Per celebrare il Record Store Day, non potevamo che sederci a fare quattro chiacchiere con qualcuno che ha fatto del negozio di dischi la propria passione e ragione di vita. Siamo andati a conoscere Lorenzo Fortino, proprietario del negozio Isoma, che rivendica con orgoglio essere il primo di Firenze Sud, nel quale non è raro incrociare artisti internazionali in visita e il cui nome è una dedica proprio alla nonna materna di Lorenzo, Isotta Maretti. Lorenzo ci ha anche raccontato della sua esperienza quasi ventennale come DJ, delle sue esperienze all’estero e del suo lavoro come produttore e label manager, che culmina proprio oggi nel lancio del disco “Pineto Connection”, per la neonata label Connessioni, scritto a due mani con il produttore Brody.
Iniziamo parlando un po’ di te e dei tuoi inizi, da dove è partita l’avventura di Lorenzo Fortino nel mondo della musica elettronica?
Sono DJ dal 2005, sono partito con eventi locali, a Firenze, poi Toscana e poi via via, in varie parti d’Italia, ho girato abbastanza. Dal 2009 poi sono stato sia a Berlino che a Londra, dove ho avuto modo di visitare molti negozi di dischi, che è sempre stata una mia passione. Mi intrigava questa attività del negoziante, era un sogno da quando avevo finito le superiori. Mi dicevo che un giorno avrei voluto aprire un negozio, però ai tempi era una cosa abbastanza difficile, la vedevo quasi come irrealizzabile, anche la mia famiglia e tutti intorno a me. Nel frattempo ho continuato a suonare sempre di più e sono uscito con la prima produzione nel 2016, nonostante lavorassi su musica già dal 2006, una decina d’anni buoni, facevo cose ma non uscivano. Nel mentre sono stato anche resident alla serata Lattexplus di Firenze per due anni e mezzo circa, dove ho avuto modo di fare aperture a vari DJ guest italiani e stranieri. A un certo punto ha iniziato a starmi un po’ stretta come cosa, perché dovevo sempre preparare la pista e l’atmosfera, poi arrivava la persona dopo che si prendeva la parte centrale. Fai il lavoro sporco e la gente in euforia ci va nella parte dopo. Però ora mi rendo conto che è stata una fortuna, perché fare tanti anni di aperture è una roba formativa, che ora mi aiuta un sacco quando devo fare un DJ set lungo, avendo imparato a gestire i livelli di energia, come salire e scendere durante una serata.
Il lavoro di chi fa l’apertura secondo me è quello più difficile. Spesso viene sottovalutato e diventa uno slot per DJ emergenti che hanno iniziato da poco e che non comprendono il momento, il loro ruolo durante la serata.
Ci vuole tanta maturità perché se fai un’apertura fatta male, poi la persona dopo deve impazzire per riprendere la pista, rischi di rovinare una serata. Ora come ora capisci realmente quanto un DJ è preparato, quanto sa fare il suo lavoro, se fa dall’inizio alla fine o se suona in apertura e sa gestire bene la pista, anche se è giovane. L’apertura veramente è una roba difficile, che richiede tempo per saperla fare bene.
Dicevi che hai vissuto tanti anni all’estero. Qual’è stata la differenza più grande che hai notato con l’Italia?
Sicuramente all’estero, soprattutto a Berlino, di negozi di dischi ce n’erano quanti ne volevo, c’erano tutte le uscite del momento e in gran quantità, qualunque cosa. C’era tutto quello che non trovavo qua in Italia e, avendo sempre bisogno di cose nuove, mi ritrovavo a girare per negozi e non trovavo quello che volevo. Arrivando a Berlino, per esempio da Hardwax nel 2009, trovavo tutto. Quello sicuramente è stato fondamentale perché ti apre mondi e non ti limita. La ricerca è quello che alimenta la mia passione, mi piace tanto quanto suonare. Girare tanti negozi di dischi mi ha fatto poi ragionare su come lo volessi io, l’idea di ricreare una cosa molto familiare, molto intima, con molto dialogo tra me e la persona che viene a comprare. Questa è una cosa che molti notano, essendo un negozio piccolo c’è molto scambio, sto dietro alle persone, non è una roba fredda.
