Terminata la lettura di questa bellissima intervista a Marco Erroi, in arte GoldFinger, e ultimato l’ascolto del set che ci ha preparato in esclusiva, vi sarà chiaro perché siamo felicissimi di averlo coinvolto all’interno della nostra rubrica Giant Steps: il salentino non è un artista qualsiasi, così come la semplicità e l’onestà delle sue risposte e il suo gusto musicale non sono assolutamente da tutti. Sarà che nel suo DNA scorre il calore e la passione del Salento, saranno i quindici anni trascorsi a contatto con la scena romana durante il periodo degli studi, sarà pure che non è più un ragazzino e quindi sulle sue spalle s’è accumulata una certa esperienza, ma tutto ciò che lo ha per protagonista non ha nulla di banale.
Questa settimana vi presentiamo i quindici passi di GoldFinger: al loro interno Common Series, la label che ha inaugurato nel 2013 e che porta avanti con grande accuratezza e passione, e tanto altro.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Non credo di riuscire a trovare un solo disco che mi abbia cambiato la vita: ogni giorno scopro uscite, nuovi e vecchi, che lo fanno e mi ricordano l’importanza della colonna sonora quotidiana. Però vi racconto una storia a proposito: era il 1995, avevo quindici anni e avevo appena fatto un colloquio per una radio di Lecce; mi avevano chiesto un provino. Nel mio paese c’erano all’epoca tre negozi di dischi. Uno di questi, gestito da un dj locale, era specializzato anche in musica elettronica. Andai là a comprare novità per registrare la mia cassetta. Mi colpì un cofanetto, quattro vinili, dal titolo “Electronic Eye Closed Circuit”, un disco futuristico e strambo per la scena dance presente in quel periodo. Ecco, credo che questo disco sia come un tatuaggio, abbia segnato in qualche modo il mio ingresso nel mondo della musica. Mi fece capire l’importanza della sperimentazione e mi emozionò al punto da mixare tutte le sue tracce e riempire un lato intero del mio provino. Anni dopo scoprì la stregoneria di Richard Kirk. Sull’altro lato mixai le tracce di “Asteroid” di Emmanuel Top, acid chirurgica e progressiva. Insomma immagino abbiate capito che non vi fu mai risposta a quel provino e la mia cassettina probabilmente rimase inascoltata. Ripensandoci non fu una scelta adeguata, ma l’album del signor Kirk è ancora in valigia.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Ci sarà stato un momento preciso in cui ho preso coscienza che la musica avrebbe fatto parte della mia vita, però queste cose sono governate dalla magia per cui è bene non saperne mai troppo. Tutto il resto è venuto in maniera abbastanza naturale: prima ti compri i dischi, poi la consolle, il campionatore, qualche synth, drum machine e con il computer cerchi di fare qualcosa che puoi inserire nei tuoi djset. Poi capisci che la tua roba suona una schifezza e quindi decidi di studiare. Se proprio devo scegliere un momento in cui ho capito che avrei percorso questa strada è stato l’ultimo anno di ingegneria, quando mollai tutto per fare un master in ingegneria del suono e specializzarmi poi in acustica. In realtà il mio obiettivo non era l’acustica, scienza affascinate specie perché non esatta e con la quale lavoro, ma imparare i trucchi del mestiere.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Tutti i giorni. Questa vita è fatta così, è un’altalena ciclica di esaltazione e depressione, un pendolo che oscilla tra alti e bassi; d’altronde anche la musica è un fenomeno ondulatorio, periodico, nella struttura e nell’estetica. Vivendoci in simbiosi anche io alterno momenti di “forte” a momenti di “piano” o di crisi, dai quali ogni volta si rinasce con idee sempre nuove e sempre più entropiche. Che sballo, però.