismi dei grandi del pop e del rock. Un approccio che pare anche aver colpito Charlie Charles, che ha avallato per questo singolo un arrangiamento 100% da Sanremo, con l’orchestrona di archi arrangiata nel modo più “facile” possibile, e che già in altri casi – vedi Ghali – ha progressivamente iniziato a perdere la sua freschezza ed originalità do-it-yourself in favore di una marcata paraculaggine “Vedo di imbroccare il suono che funziona di più e sui più grandi numeri”. Come se anche lui, senza essere costretto, senza obbedire a nessuno, ma per il solo gusto della curiosità o della sfida, abbia desiderato volontariamente provare ad abitare gli antri più banali, educati e paraculi del pop. Ce n’era bisogno?
Non moriremo democristiani, ma non fateci nemmeno morire vascorossesi, pezzaliani, ligabuisti, amedeominghevoli: speravamo meglio
L’hip hop era arrivato per cambiare il pop. E sapete che c’è, ci è riuscito. Ha cambiato dinamiche, persone, centri decisionali, equilibri di potere, suono, modo di porsi e di promuovere le cose. Proprio ora che dovrebbe sentirsi vincente ed al sicuro, invece di continuare il suo lavoro di rinnovamento quando arriva al top pare quasi voglia sedersi, voglia provare – non per necessità, ma per rassicurare se stesso di essere all’altezza – a giocare il “gioco dei grandi”. Questo spiega anche la moltiplicazione di manager, contromanager, filtri con la stampa e l’informazione che ormai ogni mc si porta dietro, anche quelli di piccolo-medio cabotaggio, manco fosse Madonna: era interessante quando si trattava di portare a protezione i “suoi”, in una specie di effetto-crew, ora è diventato solo un giocare a fare quelli importanti, quelli grossi e famosi, tant’è che ora la major si trovano benissimo coi loro rapper (e nelle crew ci sono ora sempre uno o due tizi di una major, a far gruppo). Prima si era alieni gli uni per gli altri, ora si va d’amore e d’accordo in modo quasi stucchevole.
Tutto questo è un’anticamera del declino, potenzialmente. E lì sarebbero cazzi dei rapper e di chi investe su di loro: quindi anche chi se ne frega, no?
No. Perché il problema è che tutto ciò rischia di essere una gigantesca occasione persa per tutti, per tutto il sistema, per l’industria, per il pubblico. L’hip hop che prende il comando del mainstream italiano poteva essere davvero una ventata di novità e di rinnovamento, e sotto moltissimi versi è stato davvero così. Ma un hip hop di questo tipo sapeva capire e cavalcare subito lo spirito dei tempi, in modo feroce; sapeva correggere in corsa e in velocità un indirizzo sbagliato; sapeva probabilmente capire che “Bottiglia Privé” non era una buona idea, oggi, fine ottobre duemilaventi.
Del resto, siamo ancora in attesa di capire quale è il “sentiment” (usiamo una parola da marketing da social media management non a caso…) della scena hip hop sui cambiamenti che la nostra vita ha subito a causa del Coronavirus. Sono passati ormai mesi e mesi, ma ancora non si capisce, ancora non si sente nulla, ancora tutti stanno portando avanti le proprie rime e le proprie visioni come se nulla fosse successo, come se nulla fosse cambiato, isolati dalla realtà fattuale. Forse perché attaccati al periodo – gli ultimi anni, quindi tutto ciò che è pre-pandemico – in cui finalmente tutto ha preso a funzionare più o meno bene per tutti. In cui, come la dance negli anni ’80, bastava buttarsi su quell’ambito lì per avere subito un riscontro tangibile. La dance usa-e-getta italiana si è tuttavia dissolta, ma non aveva l’ansia di “durare”, zero proprio, era così effimera che perfino gli artisti si divertivano a cambiare nome ad ogni release; l’hip hop invece continua a proclamare di essere lui il Verbo, il nuovo “alfabeto etico-estetico-sociale” dominante, cazzuto, capace di essere rilevante sia per gli operai e i disoccupati che per l’alta borghesia, sia per le periferie zarre delle periferie che per i ragazzotti-bene dei Parioli – più tutto quello che ci sta in mezzo, senza eccezioni.
Ma se smette di essere vivo, incisivo, capace di “incidere” in modo tagliente nell’immaginario collettivo per invece tentare di farsi nuova annacquata Comunione (nel senso proprio ecclesiastico e pretesco del termine) incurante del contesto, allora occhio, allora davvero potrebbe iniziare il declino. Lo ripetiamo, però: sarebbe un’occasione persa per tutti.
Evitiamolo, finché siamo in tempo.
Speriamo che il resto di “Famoso” sia più interessante, più provocante, più sorprendente, più spiazzante: è comunque la release più importante dell’anno, a livello di attesa, a livello di rilevanza nel ridefinire gli scacchieri. Non moriremo democristiani, ma non fateci nemmeno morire vascorossesi, pezzaliani, ligabuisti, amedeominghevoli: speravamo meglio.