Qual è il ruolo del negozio di dischi nel 2023?
Il negozio di dischi ti deve fare una scrematura di quello che, secondo il proprietario o di chi ci lavora, è di qualità. Il proprietario o il dipendente ti dà la propria visione, quello che lo rappresenta di più. Che poi quello che piace a me può non piacere ad un altro e anche se dai gli stessi dischi a due persone, escono due DJ set diversi, dipende molto dalla personalità di ognuno. È bello vedere come ogni persona interpreta un disco, come interpreta un DJ set.
Come hai fatto a dare la tua direzione ad Isoma?
In generale, nonostante abbia gusti molto aperti a vari generi, quello che seguo di più sono la musica elettronica, hip hop e Italiana. Seguendo e conoscendo tanti artisti che fanno musica indipendente già prima di aprire il negozio, per me è stato semplicissimo perché chiedevo direttamente ai produttori e alle etichette di darmi il materiale, quindi è stato veramente facile partire perché tanti produttori italiani li conoscevo di persona o comunque ci ero in contatto tramite internet, e così avevo sottomano tutta la musica che avrei voluto spingere. Ci tengo a dirlo che ho sempre avuto un occhio di riguardo prima per i produttori italiani e poi ovviamente per tutto il resto, anche vedendo come all’estero spingano prima la musica nazionale. Ho iniziato a chiedere i dischi a tutti e le etichette apprezzavano il fatto di avere un disco in un negozio fisico piuttosto che online, sapendo che se lo compro, poi lo propongo e lo spingo, avendo il contatto diretto con l’acquirente. È un negozio un po’ anomalo perché anche se un disco vende tremila copie in un secondo non è detto che lo compri: ovviamente c’è la parte commerciale, ci mancherebbe, però deve essere un disco che mi dice qualcosa, altrimenti non lo prendo. Allo stesso tempo ho spinto tanti dischi che per me erano perle ma rimanevano un po’ sottovalutati.
Com’è stato rientrare a Firenze dopo essere stato all’estero? Raccontaci un po’ della scena locale.
La prima volta che tornai da Londra, a fine 2010, mi sono ritrovato spesso con tre altri amici DJ e produttori, tutti di Firenze Sud, proprio nell’arco di due chilometri. Eravamo io, Herva, Dukwa e Sciahri, tutti e quattro abbiamo un approccio diverso nella produzione e nel DJ set, ma tutti sull’elettronica. È una roba strana perché siamo molto amici, molto influenzati tra noi, però poi ognuno ha sviluppato il suo stile. Un altro amico sempre di Firenze è Samuele Pagliai, di Angis Music, con cui ci confrontiamo su ogni passo che facciamo. Poi c’è Rufus, gran cultore di musica e proprietario dell’etichetta Quindi Records, un DJ che quando ero ragazzo mi ha influenzato molto, come figura di riferimento in città. A Firenze ci sono tante serate, ognuna ha un suo percorso, ma sono tutte un po’ distaccate tra loro, magari è quella la cosa che non crea una vera e propria scena. Giustamente ognuno fa la sua serata, ogni produttore decide di fare il proprio percorso, quindi se non c’è un’attitudine simile, succede che non ci sia coesione in quello che si fa, ma è normale; non è che si può stare per forza tutti insieme. Comunque, ora come ora, non ci si può lamentare, tanti altri stanno facendo bene il loro percorso e mi fa piacere. L’unica cosa che mi sento di dire è di impegnarsi per portare questa città ad avere sempre più musica di qualità, poi ognuno faccia le proprie scelte.
Qual’è invece la città dove ti trovi meglio?