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Nel 2010 con DJ Vivaz abbiamo fatto il primo Squat Party, una festa tra amici nelle case al mare degli amici. Oggi, dopo cinque anni, siamo alla diciottesima edizione e siamo diventati una piccola realtà qui in Salento. Anche in questo caso tutto si è evoluto in maniera naturale, nel frattempo si è aggiunto Daniele Costantini nella parte organizzativa e tanti amici, dj e appassionati che ci seguono e si sentono parte di questa famiglia underground. Credo che il punto di forza sia il concetto di party e il fatto che non si sia mai modificato. Abbiamo semplicemente continuato a fare quello che ci piaceva fare: allestimenti, t-shirt e location inusuali. Questo è molto importante perché ci mette a disposizione un laboratorio artistico e musicale nel quale vivere, crescere, conoscere e sperimentare.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Diciamo che il mio tempo libero lo dedico al lavoro, al quale mi appassiono comunque. Sono diventando tecnico competente in acustica ambientale e insieme a un’architetta albanese abbiamo realizzato la correzione acustica dell’Auditorium nel Museo Laboratorio della Mente di Roma. Vi consiglio di andare a visitarlo, si trova nell’ex manicomio, è stato allestito da Studio Azzurro ed è un’esperienza immersiva. Mi dedico anche al mastering, avendo a casa una piccola sala controllata acusticamente. Per tre anni ho lavorato in un’agenzia di comunicazione scientifica occupandomi di ufficio stampa, divulgazione e new-media. Un ambiente decisamente creativo. Diciamo che trovo anche il tempo di leggere, andare al cinema, dedicarmi agli amici e fare lunghe passeggiate con il mio cane, che mi rimettono in equilibrio con il mondo.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Rimpiango di non aver mai concluso lo studio di uno strumento musicale. Da piccolo ho studiato violino, con il mio maestro però non eravamo in grado di comunicare; poi pianoforte, ma anche questo abortito dopo meno di un anno. Credo che la conoscenza musicale sia preziosa e velocizzi tanti processi, anche se alla fine con una buona infarinatura e tanta passione arrivi lo stesso al risultato. Rimpiango anche di non aver mai dato una cassetta a un tipo che conobbi a Roma, il primo anno di università, voleva farmi suonare al Brancaleone. Preso dalla nuova vita non lo contattai più.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Quest’estate ero in un chiosco in riva al mare, erano le quattro del mattino e si parlava di Battiato. Un mio amico, che stimo molto musicalmente, non riconosceva il suo genio, fino a quando non gli feci ascoltare “Click”, del 1975. Cambiò idea. Seguo da tempo i Bitchin Bajas, un trio che sperimenta abbastanza. “Transporteur” è l’EP che contiene la traccia con cui ho aperto il vostro podcast. “Music Business” di Francisco è un album rappresentativo di Roma che porto sempre in valigia. Ed è anche un gioco da tavolo. Per rimanere su Roma trovo geniale “Antisystem” di Lory D, soprattutto per il concetto che c’è alla base della sua creazione: un prodotto controcorrente creato per una major. Stimo e condivido il modus operandi di questo artista. Un altro must-have è sicuramente “Selected Ambient Works Vol. I” di Aphex Twin. Un disco che dà sempre nuovi spunti creativi e accompagna bene i momenti di lavoro.
