Con Idriss D in passato sono state anche scintille: riguarda chi vi scrive queste righe, ma è una cosa che probabilmente possono dire in molti. Bastava infatti nel caso del sottoscritto una recensione non del tutto positiva o anche una semplicemente non scritta, un disco cioè non recensito, che arrivavano telefonate taglienti. Mediamente, è una cosa che ti fa incazzare: del tipo “Chi cazzo si crede questo”. Ma con Idriss fin dal primo momento è stato diverso: che lui fosse gentile (perché spessissimo invece con lui sono stati incontri piacevolissimi) o fosse aggressivo, era sempre chiara la totale, specchiata, assoluta onestà di fondo. Se ti attaccava, lo faceva perché credeva dannatamente in quello che stava facendo, non perché ti volesse intimidire o condizionare. E allo stesso modo se parlava bene di te o di qualcun altro, capivi subito che lo faceva non per convenienza ma per convinzione. Caratteristica abbastanza rara, questa, nel mondo del clubbing. Negli ultimi anni il suo profilo è cresciuto molto, in primis come dj (sempre più richiesto in giro per il globo), ma diremmo proprio a trecentosessanta gradi sia come persona che come connoissur musicale che come imprenditore. E’ insomma il momento giusto per fare il punto con lui, in una intervista realmente senza filtri. Ma da Idriss sai che questo avrai, sempre, costi quel che costi. E per fortuna.
Senti: l’Idriss che ho davanti in questo momento che Idriss è? Mi spiego: è il dj, come Idriss D? E’ l’agente, quello a capo della dbArtists? E’ il boss di una label, ovvero Memento? E’ l’imprenditore, che in società con Luciano ha aperto – con un investimento non irrilevante – Playa Boho a Riccione? Sono tante cose, messe assieme: aiutaci ad orientarci. Così capiamo meglio chi sei, e dove stai andando.
Dove sto andando, lo dirà il destino; ma da dove arrivo questo lo so bene: dal lavorare ogni giorno quindici, sedici ore, utlizzandole tutte, senza mai perdere tempo. Sono arrivato a quarantaquattro anni che ancora faccio maledettamente fatica ad andare in vacanza, dopo due giorni senza mail e cose da fare vado fuori di testa. Però vedi: queste quindici, sedici ore al giorno le ho usate per una cosa molto banale e al tempo stesso molto importante – sviluppare i miei sogni, convertirli in lavoro. Li ho usati per questo. Sempre. Mi sento fortunato ad avere la testa che ho, e la motivazione che ho. Intanto ti posso dire che per quanto riguarda l’agenzia, la sto lasciando piano piano in mano ai ragazzi che lavorano per me. Sia chiaro: resto il CEO, resto uno che vuole avere un meeting ogni tre giorni con tutti, per capire che si sta facendo, com’è la situazione, come si sta lavorando. Ma in effetti in questo periodo mi sto concentrando su Memento e sulla mia attività da dj, oltre al fatto che appunto l’anno scorso è nata l’avventura di Playa Boho: ora siamo tre soci, ciascuno col 33%. Tutti insomma ci mettiamo gli stessi soldi. Ma…
Ma?
…quello che lavora di più sono io (risate, NdI). Sì, dai: sono quello che è più presente sul posto, ecco. Per dire, pochi giorni fa sono arrivato a Riccione per stendere l’impregnante, con l’aiuto di mio cognato, capisci? Ma mi piace, questa cosa. E’ vero comunque che negli ultimi tempi le richieste per suonare in giro, per fortuna, sono diventate davvero tante per quanto mi riguarda: quindi posso focalizzarmi parecchio sulla musica. Ma io sarò sempre come mi hai conosciuto: uno che comunque deve portare avanti tre, quattro progetti in contemporanea.
Quali sono stati i primi in assoluto? Torniamo un po’ agli inizi…
Quando ancora vivevo in Algeria avevano già iniziato a chiamarmi come dj a piccoli party liceali, ai matrimoni. E quando hanno iniziato a darmi dei soldi per farlo, mi sono detto: “Eh? Come? Attenzione: questa potrebbe essere una cosa seria…”. Però è arrivando in Italia che ho fatto il salto di qualità. Occhio però: io sono arrivato in Italia e prima di tutto per guadagnarmi da vivere facevo l’assicuratore, una cosa che è durata almeno due anni. A tutti però dicevo che facevo anche il dj, e dopo un po’ hanno iniziato ad invitarmi nei locali della zona per suonare, un paio di questi si sono interessati a me. E’ lì che ho iniziato a capire che fare il dj poteva essere convertito in un vero e proprio lavoro. Non solo in un passatempo per arrotondare.
