Gli anni ’70: New York. Tra le strade del Lower East Side si sviluppava la scena no wave e tra le mura del Paradise Garage e quelle dello Studio 54 la disco viveva i suoni anni d’oro.
Parallelamente, Norman Mailer, un influente scrittore americano dichiarò i graffiti come “the great art of the 70s”. Da quel momento in poi qualcosa cambiò: migliaia di adolescenti incominciarono a riempire New York con tag e graffiti, invadendo in particolare il sistema metropolitano. Ma chi erano i ragazzi dietro quelle tag? Perché crearono questo movimento? Era un modo per gridare al mondo: “Ei, io esisto”? Oppure erano schizzi di bomboletta che parlavano di arte, politica e protesta? O ancora: erano atti vandalici sfociati in un mero egocentrismo con la sola esigenza di scrivere il proprio nome in spazi pubblici?
Recentemente è riapparso su YouTube un vecchio documentario intitolato “Watching My Name Go By” che tratta proprio della cultura dei graffiti nella NYC degli anni ’70. La BBC incontra alcuni dei personaggi che hanno sfidato la legge per pittare il loro nome o per esprimere il proprio pensiero. Sta nella sensibilità di ogni persona decidere se riconoscere i graffiti come arte o come vandalismo. Rimane però un lato oggettivo: gli sforzi di alcuni dei pionieri come Riff 170, Tats Cru, Jester (ecc) sono stati ripagati e replicati ben al di là della Grande Mela venendo esposti in gallerie d’arte e tra le mani dei manifestanti della Primavera Araba. Eppure, rimane sempre il dubbio: quei graffiti perché sono stati fatti? Tra i giovani si subisce sempre un forte desiderio di accettazione da parte dei coetanei, potrebbe esser questo? Oppure è tutto molto più radicato e profondo di quanto possiamo pensare?
Il documentario fa nascere negli spettatori questi quesiti. Esplora il complicato rapporto della città con i graffiti, che sembra condannare e promuovere in eugual misura. Ex writer rivisitano i loro vecchi ritrovi e discutono sul perché ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di bombardare New York con pennarelli e vernice spray.
Viene dipinto un vivido ritratto di una città diventata tela, in un momento in cui la popolazione aveva tanto da dire. Infatti, i graffiti sono poi diventati parte integrante del movimento hip hop iniziato nel Bronx dove nacquero i primi Block Party. Feste illegali caratterizzate da musica dal forte impatto ritmico (dai break della disco a “Back In Black” degli AC/DC) a cui prendevano parte anche delle attuali leggende dell’hip hop come Afrika Bambaataa e Kool Herc. Essi furono il punto d’incontro tra quelle che oggi sono le quattro arti dell’hip hop: il Djing, la Breakdance, l’ MCing e appunto il Writing.
Ogni tipo di immagine o scritta tende ad avere un messaggio diverso, più o meno diretto. Non danno risposte ma presentano un problema quando esprimono la percezione del mondo di chi ha disegnato quel pezzo. Oppure, semplicemente, nel centro di una città veloce, che pullula di business e di gente che corre di qua e di là assorta nei propri pensieri, vogliamo credere che i graffiti siano un pretesto per fermarsi e sorridere guardando qualcosa di bello.
Guarda il documentario qui o ascolta la nostra selezione.
https://www.youtube.com/watch?v=9wOE7mWZXpg