Il calendario è stato spiritoso, quest’anno: se la tradizione da un po’ di tempo per Club To Club era quella del primo weekend di novembre e per Movement quella della notte di Halloween il 31 ottobre, la scansione dei giorni della settimana nel 2019 ha fatto sì che i due maggiori eventi indoor di musica elettronica-e-dintorni, non solo torinesi ma proprio italiani tout court, si svolgessero uno attaccato all’altro: 31 ottobre, ovviamente, per Movement, 1 e 2 novembre per i le due serate “di rappresentanza” di Club To Club. Bizzarro.
Bizzarro, e potenzialmente pericoloso, o addirittura insensato. Potenzialmente. In realtà è andato tutto bene, molto. E fra i due eventi c’è stata una sinergia da un lato e un “dividersi i campi” dall’altro come mai in passato. Sì: perché la sinergia si è avuta utilizzando gli stessi palchi al Lingotto, dividendosi quindi le spese di affitto ed allestimento, con vantaggi per tutti, in primis per gli spettatori, che in Movement hanno avuto la solita qualità a livello di luci ed impianto – si è sempre stati abituati gran bene, lì – e in Club To Club hanno avuto invece l’esperienza ulteriormente migliorata rispetto alle edizioni passate. Mai un C2C così “bello”, come luci, come palchi, come senso di spettacolarità ed accoglienza. C’è una cosa da sottolineare, comunque: la “veste” è comunque cambiata fra i due eventi. Se molte delle strutture erano le stesse, sono state comunque usate comunque in maniera differente, ciascuno adattandosi alle proprie necessità, al proprio stile, al proprio target. Quindi ecco, non è che C2C ha “imitato” Movement o ne ha preso in pieno le soluzioni, semplicemente quest’anno – complice appunto il calendario – ci si è ritrovati su una base comune.
(un momento di Club To Club, foto di Stefano Mattea; continua sotto)
Già. E’ che non sono in tanti ad aver fatto sia Movement che Club To Club, potendo quindi lanciarsi in questi paragoni/raffronti. Anzi. Complice il portafoglio, certo, partiamo da questo: non è semplice sostenere una doppia spesa così. Ma anche fra la “compagnia del quartierino“, aka quelli che tramite amici e conoscenti un posticino in lista lo trovano sempre, non abbiamo visto praticamente nessuno volersi fare i due eventi, e se provavi a chiederglielo ti guardavano basiti. Però insomma, probabilmente mai come quest’anno c’è stata una diversificazione netta, di qui il “dividersi i campi” a cui accennavamo sopra: orientato verso il dancefloor schietto Movement come non mai, con nessuna concessione ai tentativi di variare le carte come in qualche edizione passata (vedi Tycho, SBTRKT, Cosmo), molto più suonato, posato ed “arty” del solito Club To Club. Queste caratteristiche sono sempre state nel DNA dei due eventi, ma nel 2019 sono state portate all’estremo come non mai. La vicinanza di calendario e la sovrapposizione prettamente “fisica”, col Lingotto condiviso senza soluzione di continuità per tre giorni di fila, ha portato per caso od intenzionalmente a diversificarsi parecchio dal punto di vista della line up, anzi, proprio dell’attitudine. Risultato? Pubblici profondamente diversi.
