Il talento sopraffino di un illusionista della musica elettronica; la costante ricerca di nuovi stimoli e il rifiuto di una piatta monotonia; tanto spazio per immagini a largo campo visivo, adatte alle pellicole dei CinemaScope: “Hollowed”, prossima uscita firmata Alan Myson, corona la discografia assolutamente convincente di un artista che nel suo lavoro ha deciso di mantenere fede solo a se stesso. Lo abbiamo intervistato a tre settimane dalla data di release, per parlare di ispirazioni, di maturità e dell’importanza di divertirsi facendo musica.
Perchè “Ital Tek”?
Ahah! Sapevo che me lo avresti chiesto. In tutta onestà: non c’è un perché. Facevo musica da tipo dodici anni e quando ad un certo punto mi hanno chiesto di suonare, dovevo scegliere il nome da far stampare sulla locandina, e ho scelto questo. Non avevo tempo per elaborare un nome. Mi hanno chiesto tantissime volte se avesse un significato particolare ma non ce l’ha, può voler dire qualsiasi cosa. Sicuramente mi piace l’Italia, per questo l’ho scelto.
Internet dice che sei un producer dubstep. Qualcuno dice che il dubstep è morto, io invece penso che avesse più che altro bisogno di allontanarsi dalle luci della ribalta per evolversi in qualcosa di meno commerciale, e che sia ad oggi ancora una parte importante della musica elettronica. Che ne pensi?
Penso che su internet la mia musica venga spesso etichettata come dubstep perché all’epoca del mio primo album, nel 2008, ero molto influenzato dalla musica elettronica britannica underground, e la musica dubstep mi piaceva un sacco. Certe influenze rimarranno per sempre nella mia musica ma, ad oggi, non c’è più alcun legame tra la musica che scrivo e quello che viene comunemente chiamato dubstep. Una volta che su internet ti affibbiano un’ etichetta, quella rimarrà lì per sempre; il mio amore per la musica che ho adorato tra il 2005 e il 2008, quella che stava venendo fuori a Londra e a Bristol, non svanirà mai; ma per me non ha più alcun significato.
Ti sei dedicato a stili e generi diversi: IDM, glitch, footwork e ancora IDM e la tua musica sta continuando ad evolversi, un po’ come i gusti del pubblico. Cos’è che cambia davvero, quando scrivi la tua musica, da un album all’altro?
Una grande parte della musica che scrivo non viene pubblicata, ma se tutti avessero modo di sentirla potrebbero riconoscere un percorso preciso che parte dagli inizi e conduce fin qui, e sarebbe tutto più chiaro. Se facessi sempre la stessa musica per periodi troppo lunghi mi annoierei: ho bisogno di divertirmi, di tenere viva l’ispirazione e di rinnovare di volta in volta la mia passione. Sono in tanti a fare sempre la stessa musica, lungo tutta la loro carriera, e magari lo fanno anche bene, ma io non riuscirei proprio. Devo cambiare continuamente per divertirmi, perché se non mi diverto io allora non si diverte nemmeno chi ascolta; la gente si accorge quando la musica non è ispirata, quando non è fedele alla passione di chi la compone. Quindi per me è del tutto naturale passare da uno stile all’altro: io faccio musica tutti i giorni tutto il giorno, e negli anni sono cambiato. Quando faccio musica non penso mai allo stile finale, né penso al tipo di pubblico che la ascolterà. I miei gusti cambiano così come cambiano quelli delle altre persone; faccio dischi da dieci anni oramai e per non annoiarmi cerco sempre di evolvermi.
Quale album, artista o genere ti ha ispirato di più mentre lavoravi a “Hollowed”?
Per quest’ultimo album ho preso la cosciente decisione di non ascoltare affatto la musica attuale. Quando lavoro ad un album, passo nel mio studio anche dieci ore al giorno e ascoltare troppa nuova musica può essere distruttivo, perché mi fa mettere in discussione il mio lavoro. Penso che sia molto importante sentirsi liberi mentre si fa musica, senza stare a pensare a quello che nel frattempo stanno facendo gli altri. Ho ascoltato un sacco di musica classica e, in genere, di musica del passato, ma ho trascurato la musica uscita negli ultimi due anni.
E una volta completato il disco?
