La notizia è relativamente recente: in una “open letter” pubblicata lo scorso 31 luglio, ma ufficialmente annunciata all’interno dell’app mobile solo oggi, Mixcloud dichiara che ridurrà “leggermente” l’esperienza utente per gli utenti non paganti.
Nello specifico, gli utenti free potranno skippare solo in avanti e non all’indietro mentre ascoltano un set e non potranno più sentire lo stesso show più di tre volte in un lasso di tempo di due settimane, oltre a non avere accesso a show che contengano più di quattro tracce dello stesso artista o tre dello stesso album.
Ora, non sta a noi decidere se queste limitazioni siano effettivamente leggere come dice l’annuncio o no, è un giudizio assolutamente soggettivo; quello che ci interessa, semmai, è cercare di capire cosa voglia dire questa scelta in termini di strategia per Mixcloud.
Non è assolutamente difficile inquadrare questa decisione nell’ottica di cercare di spingere di più gli account premium, che a questo punto offrono la stessa esperienza che offrivano in precedenza gli account free ma a 6.99€ al mese, ma allargando un po’ il campo l’impressione che abbiamo è che Mixcloud stia cercando da tempo di trovare la quadra per monetizzare il proprio business, senza troppo successo.
A oggi, infatti, riusciamo a individuare quattro fonti di revenue diverse per Mixcloud:
- Gli account premium di cui parlavamo poc’anzi, in cui a pagare sono gli ascoltatori.
- Gli account pro, per chi pubblica gli show, che consentono di avere accesso a statistiche più dettagliate e, a scelta, alcune feature in meno rispetto all’account free, come la disabilitazione dei commenti o del numero di plays
- Mixcloud select, che tra tutte ci sembra il modello di business più innovativo, perché è una sorta di Patreon che permette agli ascoltatori di pagare una sottoscrizione mensile a un singolo DJ per avere contenuto esclusivo e divide i guadagni, al netto delle royalties per gli artisti contenuti negli show, al 60% al DJ stesso e al 40% a Mixcloud.
- La pubblicità su sito e app, che non si può certo dire sia limitata e poco invadente.
È davvero possibile che nessuno di questi funzioni e che Mixcloud sia costretta a castrare gli account free pur di raschiare qualche euro?
Certo, è vero, come dice questa interessante analisi, che se non altro Mixcloud non ha mai fatto l’errore del suo principale concorrente, Soundcloud, che affidandosi praticamente in toto ai venture capital sembra sull’orlo del collasso ormai da anni, ma a giudicare da queste mosse disperate e considerando la dimensione del pubblico e la qualità della piattaforma, entrambi sensibilmente inferiori per Mixcloud rispetto a Soundcloud, siamo davvero sicuri che Mixcloud stia tanto meglio?
I toni della “open letter” sono ovviamente entusiastici e non mancano di ricordare che “the streaming economy is fast becoming the biggest driver behind the recorded music industry.” e “by 2030, it’s projected that 70% of global music revenue will come from streaming.”, ma a noi più che una proiezione sembra autentico wishful thinking pensare che offrire agli utenti un servizio più scadente sia la strada giusta per arrivare a essere il 70% del fatturato di tutta l’industria musicale.
Di certo, c’è che ancora nessuno sembra aver trovato il modo migliore per monetizzare l’ascolto in streaming, che ormai rappresenta probabilmente già più del 70% della fruizione musicale, ma evidentemente non dei guadagni.