Si parla di Mantova, giusto?
Esatto. Ad un certo punto in città ho aperto un negozio di dischi, quando appunto ho deciso che era il caso di lanciarmi. E’ stata una fase davvero di gavetta, i soldi erano pochissimi, si lavorava duro. Sai cosa è stato decisivo?
Cosa?
Il fatto di non essere italiano.
Spiega.
Questa cosa mi ha dato una motivazione e una voglia di arrivare enormi. Enormi. Poi chiaro, a questo unisco anche la mia capacità di interagire con le persone, creare delle buone pubbliche relazioni; e il fatto che avessi un piccolo negozio di dischi, mi aiutava a conoscere sempre di più gente del settore, guadagnando la loro fiducia, facendo capire che ero uno che si dava da fare seriamente, non uno che parlava e basta. E a cui magari valeva quindi la pena iniziare a fare qualche favore, aprire dei piccoli canali preferenziali. Però ricordati una cosa…
Vai.
Puoi essere bravo quanto vuoi a fare pubbliche relazioni e a farti aprire le porte, ma se poi non lavori bene tutto questo alla fine non serve a niente. A niente, davvero. Credimi. Nel momento in cui ti vengono aperte delle porte, tu devi essere in grado di dimostrare che puoi spaccare: se non succede la gente magari continua a volerti bene, non è che ne perdi l’amicizia o non ci puoi più parlare, ma di occasioni buone non te ne danno più. Una prima chance te la danno; se ti bruci quella, è quasi impossibile ne arrivi una seconda.
A proposito di chance e di andarsele a cercare, tu sei stato uno dei primi in Italia a puntare forte su Ibiza…
Vero. Ovviamente, grazie a Luciano. La prima volta che sono andato lì è stato con un mio amico, e lo scopo del viaggio era proprio andare a trovare Luciano. Da lì mi sono sempre trovato bene sull’Isla, fin da subito ho lavorato parecchio, ma attenzione: lavoravo a modo mio. Ovvero: sempre sobrio, e in piedi già dalla mattina presto. Non puoi immaginare quanto questo mi abbia aiutato. Per il semplice fatto di essere sempre lucido e di essere attivo un attimo prima degli altri, mi sono guadagnato molti contatti “giusti”, creando poi serate splendide.
Quando vi siete incontrati per la prima volta tu e Luciano?
Nel 2005.
Come nacque l’incontro?
Mi aveva contattato il suo team. Io avevo già messo su la mia agenzia di booking e l’etichetta. Ma sai qual era la struttura? Era: io, io e io. Nient’altro! Comunque, sta di fatto che collaboravo spesso con quella che allora era Freak’n’Chic, Dan Ghenacia eccetera, e già questo aveva iniziato a mettermi sulla mappa. Luciano, con cui mi ero scritto un po’ di volte su MySpace, un giorno mi contatta a mi fa “Senti, mi stanno parlando bene di te. Perché non ci incontriamo e ci facciamo due chiacchiere?”. Io non solo gli ho detto che andava bene vedersi, ma un attimo dopo ho subito iniziato a fare delle telefonate. Poco dopo richiamo Luciano: “Senti, già che ci sono, mi sa che ho un paio di robette potenziali per te, tipo una data al Goa, a Roma: che ne pensi?”. Abbiamo chiuso così questa data, proprio al volo, ed è proprio quando la data c’è stata che ci siamo incontrati per la prima volta di persona. Da lì è nato subito un sodalizio che, piano piano, è diventato anche molto più di un rapporto lavoro: oggi è anche una amicizia vera, profonda. Qualcosa di prezioso. Tra noi c’è un rapporto di fratellanza, di massima fiducia.