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
L’ultimo libro che ho letto è “La trama lucente” di Annamaria Testa, parla della creatività e dell’intuizione che si accende al di là della consapevolezza. “Breve storia di (quasi) tutto” di Bill Bryson invece è un libro di scienza raccontato però da uno scrittore di viaggi. Le cose, anche quelle quotidiane, non sono mai scontate e ovvie ed è sempre saggio sapere di non sapere. Poi se proprio volete aprire la vostra mente “L’ermeneutica del soggetto” di Michel Foucault è una trascrizione di un suo corso universitario sulla cura e sulla conoscenza di se. Seguo molto il cinema italiano e sono patito di film di rapine in banca. Vi direi “Un colpo all’italiana”, del 1969 e il suo remake “The italian job”, anche la serie degli Ocean non è male.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Come proposito per il 2013, una sera in un locale romano insieme ad Alfredo Laurino decidemmo di stampare un disco su vinile, io avevo delle tracce che ci piacevano e provammo. Così nasce il progetto Common Series che è tuttora attivo, anche se fermo da un po’ ma in ripartenza questo novembre. Siamo alla quarta uscita, a breve, e credo che a oggi sia il risultato artistico di cui vado più orgoglioso. Il distributore ci aiuta parecchio ma abbiamo sempre venduto tutto, quindi il mercato approva. Anche questo è un laboratorio, non ci sono regole, a volte con Alfredo collaboriamo musicalmente a volte no. Rimane comunque un pezzo di strada che stiamo facendo insieme, anche ora che viviamo in due posti diversi. L’intensità e la voglia di fare sono sempre come la prima volta.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online…
Il web è una scatola geniale e diabolica allo stesso tempo, ma se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Si possono fare in pochi minuti ricerche che prima prevedevano tempo, denaro, telefonate. Penso a Discogs per esempio, una banca dati in cui non solo puoi cercare informazioni ma alla fine hai pure il disco a casa, a discapito del portafoglio però. Il web inoltre ci dà l’opportunità di essere un po’ cittadini del mondo, a favore dei contatti e della visibilità. Fornisce materiale per pensare, ma dà anche forma al processo del pensiero, che potrebbe omologarci, anche nel nostro piccolo. Toglie tempo ed energie, ma ci dà cibo per la mente. Personalmente ho un buon rapporto con tutto questo, con le innovazioni e le tecnologie annesse, ma spesso e volentieri faccio un salto nel passato per dare alla vita, e alla musica, un sapore vissuto e impreciso. Le idee creative nascono da un cortocircuito tra elementi distanti tra di loro, quindi unire il vecchio al nuovo mi sembra un ottimo punto di partenza.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
È uscita da poco una mia traccia su “House Culture”, un various per 12Records, quindi ho avuto modo di scambiare chiacchiere e opinioni a lungo con Alessandro Pasini, in arte Deep88. Abbiamo parlato fin dall’inizio la stessa lingua e c’è stima reciproca. Poi ci sono tutti i dj e addetti ai lavori che ruotano attorno allo Squat Party, con i quali c’è uno scambio musicale e personale costante. Gli amici di What Ever Not, che hanno pubblicato un mio EP, le Fottute Registrazioni, i fratelli Leo e tutte le persone, vicine e lontane, con le quali condivido questa passione. Nel podcast li trovate un po’ tutti.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Essere catapultato per caso in un boat party con Move D e sentirgli suonare un mio disco, il Common Series 02. Forse più che assurdo sembrava irreale. Invece credere di aver perso il cane perché scappato dalla porta, averlo cercato per ore ma in realtà averlo chiuso per sbaglio nell’armadio ha dell’assurdo.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Credo che nella scena musicale italiana degli ultimi anni ci siano realtà che stanno facendo bene e sono ottimista per il futuro. Certo ancora c’è poca cura dei dettagli e forse manca un po’ di curiosità. Penso si stia perdendo anche la figura del dj resident e di tutto quello che gli ruota intorno. C’è poca distinzione dei ruoli a discapito della professionalità. Sul territorio di Lecce ho scoperto, con grande orgoglio, che esiste una scena underground parallela al business main stream, che cresce di anno in anno.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Mentre scrivo stiamo ultimando il Common Series 04, un disco che è stato in cantiere molto tempo. Dopo quindici anni a Roma sono ritornato momentaneamente nella mia terra e ne sono stato subito influenzato. Uscirà in poche copie su vinile ed è ispirato al fenomeno della transe e dei riti nelle campagne. Sto facendo anche un laboratorio corale sul tema delle radici, con scrittori, cantanti e video-maker che sta confermando l’esistenza di una linea sottile tra temperamento poetico e follia. A dicembre faremo uno spettacolo/performance nel quale ci saranno dei miei interventi sonori basati sull’elaborazione di materiale da field recording. Parte di questo materiale è inserito anche nel Common Series 04. Col nuovo anno dovrebbe uscire una mia traccia con remix di Florian Kupfer per Engrave, poi sto lavorando al disco per un’etichetta low-profile come piacciono a me, Kapvt Mvndi, sempre per il 2016.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.
Questo disco è ispirato al Portogallo.