Certo, può fare strano accostare i Marlene Kuntz e Squarepusher (per quanto Cristiano Godano sia un insospettabile appassionato/curioso di elettronica): però il dato di fatto è che hanno un destino in comune. Quello di essere sempre legati ad un disco storico: il disco che li ha lanciati, il disco che da medaglia da mettersi al petto è diventato via via non diciamo una zavorra, ma qualcosa da cui non potersi “liberare” sì. Per i Marlene “Catartica”, per Squarepusher “Hard Normal Daddy”. Nel senso: il fan medio, chiede (o spera) sempre qualcosa che vada musicalmente parlando in quella direzione lì. Il fan, o il simpatizzante. Ancora oggi. Dopo vent’anni. Venticinque.
…e stavolta, almeno ad inizio album, Squarepusher li ha accontentati, ‘sti fan tiepidi e simpatizzanti medi. L’inizio di “Be Up Hello” è forse la cosa più simile a “Hard Normal Daddy” Tom Jenkinson abbia fatto uscire dai tempi di… “Hard Normal Daddy”. Tant’è che in giro abbiamo visto più d’uno gioire, per questo. Bene: noi no. Il punto è che “Hard Normal Daddy” – disco gran bello, sia chiaro – va contestualizzato anche e soprattutto nel suo periodo storico. Quando uscì, venne visto quasi come un atto di resistenza verso la piega urban/cattivista/depressiva che stavano prendendo la jungle / drum’n’bass e l’allora imperante trip hop, tutto questo senza piegarsi al “chiasso popolista” del big beat (che fatto dai Chemical era arte, fatto da molti altri in quegli anni era un po’ un esercizio di stile, un tentare di copiare Fatboy Slim, ma con meno genio). Chiaro che in un periodo come quello “Hard Normal Daddy” era un disco-bandiera, un disco da amare anche oltre i suoi effettivi meriti. E che poteva fare coppia con l’Aphex “pop” di quegli anni, quello di “Windowlicker” et similia.
(nostalgici degli anni ’90, a voi! Continua sotto)
Da lì Squarepusher si è evoluto, ha fatto passi in avanti importanti ed esplorato direzioni diverse. Onestamente: ci pare che i passi avanti siano stati riconosciuti più dai suoi fan più accaniti e consapevoli, e invece molto, molto meno da fan più tiepidi e dalla critica specializzata. “Ultravisitor” è un esempio perfetto: uno Squarepusher feroce, avventuroso, che non ha paura ad avventurarsi in territori inesplorati senza indulgere nel “bel suono” e nel tecnicismo cheesy e fusionaro. Quest’ultimo sta sulle palle a quasi tutti tranne che a lui, ma ci sorprende che poche fra le innumerevoli vedove di “Hard Normal Daddy” abbiano mai notato che il manierismo fusion c’era anche lì, per quanto tenuto a bada e sotti i livelli di allarme.
Quindi ecco: noi siamo fra quelli che “Hard Normal Daddy” è stato bello, importante, ci siamo affezionati, ok, ma assolutamente non auspichiamo che Jenkinson torni da quelle parti lì. Noi siamo quelli che “Damogen Furies” è un disco sensazionale, probabilmente il migliore mai fatto da lui, e siamo anche sorpresi nel leggere che in molti, oggi tendano ad ammetterlo, visto che quando uscì ormai cinque anni fa venne in realtà non troppo apprezzato e non del tutto capito. E’ che Squarepusher, nella famosa scala-Arbasino (giovane promessa / solito stronzo / venerabile maestro) dev’essere arrivato per qualche motivo nel terzo stadio. Proprio nell’ultimo paio d’anni. Meglio tardi che mai.
…meglio tardi che mai, ma ora non significa che bisogna perdonargli tutto. E che bisogna intenerirsi perché, con “Be Up A Hello”, ha sentito in parte l’esigenza di tornare alla giocosità degli del disco-Paparino. Perché sono queste tracce, quelle più riconducibili a questa dinamica e a questo “sapore”, quelle più deboli del disco. Quando invece preme il pedale sull’acceleratore della ferocia (da “Nervelevers” in poi, con apice nelle ottime “Vortrack”, “Terminal Slam” e “Mekrev Bass”) allora lì davvero la goduria s’impenna, per noi che vedove non siamo e che invece vogliamo che Squarepusher usi i suoi enormi talenti per sfidare se stesso, non per compiacersi.
(eccolo, “Be Up A Hello”; continua sotto)
Gli manca ancora un passaggio, e nemmeno qua viene colto – ma questo è un difetto che pare accompagnare tutti i grandi cavalieri dell’IDM anni ’90. Tutti appassionati di jungle e drum’n’bass, ma nessuno – a parte Clark, forse – realmente capace di capire quella che è stata l’evoluzione più intelligente, eterea e stilosa della drum’n’bass, ovvero prima la dubstep e poi Burial. Musiche che hanno posto l’accento sulla “profondità”, vuoi di frequenze, vuoi emotiva. La musica di Squarepusher continua ad essere meravigliosa e geniale, molto più in alto degli standard medi passati, presenti o futuri di quello che gira attorno, chi lo nega è in malafede o si fa fregare da soggettive questioni di gusti; ma non riesce ancora a compiere quel “passo ulteriore” che gli vorremmo veder compiere, ovvero passare dalla bidimensionalità (per quanti eccezionale ed articolatissima) alla tridimensionalità, riducendo magari le miniature e i virtuosismi ed aumentando invece la ricerca di “spazialità” nel proprio suono, nel proprio impatto.
Cosa di cui “Damogen Furies” non aveva bisogno, perché era al grado zero della ferocia e questo già di suo saturava tutto, e cosa che “Be Up A Hello” non raggiunge. E che “Hard Normal Daddy” non ha mai realmente avuto – ma per i ben precisi motivi storici che vi spiegavamo ad inizio recensione. Quindi ecco, il nostro parere su questa release 2020 di Jenkinson è positivo, ma con riserva. Poi chiaro: meglio uno Squarepusher-con-riserva del 90% delle cose che si sentono in giro oggi. E comunque, riascoltatevi “Catartica”…