I soldi, guarda, non sono così importanti. Conta molto di più la credibilità. Pensaci: ci sono posti e contesti strategici dove puoi avere tutti i soldi che vuoi ma no, non ci entri, o se ci entri ti trattano comunque da estraneo; questi stessi contesti dove invece puoi anche trovare persone che hanno due lire, ma hanno la credibilità, sono rispettati, e sono sempre benvenuti
Senti, detto senza filtri: l’Idriss di oggi mi pare molto diverso da quello di dieci anni fa. Quello di dieci anni fa era…
…antipatico?
Sì. Aggressivo, anche. Eri sempre teso, in competizione. E soprattutto era impossibile contraddirti: contrattaccavi subito in maniera durissima.
Hai ragione. Dici la verità. Ma sai cosa? Quando inizi un percorso che vuole andare verso l’alto, hai attorno a te tante persone che ti vogliono abbattere. Tante. Avere un certo tipo di atteggiamento era una forma di protezione. In più la crescita fin da subito è stata decisa, molto, e questo significa avere addosso parecchia pressione. Con gli anni, con l’esperienza, impari a comportarti meglio, a essere meno aggressivo; capisci che non sempre è necessario essere sul chi va là.
Però l’aggressività può anche essere servita. Non l’avessi avuta, all’inizio, ora magari avresti molto meno in mano. Insomma, anche se ogni tanto ci siamo scontrati personalmente, ho sempre avuto parecchia stima di te: lavoravi duro, si vede che la tua dedizione era al cento per cento. Molti poi in realtà sono aggressivi e magari pure scorretti fingendosi buoni ed accomodanti, tu invece eri diretto. Era chiaro. Zero filtri. Manco ti interessava averli. Non sei uno che parla dietro le spalle, ecco, e nel nostro ambiente non sono poi in tanti ad essere così. Ma, tornerei al punto: questa aggressività magari è stata decisiva nel farti ottenere, soprattutto all’inizio, quello che hai ottenuto. O no?
Guarda: la prima volta in vita mia che mi sono messo in società con qualcuno è stato l’anno scorso, per Playa Boho, e uno degli altri due soci è come ti dicevo più un fratello che un amico, mi riferisco ovviamente a Luciano. Prima di questo? Prima di questo, ho sempre fatto le cose individualmente. Sempre. Così se le cose andavano male, ero sicuro di non poter scaricare la colpa su nessuno. Questo significava lavorare di più? Certo. Ma ha pagato. E ha pagato non in senso monetario, eh: io tutto quello che ho guadagnato l’ho sempre reinvestito. E i soldi… i soldi, guarda, non sono così importanti. Conta molto di più la credibilità. Pensaci: ci sono posti e contesti strategici dove puoi avere tutti i soldi che vuoi ma no, non ci entri, o se ci entri ti trattano comunque da estraneo; questi stessi contesti dove invece puoi anche trovare persone che hanno due lire, ma hanno la credibilità, sono rispettati, e sono sempre benvenuti.
Hai rimpianti, lavorativamente parlando? Tipo cose che avresti fatto in altro modo, col senno di poi?
Cosa che avrei fatto in altro modo, sicuramente; ma rimpianti, quello no. Io nella mia vita ho aiutato moltissime persone, è una cosa importante questa, ti rende fiero di te. E se fai qualcosa di buono per qualcuno, prima o poi ti tornerà indietro. Qualche volta ho aiutato le persone sbagliate? Forse, ma non è un problema. E’ più importante come ti poni tu. Magari mi è capitato – tornando al discorso di prima – di fare qualche errore per impulsività, per aggressività. Quello di sicuro. Mi viene infatti in mente un ex collaboratore dell’agenzia: ad un certo punto si è allontanato, credo proprio per il mio modo di fare molto deciso. Forse avrei dovuto “corteggiarlo” di più, per farlo restare. Ma forse no: perché tutti i nodi, se ci sono, prima o poi vengono al pettine.
(continua sotto)
Passando da dbArtists a Memento, mi pare che la label stia ampliando molto di più il suono, rispetto ai suoi inizi.