Il punto è: noi che li abbiamo fatti entrambi, ci siamo divertiti in entrambe le occasioni. Siamo stati bene, molto bene. Siamo stati bene a Movement, perché Amelie Lens finalmente ha fatto un set come hype comanda, nel senso che se in passato la sua impressionante crescita di popolarità pareva suffragata più dal suo bel modo di porsi sullo stage e sui social piuttosto che sulla musica, stavolta le abbiamo sentito fare un set techno sì ma molto più espressivo, interessante, vario rispetto al solito, con un sacco di “colori” e più d’una soluzione interessante. Siamo stati sempre bene a Movement, perché se volevi un set techno “vecchio stile”, di quelli belli di sostanza e di uso muscolare (e non digitale) del mixer, Dj Bone ci ha reso felici. Siamo stati bene, perché comunque è stato pazzesco vedere quanto sia esplosa la popolarità di Michael Bibi e pure di Pawsa, due nomi relativamente nuovi di cui non si parla tanto fra i “saputi” di vecchia militanza ma che invece hanno un seguito strepitoso, la sala in cui suonavano era piena a tappo – ed era una delle due sale grosse del Lingotto, quindi abbastanza immensa. Puntando su di loro, Movement ha dimostrato di avere sempre il polso della situazione in campo tech-house come scelte, arrivando prima e meglio di altri a comprendere gli artisti in ascesa. Quelli in grado anche di creare il rinnovo generazionale sui dancefloor, un tema che solo ora sta facendo capolino – siamo sempre stati abituati a vedere techno e house come musiche “giovani”, da vivere nel qui-e-ora, invece adesso ci stiamo avvicinando al problema sofferto dal rock prima e dall’hip hop: iniziare ad essere rilevanti ed interessanti anche per i fratelli minori e i figli – e che diventerà sempre più importante nei prossimi anni. Chi ha iniziato col clubbing a vent’anni ora ne ha quaranta o cinquanta, e sarebbe presuntuoso – ed anche un po’ stupido – pretendere che i ventenni di oggi abbiano gli stessi identici gusti, gli stessi identici eroi, le stesse identiche preferenze, altrimenti son tutti dei debosciati. Non è così che va. Ricordatevi di quando i “debosciati”, per i vostri genitori o fratelli maggiori, eravate voi.
(Amelie porta tutti a messa, e lo fa meglio del solito; continua sotto)
Questo problema riguarda meno Club To Club. Ma questo anche perché è il dancefloor, a riguardare meno Club To Club. Come hanno notato in molti, ormai il nome del festival è parecchio fuorviante: c’è pochissimo “clubbing” in Club To Club, ormai. E’ diventato marginale. Marginalissimo. Non è un festival per gente che vuole ballare. E’ un festival intergenerazionale dove ogni tanto si balla, e si balla anche bene (quest’anno i Nu Guinea, promossi praticamente ad headliner e forse gli unici schiettamente “da festa” in cartellone, hanno portato a termine la missione, con la giusta dose di furbizia; molto bene anche Skee Mask, ma lui è un’altra storia, meno festa e più testa anche quando i ritmi son da dancefloor); ma con l’edizione 2019 il trapasso di C2C in festival musicale a trecentosessanta gradi è stato completo e, chissà?, definitivo. Un gran numero di live: alcuni inutili (Helado Negro), alcuni bellissimi (Black Midi: hanno molto più senso dal vivo che su disco), alcuni di alta classe (James Blake: un live essenziale sì ma perfetto e d’impatto), alcuni che son piaciuti chissà perché (poi ci dovrete spiegare che ci trovate in Kelsey Lu, a parte il fatto che è bella, e nei Chromatics, a parte il fatto che titillano la parte emo del vostro animo hipster). Comunque tanti. Predominanti. Poi però, ironia della sorte, la cosa più bella di questa edizione è stata comunque “djistica” e ballabile: ma quello che ha fatto SOPHIE è molto di più di un dj-set-per-far-ballare-la-gente-e-stop, c’ha messo dentro davvero tanto, c’ha ricordato – per attitudine – quando in certi anni ’90 prima cioè dell’avvento del digitale che facilita e pialla tutto si provava veramente a fare la differenza selezionando vinili (…è paradossale, no?, che l’eroina dell’elettronica ipermoderna alla fine ti riporti a due decenni addietro e passa, come attitudine). Quel set da solo è valdo l’intero festival, non magari ai livelli siderali di Aphex l’anno scorso però oh, di sicuro uno dei migliori set sentiti negli ultimi anni.