Sì, qualcosa. Ho sentito il nuovo di Squarepusher, per esempio, perché un mio amico si occupa dei visual per i live; inoltre ci ho suonato insieme. In realtà passo talmente tanto tempo a fare musica che faccio fatica a trovare il modo per ascoltarla; sembrerà strano, però io non sono un dj, durante i miei live suono solo la mia musica perciò non sento il bisogno di essere sempre aggiornatissimo. Ho completato “Hollowed” alla fine dello scorso anno, così di recente mi sono messo ad ascoltare un bel po’ di cose nuove: è una cosa ciclica.
Tu hai detto di “Hollowed” che è il disco che avresti voluto fare a 14 anni ma non ne eri capace. Adesso ne hai 30 e ci sei riuscito. È’ questo, per te, l’album della “maturità”?
Quello che volevo dire è che ho passato tantissimo tempo a desiderare di fare musica, e a fare musica prima di cominciare a pubblicare qualcosa, senza che nessuno potesse sentirla. Quando fai musica solo per te stesso, produci qualcosa di estremamente puro, di estremamente onesto e puoi sperimentare di più. Sembra un atteggiamento infantile ma questo è quello che intendo quando parlo della musica che avrei voluto fare allora, nel senso che volevo essere totalmente libero, senza nessun tipo di pensiero, per poter comporre istintivamente e sperimentare e girarci intorno. Ho sempre pensato, di ogni mio album, che fosse quello “maturo”, ma in “Hollowed” ho investito talmente tanto tempo che è il lavoro di cui vado più orgoglioso: è quello più fedele a ciò che ho sempre voluto fare.
Ho letto da qualche parte che per “Hollowed” ti sei ispirato alla Sinfonia N°3 di Henryk Gorecki: la stavi ascoltando dal vivo e lì hai capito come doveva suonare il disco. Com’è successo?
Quel pezzo mi ha ispirato per i suoi arrangiamenti e per come raggiunge alti livelli di intensità con i suoi tempi molto estesi; è molto emozionale. Sono andato a sentirlo dal vivo due anni fa circa, a Londra; c’era un’orchestra sinfonica di sessanta elementi. Il pezzo comincia con un basso doppio e poi piano piano arrivano tutti gli altri strumenti in un meraviglioso crescendo, per poi tornare di nuovo al nulla. Ho voluto provare a dare più spazio all’arrangiamento senza preoccuparmi di prendermi il tempo di cui avevo bisogno. Quando fai musica che si ispira a quella da club le tracce devono crescere velocemente già nei primi secondi, e devi attenerti ad una rigida struttura in maniera tale che funzioni nel club, insieme ad altri pezzi. Invece in questo disco ho voluto staccarmi da queste rigide regole per costruire, ispirandomi a Gorecki, un arrangiamento più minuzioso che potesse evolversi in maniera più naturale.
Il modo in cui si sviluppano i tuoi arrangiamenti porta spesso l’ascoltatore a chiedersi cosa stia per succedere; sembri un’illusionista, uno che cerca di stupire il suo pubblico alla maniera di Houdini. Immagino sia una cosa voluta.
Apprezzo molto quello che mi stai dicendo. Faccio musica per emozionare, in effetti. Mentre lavoro alla mia musica cerco innanzitutto di mantenere vivo il mio interesse, anche perché posso lavorare settimane o addirittura mesi ad uno stesso pezzo, e devo sentirne l’emozione anche dopo così tanto tempo, soprattutto nell’arrangiamento. Quando fai musica tutto il giorno arrivi facilmente ad annoiarti lavorando sempre su una traccia, così cerco di rendere i miei pezzi sorprendenti e di costruire arrangiamenti che conducono la traccia su un percorso inaspettato. Ci tengo a tenere vivo l’interesse tanto di chi ascolta, quanto il mio.
La tua musica suona spesso come una colonna sonora: è molto emozionale, ti prende per mano e ti conduce all’interno di un immaginario profondamente figurativo. Ti ispiri molto ai film e alle immagini?
