Mentre il suo viso pulito da modellino di Tommy Hilfigher non tradisce un trascorso esageratamente turbolento, la sua ultima fatica (nonché debutto sulla lunga distanza) “Sport” (XL Recordings), sembra un inno di benvenuto alla più sudicia delle crack house londinesi, dove si viene accolti da facce smarrite, disordine opprimente, bottiglie di plastica, ammoniaca e cenere di tabacco. Quando si parla di Powell si chiamano spesso in causa l’electro-punk, il post-punk, la no-wave, l’industrial e l’EBM, ma “Sport” è un inferno punk, punto e basta, fatto di suoni brutti e sporchi, imprevedibili, fastidiosi, ossessivi, impossibili da mixare, viziosi e paranoici ma capaci, dopo una manciata di ascolti, di generare dipendenza: Powell sintetizza la droga in musica, e mette l’attitudine punk a servizio del dancefloor.
Le originali guerre tra chitarre scordate, i bassi monocorda e le batterie che scandivano serie di tonfi più che veri e propri groove sono qui sostituite da una techno irregolare antitetica a sé stessa, loop discontinui e vibrazioni distorte, che mettono a durissima prova il coinvolgimento fisico di chi si dimena sulla pista: non resta che “pogare”.
Se da un lato c’è chi, avendo a disposizione un’infinità di generi diversi, ne raccoglie e rielabora a piacimento l’essenza, dall’altro c’è Powell che attinge al lato “peggiore” della musica elettronica e ne abusa con violenza, lo fa a pezzetti e lo ricostruisce, come fosse Frankenstein, seguendo nient’altro che il libero arbitrio e dando vita alla sua “creatura”. Non c’è nulla di semplice in questo processo e Powell si rivela un vero talento, capace di trovare la quadratura del cerchio all’interno del labirinto paranoico che costruisce, in un groviglio di divagazioni degne di alcuni tra i migliori dischi free jazz; “Sport” suona come una matriosca meccanica, in cui una micro-melodia scaturisce dall’altra prima che venga mandata a memoria, le macchine sono spremute fino all’ossessione e i sample editati e torturati tanto da essere sfigurati.
“Sport” è un lavoro di quelli come mai se ne erano sentiti prima: le uscite di Diagonal (l’etichetta di Powell), su tutte il fantastico “Animals” di Not Waving, potevano lasciar presagire un lavoro fuori dalle righe ma questo disco è davvero sconvolgente, carico com’è di tensione e insofferenza nei confronti degli schemi, fatto di non-suoni, di non-melodie, di non-musica.
Come una droga, il cui primissimo effetto è puro fastidio, “Sport” coinvolge la mente in maniera morbosa, e ci si ritrova, assuefatti, ad ascoltarlo una volta di più, per soffrire ancora un po’; o come l’ago del tatuatore che inietta materia a piccolissime dosi, finché il corpo non è inebriato, e rilascia la giusta dose di endorfina.
Che sia un’opera totalmente genuina o che nasconda un’intuito furbetto poco importa: “Sport” traccia una nuova linea di confine nel campo della musica elettronica contemporanea tra ciò che era e ciò che è, inserendovi la variabile aleatoria della totale fuga da ogni schema predefinito. Se sia questo il futuro che ci attende non si può ancora sapere; nel frattempo è bene che la critica ne prenda atto e si metta a studiare.