Direi Roma, penso lì mi conoscano quasi più che a Firenze. Ognuno in Italia ha una città dove è più apprezzato, dove le persone sono più in linea con il tuo pensiero. Nel mio caso ti direi Roma. Recentemente sono sceso e ho visto che tanti conoscono i miei dischi, magari anche quelli più sperimentali e li apprezzano, cosa che qui è più difficile. Forse perché Roma è una città con uno stampo di musica elettronica più vicino alle mie corde; l’uscita su Miniera di Marco Folco sicuramente ha influito. Nella mia città è una roba un po’ strana, le persone rispettano quello che faccio ma percepisco che non sono molto dentro al mio viaggio, non riescono a collocarmi. Forse è quello che volevo avere: trovare la mia identità, che non stia in un genere ben preciso ma nell’approccio personale alla produzione e al DJ set. Comunque, alla fine io sono di Firenze e la mia casa resta qui. Ultimamente devo dire che il TENAX, sta facendo una programmazione sempre più underground e di qualità, ospitando DJ che stimo molto e rispetto per l’attitudine, ora come ora è la cosa che vedo più in linea con il mio pensiero di club.
Parliamo della tua tua produzione musicale e del tuo lavoro come label manager, da dove nasce la tua prima etichetta, Futop?
L’esigenza è stata che, non riconoscendomi in tante etichette, ho detto vabbè, di qua non mi supportano, di là non capiscono quello che faccio, tanto vale andare da soli. Poi avendo una tipologia di gusto nella produzione che sta un po’ in mezzo tra House e Techno, e la parte più sperimentale, non è una roba ben collocabile. Quindi l’ho aperta per fare uscire la musica come volevo: nel 2016 il primo CD, nel 2017 il primo vinile, poi tutto è venuto di conseguenza e ho avuto più chiara la visione di cosa volessi fare. Mi sembra che la gente uscita dopo uscita abbia apprezzato il tocco che ho voluto dare, sia di grafica, di tracklist, o di tipologia di musica diversa, e lo colleghino proprio a me e a Futop Musica.
Quindi volevi prima di tutto mantenere un certo grado di controllo sul pacchetto completo della release?
Sì esatto, volevo avere proprio il controllo al cento percento su come sarebbero usciti i pezzi, sul master, su come suonava, eccetera. Se mandi i tuoi lavori alle etichette magari ti stravolgono la tracklist, fanno un master che non suona come vorresti, una grafica che non ti rappresenta; allora ho detto no, faccio la mia, almeno so che sono io, se sbaglio, sbaglio io. Il genere è principalmente un misto tra Techno e Ambient, a volte con qualcosa un po’ più House, però la matrice rimane Techno.
E da dove viene invece l’esigenza di lanciare Connessioni, la tua nuova label?
Praticamente quest’estate sono stato al Pineto, ospite del mio amico Brody, e abbiamo fatto questo disco insieme, nonostante ci conoscessimo poco, musicalmente parlando. Io non avevo praticamente mai provato a stare in studio con altre persone. Avevo fatto qualche prova, però sentivo che qualcosa non mi tornava, non riuscivo tanto a confrontarmi, avevo la mia visione ed ero troppo testardo. Quindi alla fine non usciva mai nulla, facevo fatica ad accettare i pezzi perché sentivo che non c’ero io al cento percento, mentre poi ho capito che dovevo aprirmi, provare, far sì che il disco suonasse cinquanta percento me e cinquanta percento un altro produttore. Riuscire a fondere i due gusti alla fine è anche una cosa bella, perché escono cose che da solo non avrei mai fatto. Quindi, dopo aver fatto questo disco, ho pensato che fosse il momento giusto per lanciare un’etichetta dedicata proprio alle connessioni, queste collaborazioni con altri produttori. La label non avrà genere, può essere che esca un disco Ambient come un disco tipo questo con Brody che è prettamente da club, tutto quattro quarti. Non voglio darmi limitazioni di genere, dipende dalla persona con cui collaborerò. Arriveranno anche collaborazioni estere, quando mi potrò spostare, perché a distanza non riesco, ho bisogno di stare in studio con l’altro produttore e creare proprio una connessione umana.
