Non sta tornando. Se qualcuno in preda all’eccitazione del momento vi dice il contrario, rassicuratelo: “no amico, non vedrai nessun ritorno di fiamma jungle. Non come lo vorresti tu almeno“. E se qualcun’altro un po’ più autorevole sottotitola un lungo editoriale con parole a effetto tipo “uno dei suoni dance più iconici di sempre è di ritorno“, beh, prendetelo come un piccolo cedimento alla speculazione giornalistica, per un tema che da sempre catalizza gli entusiasmi di tutti gli appassionati dance. Perché una nuova ondata di produzioni e set jungle istintivamente la vorremmo tutti, non c’è da nascondersi. Magari con una manciata di festival a tema. Magari andare sulla lista prossimi eventi di Bandsintown e ritrovarci un paio di serate jungle al mese. Se ne parla da sempre, più o meno ogni anno, a cadenza regolare, ma le cose alla fine restano sempre al livello di circoscritte fiammate. Avrebbero potuto esplodere in più di un’occasione, ad esempio per quell’operazione di potente restauro fatta da Zomby nel 2008:
O per quel mix di eccitazione ed euforia che fu “Jungle Rinse Out 1993-2001“, il disco bonus regalato nel 2011 da Scuba per il suo DJ-Kicks. O quando Luke Vibert tornò come Plug, sempre nel 2011, riesumando con “Back In Time” una decina di pezzi prodotti da lui nei ’90. Tutte buone ragioni per far scattare di nuovo la scintilla delle produzioni odierne, dei giovani e dei meno giovani. Ma di vere e proprie esplosioni non se ne son viste. Il che, fate attenzione, non significa che il genere è morto. Ancora oggi, per la jungle va più o meno allo stesso modo che per la sorella drum’n’bass, e più o meno allo stesso modo di quel che è oggi il momento dubstep. Ossia, esattamente come ci ha detto a gran voce Om Unit nella nostra recente intervista: “non osate darla per morta. La jungle è ancora una cultura viva, fatta di produzioni underground e serate ancora presenti, e riscoprirla in senso retro è una cosa sbagliatissima“. È vero, e questa se ci pensate è la dimensione che la jungle oggi davvero merita. Senza titoloni troppo eclatanti che rischino di (ri)avvicinarla al mainstream. Una presenza costante e genuina che accompagna ancora certi ambienti e che di tanto in tanto riaffiora nelle produzioni degli artisti più arditi. Come appunto fa spesso lo stesso Om Unit e la sua Cosmic Bridge:
Oppure come di tanto in tanto fa la combriccola degli ultimi footworkers. O quel geniaccio di Machinedrum, che vira il mood su un’atmosfera sempre elegantissima. Tutti personaggi che trattano la jungle come materia fresca e la plasmano sulle varie visioni moderne. Con carattere, ma soprattutto con rispetto, per un genere che lo merita ancora tutto. Ora, l’ultima novità di questi giorni è la jungle war: uno scambio di dubplates-sfida tra i producers più appassionati che ricalca quanto successo l’anno scorso in ambito grime, e che nell’ultimo paio di settimane ha coinvolto gente come Sully, Epoch, Gantz, lo stesso Om Unit, Filter Dread e tanti altri (li trovate tutti raccolti in questa playlist su soundcloud, ma prendetevi un paio di giorni di ferie perché sono 250 tracce). Un’iniziativa che nasce dalla pura passione e produce pura passione, con quello spirito competitivo che a chi conosce il vero spirito dei tempi che furono suona tremendamente romantico. Qualcosa che esula da ogni possibile ipotesi di monetizzazione dei risultati, che fa divertire gli autori e soddisfa la sete di stimoli degli appassionati. Una delle più cliccate è quella di Sully, sentite qua:
Lo spirito più vicino possibile ai vecchi tempi, quelli delle radio pirata e delle tracce anonime che passavano di mano in mano tra le strade britanniche, per poi finire suonate tra un rave illegale e l’altro. È ancora viva la jungle, ma il cielo voglia che non se ne accorgano in troppi e resti com’è adesso. Perché la nostalgia a volte può essere una brutta bestia, esser cocciuti può provocare danni enormi, se provi a riportare in auge qualcosa che in passato è stato leggenda (perché questo è stato) e che oggi non può più ripetersi. Per questioni che riguardano il contesto del tempo, i mezzi di diffusione e i canali mediante i quali l’entusiasmo si propagava. Oggi tutto questo può spostarsi su internet (lo sta facendo), può ancora rappresentare l’indole ribelle giovanile e far da bug nel contesto generale. Ma se la jungle “tornasse di moda“, sarebbe prima di tutto un danno per la jungle stessa, che moda non ha mai voluto esserlo e che nell’immaginario di tutti noi rappresenta ancora il frutto più riuscito dell’irriverenza incosciente di una generazione dannata.
http://youtu.be/Qhsj7c-zSvg
Un festival come quelli moderni, col botteghino del merchandising e i biglietti prenotati online? No, grazie. Continueremo a scavare nel fango, tra gli angoli remoti del web, come facevano i ravers di Manchester coi loro segnali in codice. Come membri di una setta segreta. Continueremo a fare i conti con la massima attenzione e in maniera del tutto personale con quei casi che negli anni scavalcano la cortina mainstream (storicamente è sempre successo più sul versante d&b, gli ultimi grandi sdoganatori restano ancora i Pendulum, mentre i Rudimental preferiamo considerarli una parentesi già ridimensionabile, e chissà cos’altro può ancora capitare). Ma faremo sempre in modo che la jungle occupi nel nostro cuore uno spazio incontaminato, genuino, sia esso quello originario di un tempo che quello intellettualmente impegnato di oggi. Di amori veri ne esistono pochissimi, che nessuno muova una foglia circa il nostro. Unico caso nella storia capace di restare puro, cattivo, maledetto, anche quando finiva su Mtv.