Sì, molto. Sono un grandissimo fan dei film e passo molto tempo ad ascoltarne le colonne sonore. Adoro la musica dei film e questa rappresenta certamente una grande ispirazione. Non faccio mai riferimento ad un immaginario specifico ma ho certamente delle immagini in mente quando faccio musica, fossero anche semplicemente delle strutture particolari o dei colori. Non c’è mai una vera e propria narrazione. Si può essere influenzati dalle immagini che si hanno in mente, e questo aggiunge sicuramente colore al prodotto finale. una cosa che ho fatto soprattutto di recente, quella di associare la musica alle immagini, ma sicuramente mi ci dedicherò di più in futuro. Sì, è una delle cose che mi hanno maggiormente influenzato.
La rave culture ha avuto un impatto enorme sulla musica. Quanto ti ci sei immerso?
Sono troppo giovane per aver potuto partecipare ai rave degli anni ’90, ma i miei primi amori sono stati la jungle e il d’n’b, e poi il garage. Sono cresciuto in un luogo dove non girava molta musica elettronica, quindi al massimo ho partecipato a qualcosa per cui, tra l’altro, ero troppo piccolo. Non andavo a Londra, sono cresciuto a Oxford dove più che altro c’erano tante band, tanta musica dal vivo. Avevo questo misterioso amore per la musica elettronica ma non avevo idea di chi la facesse o come si facesse. Poi sono andato a Brighton, all’università, e lì ho cominciato a partecipare a più eventi. Comunque il fatto di non conoscere per niente il mondo della musica elettronica è stato fondamentale, perché ai miei occhi appariva come una cosa misteriosa e speciale ed è per questo che ho cominciato ad occuparmene: per sentirmi speciale.
English Version:
A supremely talented illusionist in electronic music, constantly looking for new challenges and rejecting a flat monotony; a lot of space for wide-field images that perfectly suit the CinemaScope film: “Hollowed”, the upcoming release by Alan Myson, crowns the amazing discography of an artist who decided to be only true to himself. In the following interview we talked about inspirations, maturity and the importance of having fun making music.
Why “Ital Tek”?
Ahah! I knew this would get asked. To be honest: there’s no reason behind it. I’ve been making electronic music for about twelve years or so, and when I first got asked to play a gig they needed the name for the poster, for the flyer, and I just choose it; I had no time to come up with the name. It really doesn’t mean anything. I do got asked a lot if there’s any reference in particular but it can mean anything. I love Italy and that’s the reason.
The internet says that you’re a dubstep producer. Someone says that dubstep is dead; I just think that it needed to hide itself from the limelight and to evolve in something less commercial because it’s still a very important part of electronic music. What do you think it’s going to happen to this “genre”?
Well, I think that my music is described in some places on the internet as dubstep because when I released my first album in 2008 I was really influenced by a lot of the underground UK electronic music and what was really exciting to me at that time was dubstep music. I’ll always have that influence, the bass way, the space and the pressure of that music in my writing but I really don’t find any link these days, when I’m writing, back to what would be described as dubstep. Once a label is written down on the internet, that’s going to be there forever. It doesn’t really mean anything to me anymore to be honest. I’ll always have a lot of love for the music I was really excited by in 2005 to 2008, the really early stuff that was coming out in London and Bristol but today, in 2016, it doesn’t mean too much to me.
You’ve been through many styles and genres: IDM, dubstep, glitch, footwork, IDM again and your sound is still evolving, just like audience’s preferences do. What does it really change, when you write, from album to album?
I think when I’m writing I write so much music that never gets released. If other people could hear all of the music I write, they could see a path from when I first started to now and maybe it would be a lot clearer. I just get bored if I write the same kind of music for too long and I need to keep things exciting for myself and to be inspired and to refresh what makes me want to make music. There are many people who make one style of music for their all career, and they do it very well, but I just can’t do that; I have to change what I’m doing to make it exciting to me. If it isn’t exciting to me, people are not going to listen to it because you can just tell if music isn’t honest, if music isn’t true to what the person is actually inspired by, so my style has changed a lot over the years, but for me it feels quite natural because I’m doing it every day, all day. When I’m writing music I don’t really think about how it’s going to fit into anything in particular or who’s going to listen to it. I’ve my taste’s changes and so everyone else has; I’ve now been releasing records for 10 years and I just have to see progress or things become boring for me.
While writing “Hollowed”, what is the album, artist or genre that influenced you most?