Come vedi il futuro del vinile?
Per quanto riguarda il futuro del vinile, io lo vedo prosperoso, lo vedo buono. Le persone stanno iniziando a dare più valore ai cinquanta dischi che hanno in casa rispetto ai 6GB nell’hard disk, che poi magari neanche ascoltano. Vedo tra le persone più giovani quanto stia assumendo proprio questo valore, come guardano la copertina, l’inserto, i crediti. È come avere una parte del produttore o dell’artista in casa, è una cosa fisica, che puoi toccare. Allo stesso tempo non sono assolutamente un estremista del vinile contro il digitale, infatti ho fatto e continuerò a fare anche produzioni solo in digitale, su Futop musica ogni tanto esce qualcosa,quando passa un po’ di tempo tra le uscite in vinile, per dare più continuità.
Pensi continuerà ad essere così popolare nonostante i vari problemi del formato? Soprattutto per quanto riguarda i tempi e costi di stampa.
I costi sono un bel problema. Non è nemmeno il fatto dei rallentamenti delle stamperie, perché ora sono già tornati più veloci, il problema è proprio il costo molto alto. Stampare un disco è una cosa che al momento posso fare fino a un certo punto, la musica ci sarebbe, però ogni volta ci vogliono 2000€ per stampare un disco, capisci bene che non è facile. Però vedendo come i giovani che non sono nati con il vinile si approcciano al formato, penso che non potrà più andare via. Se poi si troveranno modi di produrre dischi con materie prime più ecologiche e sostenibili, penso davvero che non potrà più andare via perché è veramente uguale identico ad avere un libro. Quando ti metti un disco in casa non è come accendere Spotify e vedo che le persone stanno dando più valore a questa cosa. Sembra una stronzata questa cosa del rituale, però è vero: quando sei in casa, ad una cena con gli amici, o ad una serata, quando metti il disco, appoggi la puntina, è come se quel momento lì lo dedicassi interamente alla musica, che di solito gira sempre come sottofondo, mentre quel gesto gli dà più attenzione, più valore. Tante persone lavorano per far uscire un solo disco. Anche le grafiche sono a volte sottovalutate, ma riescono a dare un tocco personale e identificativo all’uscita. Ad Alessio Anthony, che ha curato la copertina per la prima uscita di Connessioni, gli abbiamo dato qualche indizio, lasciandogli carta bianca, gli abbiamo detto fai te. E lui ha fatto un bel bel lavoro. Stessa cosa per Andrea Guardiani, che ha curato il logo dell’etichetta.
Parlando invece del tuo di futuro, che piani hai per i prossimi mesi?
Per quanto riguarda i miei progetti futuri, a parte il disco su Connessioni con Brody con cui lanciamo l’etichetta, poi uscirà su Futop Musica qualcosa in digitale, su Bandcamp, il 12 Giugno, successivamente il Futop musica 6, tra Dicembre e Gennaio, in vinile. È già pronto da marzo scorso e va solo stampato. Nel frattempo abbiamo finito in questi giorni che sono tornato al Pineto il disco nuovo con Brody e ho in programma di fare alcuni EP con altri produttori italiani e stranieri. Avrei questo sogno di andare il prima possibile in Giappone e in America, culture che non conosco da vicino, non essendoci mai stato, ma che rispecchiano su lati diversi il mio modo di vivere la musica. Per ultima cosa, ho già iniziato il nuovo album, ma questa volta voglio prendermi più tempo per capire in che direzione andare. Sta già prendendo forma: vivo la musica in maniera naturale seguendo il flusso della vita, l’unica cosa che so per certo è che suonerà “vero” e sperimentale come gli album precedenti.