Hai ragione. Una cosa importante l’abbiamo fatta, come label: abbiamo detto stop alla ricezione di demo. Qualcuno si è preso male, qualcuno lo ha trovato una forma di snobismo, ma in realtà non è così. E’ prima di tutto una questione pratica: abbiamo una schedule ormai talmente fitta e ben impostata che se anche io domani dicessi di sì a qualcuno che mi ha mandato una demo oggi, questo release uscirebbe non prima di un anno e mezzo da ora. Capisci? Se a uno dico “Sì, ti prendo, ma esci a fine 2023” giustamente si prende male. E al tempo stesso, diciamocelo, difficilmente via demo arrivi a qualcosa di talmente geniale da farti sconvolgere tutti i piani che hai già sistemato nel frattempo per le uscite. Per capire quali dischi lavorare, mi consulto col mio team. Basta e avanza. E’ comunque verissimo, come dicevi, che si sta ampliando il suono di Memento, ma è esattamente quello che sta succedendo anche nei miei dj set, dove ormai vado dall’electro alla drum’n’bass: e la cosa funziona, perché ad esempio il vinile di Dj Rocca ha avuto i giorni stessi dell’uscita una ricezione eccezionale, e ora andiamo pure ad esplorare territori quasi ambient con una cosa bellissima fatta da Howie B, con tanto di remix di Luciano, e al tempo stesso facciamo uscire qualcosa di super acid con una release di un maestro assoluto come Dj Pierre. Voglio qualità. Non voglio il trend. Non mi interessa fare la minimal, anche se ora è una delle cose che funziona di più sul mercato, è quasi una nuova EDM. Ma non al voglio fare: la facevo già nel 2006, 2007. Mi piace, sia chiaro. La suono ancora adesso. Dai rumeni per dire ad esempio continuano ad arrivare produzione ottime. Ma io oggi voglio essere più vario, avere un’anima più tagliente, più electro.
Beh, ad un certo punto la minimal aveva veramente ucciso la qualità nella musica da dancefloor: col fatto che fosse facile da fare e che al tempo stesso funzionava a colpo quasi sicuro, è stata sdoganata una quantità enorme di musica, sinceramente, inutile.
Ma poi sai cosa? A parte questo, è proprio sbagliata come strategia discografica fare quello che è di moda, fare quello che fanno tutti. Non parlo per sentito dire, perché da persona che gestisce un’etichetta discografica io so davvero cosa significa dover gestire gli stock. Nel momento in cui c’è iper-produzione di un genere specifico è molto più facile che i tuoi dischi restino invenduti, se ti metti a fare quella cosa lì e basta. Parliamoci chiaro: se ora che la minimal è tornata ad essere forte prendono ad uscire trenta dischi nuovi al giorno di minimal, quanti credi che saranno quelli che la gente compra? Solo una porzione minuscola di quei trenta. Gli altri, restano lì.
E’ un po’ il meccanismo della bulimia da mercato. Ma a proposito: e la bulimia da star system? I cachet dei dj, o meglio, di certi dj, che hanno raggiunto altezze siderali? Te lo chiedo perché il tuo punto di vista può essere interessante: da un lato sei legato a doppio filo con Luciano, che fa parte a pieno titolo di questo “star system”, dall’altro lavori invece molto con artisti meno famosi, meno “big”.
Ma parliamone, di dove sta lo “star system”. Parliamone. Perché se ci pensi, se è vero che nei grandi palchi commerciali tutto è spettacolo e tutto si incentra sulla figura del dj come stella, è altrettanto vero però che pure nei club più underground, quelli più scuri e rigorosi, tutta l’attenzione ormai è rivolta sul dj. Che ci siano duecento o ventimila persone davanti, la dinamica ormai è insomma spesso la stessa. Dopodiché, guardiamo invece al quadro nel suo insieme: era destino che dopo i grandi gruppi rock, che ormai sono un ciclo in declino, arrivasse qualcos’altro a riempire le arene: e questo qualcos’altro sono stati i dj. Bene? Male? Semplicemente, inevitabile. Si sono quindi instaurate dinamiche quasi hollywoodiane, artisti che si litigano il ruolo (cioè lo slot da headliner, la posizione più in alto nel cartellone), e la cosa dovrebbe durare ancora un po’ e toccare il nostro mondo nel senso più stretto del termine, non solo la EDM quindi, visto che come si diceva ora la tech-house sta rimpiezzando proprio l’EDM nei grandi eventi commerciali. Però è anche vero che oggi succede che Four Tet annuncia una sua data ad Ibiza, e vende 4000 biglietti in 35 minuti: segno che c’è voglia anche di cultura, di cose particolari, di artisti estrosi, e manco poca. Se lo star system ingloba anche artisti di questo tipo, dove sta il problema? Nel fatto che quando ci sono fenomeni di questo tipo la cultura viene invasa dai “wannabe”, di quelli che vogliono farsi vedere raffinati ed intenditori anche se non lo sono? Pazienza, non trovo sia grave. Anche perché fra queste persone magari ci sono anche quelli che vogliono davvero imparare nuovi suoni, scoprire nuovi territori: cosa facciamo, li cacciamo a prescindere? Insomma: lo star system non è per forza un male, Dipende da come lo gestisci, dipende anche da chi finisce coll’entrarci, e come ci entra, con quali obiettivi.