For “Hollowed” I made the conscious decision not to listen to any music or, at least, not to any new music. When I’m writing I’m in my studio for nearly ten hours a day, just working on music, and I find it can be detrimental to my music if I’m listening to too much new music, because it makes me second-guess what I’m doing. I think you need to be really free when you write your music, and you can’t be thinking about what other people are doing, so currently with this album I’ve listened to a lot of classical music and I’ve listened to a lot of music from over the years, but I really haven’t paid much attention to current electronic music for the last two years.
And once “Hollowed” was completed?
Yes. For example I heard some of the new Squarepusher because a friend of mine does his live visual show and I’ve played a gig with Squarepusher, but I just spend so much time making music that I don’t have much time to listen to music; it probably sounds strange but I don’t see myself as a deejay: when I play live I just play my music so I don’t feel the pressure of having to be on top of what everyone else is doing. I finished the album last year and it’s going to come out in three weeks, and I’ve recently listened to a lot of stuff from last year. It just goes in cycles for me.
You said that “Hollowed” is the album you wanted to do when you were 14, but you were still not able to do it. You’re 30 now, and you finally did it: is this your “maturity” album?
What I meant by that was: I spent so long wanting to make music, and making music before I released music, and nobody have ever heard anything; when you make music just for yourself it’s very pure and it’s very honest and you experiment more. This is a naïf attitude and that’s what I meant when I said that this is the album I wanted to make then. I wanted to just free myself from worrying about writing music, and just write instinctively and experiment; I think the best music is when you don’t know what you’re doing, when you don’t think about it and you just experiment and you mess around. Back to your question about “maturity”: I always find that whatever I’m working on at the time feels like that, but I spent so much time on this album that it does feel like the work I’m most proud of, it feels most true to what I really have always wanted to do.
I read somewhere that Henryk Gorecki’s Symphony No 3 was your first inspiration for “Hollowed”: you were listening to it live and you just understood the way it had to sound. How did it happen?
For me that piece influenced me because of its arrangement and how, with so much space within the music, it reaches the point of intensity; it’s extremely emotional. I went to see it live about two years ago in London, it was a sixty piece symphony orchestra; it starts with one double bass and then very very slowly the other instruments come in, and it reaches a huge crescendo and goes back to nothing again, and I wanted to try to make my arrangements have more space in development, and not to worry about taking that time. When you make music that’s more influenced by dance music or club music, within a few seconds your track has to be really big, you have to follow a certain structure so that it works in a club or with other tracks. In this album I’m influenced by Gorecki’s piece and I just wanted to get away from the strict rules about structure and I just wanted to have subtle arrangements that evolve more naturally.
The way your arrangements evolve makes me actually wonder what’s going to happen next, as if you’re an illusionist trying to astonish your audience “the Houdini way”. Is this what you look for?
I appreciate that, it’s good to hear. I do write music to excite. When I’m writing music I want to be interesting to me as a writer because I can spend weeks or months working on one piece of music and it needs, even after all that time, to have something that is exciting to me; I do find it after arrangements. If you do music all day long it can get quite boring working on a track, so I like to make tracks that are unexpected or arrangements that bring the track into new paths that you wouldn’t expect. So I keep listeners interested as much as I keep myself interested.
Your music really reminds of movie soundtracks: it’s very emotional and it invites the audience into a deeply figurative imagery. Are you inspired by movies and images?
Yeah, absolutely. I’m a huge film fan and I do spend a lot of time listening out for scores; I love movie music and that is an influence for my music. I do think that’s not about a certain imagery but I really do make music with imagery in mind that it can be just textural, or just colors. It doesn’t have to be a specific story or a narrative. I feel that you can be influenced by the images in your head, that add another color to the end product. It’s something that I have been doing recently, writing music to picture and I will going to do it more often. It’s a big influence to me and it’s probably one of the main influence for my music.
Rave culture had a very big impact on music. How much have you been into it?
I’m a bit young to have been going to any rave in the ’90, but my first love of electronic music when I was a teenager was jungle and d’n’b, and then garage. I grew up in a place where that wasn’t really much electronic music going on, so if there were any rave it was when we managed to do something we were under aged for. We never went to London; I grew up in Oxford and it was very much like a “band scene”, it was all live music. I had this mysterious love for electronic music and I had no idea who did it and how it was made. Then, when I went to university in Brighton, I was first really into going out a lot. But it was really important to me not to know anything about who made electronic music and how it was done, because it did feel more special and more mysterious and that’s why I wanted to make electronic music: to feel special.