A proposito di Aphex: a parte i comunicati ufficiali dell’organizzazione clubtoclubiana che al solito esagerano un po’ sulle cifre (non ce n’è bisogno: il festival è tanto bello quanto prestigioso già di suo), qualcuno a bassa voce tra presenti ed addetti ai lavori ha provato a dire che quest’anno C2C era un “mezzo flop”. Chi lo dice, dimostra di avere un non spiccato senso di analisi. Nel senso: sì, ogni tanto le sale erano mezze vuote e in realtà non si sono mai riempite fino all’orlo (corollario positivo: si stava da dio), ma questo perché C2C stava utilizzando la conformazione del Lingotto “da Movement”, quindi con due main stage, praticamente e senza più Sale Rosse o Sale Gialle a capienza limitata (e in grado quindi di dare l’idea di “pienone da scoppiare”). Ma guardando ai numeri – e intendiamo quelli veri, non solo quelli dei comunicati stampa – il dato di fatto è che con una line up del genere qualsiasi altro festival in Italia sarebbe fallito, o avrebbe fatto comunque un terzo o un quarto delle persone. Club To Club ha lavorato talmente bene negli anni da aver costruito un rapporto di fiducia col “suo” pubblico (un pubblico, riprendendo quanto dicevamo prima, ormai definitivamente intergenerazionale) che è davvero incredibile. Ogni edizione è una “chiamata alle armi”, quella che fondamentalmente è una nicchia – rumorosa, perché molto “opinionata” sui social, ma sempre una nicchia – sente il richiamo del festival sabaudo come qualcosa di irrinunciabile. Magari non vai a Milano al concerto x o al festival y, magari quando c’è qualcosa di tuo gusto vicino a casa tua alla fine non esci perché fuori piove, ma se a Torino c’è C2C… beh, senti che “devi” esserci, senti che stai andando a “casa”, senti che stai andando nella tua “patria”. E a questo si arriva solo ed unicamente perché a Club To Club hanno lavorato in modo eccezionale negli anni a crearsi una propria identità, un proprio stile, una propria comunicazione, e l’hanno fatto non sulle “cose che funzionano già” ma su quelle che secondo loro funzioneranno o anche solo su quelle che piacciono a loro “…perché sì”, ponendosi quindi come “prime mover” di grande personalità in terre quasi inesplorate. Ci vuole coraggio. Ed altissima professionalità sui minimi particolari.
(Club To Club, a parte il Lingotto, regala comunque sempre escursioni in luoghi fantastici: qui, la Reggia di Venaria; continua sotto)
Paradossalmente, è lo stesso che ha fatto Movement coi Bibi e coi Pawsa, seppure in un campo completamente diverso, per non dire proprio opposto. Il che fa capire una cosa, ed è un po’ la morale di tutto: a Torino, come sempre, ci sono un sacco di idee. Idee vere, non campate in aria; coltivate con la competenza, coltivate mettendole in pratica e facendole “vivere”, e non facendole rimanere solo un chiacchiericcio da social. E’ davvero una caratteristica cittadina. Che poi ogni tanto un’altra caratteristica cittadina sia perdersi in un bicchier d’acqua per polemiche da madamina anni ’50 e poi farsi soffiare le cose da Milano e dai suoi soldi, beh, quello è un altro discorso; ma Movement/FuturFestival e Club To Club stanno a Torino da sempre e, salvo colpi alla schiena da parte dell’amministrazione comunale e di fantomatici comitati di residenti, sono pronti a restarci ancora per un bel po’. Ora che poi hanno affinato la sottile arte della convivenza, dividendosi per bene i campi ma anche collaborando quando necessario, creando una perfetta “catena di trasmissione”, il futuro può diventare ancora migliore. Il presente, è bellissimo già. Da anni. Continua effettivamente ad esserlo. Milano ha solo da imparare (…e questo ai torinesi, ossessionati dalla rivalità con la metropoli lombarda come sono, farà piacerissimo leggerlo).
Foto di copertina di Sinestesia Inc