Però rischia di creare delle bolle economiche che poi, quando scoppiano, è un casino. E che comunque già ora stanno seminando molte “morti” sul campo, vedi club grandi e piccoli che chiudono.
Ma qui la colpa di chi è?
Già: di chi è?
Te lo dico io: dei promoter. E’ colpa dei promoter. Che non sanno fare i conti. Questa è la verità. Io sui conti sono maniacale: voglio sapere tutto, fino all’ultimo centesimo. Se gestisco Playa Boho, voglio sapere con precisione qual è la differenza tra servire birra in bottiglia e offrirla invece alla spina, per capire al meglio come mi conviene strutturare il lavoro del bar. Capisci? Ogni particolare è importante, è decisivo! Non sai quante volte dei locali mi hanno chiesto artisti che non si potevano permettere, facendo de calcoli assurdi: avessi guardato solo ai miei interessi avrei chiuso l’accordo, incassandomi la robusta percentuale, ma invece mi tiravo indietro: “No, non te lo puoi permettere, lascia stare”. Al che spesso ti rispondono: “Ma tanto le spese per la serata col tuo artista grosso me le ripago con la serata dopo, quando ormai sarò lanciato”. E se la serata dopo invece va male? Che succede? Vai con le gambe per aria? Non lo auguro a nessuno, perché è una cosa terribile. Mettiamoci poi pure nei panni dei dj più grossi, faccio ovviamente l’esempio di Luciano: ormai ha quattro figli, un quinto in arrivo, ha tante società aperte da portare avanti, persone e posti di lavoro che dipendono da lui. Tutto questo significa che se gli arriva un’offerta da 15.000 euro di un posto super cool ma contemporaneamente una da 50.000 di un festival, lui sceglie il festival – e fa bene, cazzo! Fa bene, perché ha l’obbligo di far quadrare i conti per tutto quello che lo riguarda. Ha delle responsabilità. Ecco, io vorrei che anche i promoter capissero che la priorità è far quadrare i conti. Anche perché non esistono per forza solo i grandi dj. Tu la tua serata la puoi far crescere anche investendo sulla promozione, sull’allestimento, sulle idee: ce lo stiamo dimenticando, tutto questo? Davvero siamo arrivati a tanto? Com’è possibile che non riusciamo a capire che spesso è un investimento migliore regalare un tavolo a un gruppo di persone molto interessanti, che “fa” l’atmosfera della serata, piuttosto che spendere tutto su un nome in console?
Considerando che colui che mi sta parlando è (anche) uno che di mestiere fa l’agente, trovo notevole tutto ciò.
Ma guarda, io sono una delle poche agenzie che non ha mai fatto aste per avere nel proprio roster le star. Ne ho una: sono felicissimo di averla, è una persona e un artista meraviglioso, mi va bene così. Non mi serve altro. Pensi che io non li conosca, gli altri dj grossi sul mercato? Pensi che non abbia già il loro numero di telefono personale? Pensi che non possa arrivare anhe alle star dell’EDM? Conosco pure quelle. Ma il punto è che io come agente, come capo di una agenzia, non voglio impazzire. Non voglio passare più tempo a fare baby sitting e a risolvere problemi che altro. Siamo felici di essere come siamo. I nostri artisti tolto Luciano sono più piccoli, sono minori? Magari sì. Ma noi li trattiamo come fossero headliner. E stiamo bene così. D’altro canto quello dell’agente è un lavoro in cui anche solo con pochi minuti – un paio di messaggi, una telefonata – puoi guadagnare centinaia e centinaia di euro anche senza trattare artisti giganteschi. Noi siamo a posto così. Non ci interessa partecipare in corse al massacro. Alla fine non fanno bene a nessuno.