Vi siete mai soffermati a riflettere sul futuro di una volta? Come immaginavate l’agognato “anno spartiacque” 2000? Negli anni Ottanta, quando ero un ragazzino, l’immaginario collettivo era fortemente influenzato dalle (pre)visioni prospettate da film, fumetti e romanzi di fantascienza, con automobili volanti, marciapiedi rotanti, porte di casa apribili con dispositivi in grado di leggere impronte digitali e retina, videotelefoni, cibi liofilizzati, caschi e tute argentee antismog. E la musica invece? Era piuttosto difficile pronosticare nuove stesure ma si pensava a suoni non riconducibili ad alcuno strumento noto, a voci sintetiche, ad effettistica inedita e soprattutto a nuovi modi per ascoltare la stessa musica. Gran parte di queste cose è accaduta per davvero, e i dischi selezionati in questo episodio di Wunderkammer non sono altro che “ponti di connessione” tra ieri ed oggi. Però, oltre quindici anni dopo aver valicato la fatidica soglia del 2000, ho l’impressione che il futuro, almeno per certa musica, fosse ieri.
DJ Rocca & Fred Ventura – Looking For Love (Disco Modernism)
Dal tandem DJ Rocca – Fred Ventura proviene un brano che enuclea l’italo disco 2.0: vocalità, melodie, ritmo ballabile mai esasperato. Quasi tutto come avveniva a metà anni Ottanta, ma con una dinamica sonora più pulita, compressa, corposa e senza sbavature, risultato delle moderne tecniche di registrazione ovviamente. Il pezzo, anzi la canzone perché di questo alla fine di tratta, viene riletto sia dai N.O.I.A., che ne riducono le parti melodiche aggiungendo qualche sprazzo di roboteria derivata dall’uso del vocoder, sia dagli Italoconnection, che invece preferiscono ricorrere a classici costrutti italo con l’immancabile basso ottavato. C’è spazio anche per una bonus track, l’Italo Vocal Remix di “A Reason For Leaving”, composta insieme a Dimitri From Paris e già apprezzata nel 2011 nel set mixato di Jerry Bouthier sulla tedesca Gomma ma solo in digitale. Delle 300 copie 150 sono su vinile verde.
Gerhard Heinz – Jess Franco’s Bloody Moon (Director’s Cut)
È incredibile come la Private Records riesca ad immettere sul mercato, e per giunta a ritmo serrato, una quantità tale di materiale che per ricercatezza fa impallidire anche i più tenaci collezionisti. Intenzionata, insieme a poche altre sparse tra Europa e Stati Uniti, a diventare leader di un segmento di mercato che pare in costante espansione, l’etichetta berlinese torna a scommettere su Gerhard Heinz, dopo “Sex Fever” del 2014 e il recente “The Pussycat Syndrome”. In questa occasione, con cui viene lanciata la nuova sublabel Director’s Cut, si mette per la prima volta su (triplo) vinile l’intera soundtrack di “Die Säge Des Todes”, noto anche come “Bloody Moon”, film horror/slasher/splatter tedesco del 1981 diretto da Jess Franco e giunto in Italia col titolo “Profonde Tenebre”, forse scelto per creare un link col più noto “Profondo Rosso” di Dario Argento. Ai tempi la pellicola suscita clamore al punto da essere vietata in Germania ed altre nazioni. Motivo? Violazione della dignità umana per scene di sesso, relazioni incestuose, carni lacerate e teste mozzate. Nulla in confronto a ciò che avviene oggi, nella realtà e non sul set cinematografico. Ma torniamo al disco: il triplo vinile, ospitato da un fantastico gatefold patinato in cui trova spazio anche l’immancabile poster, accoglie nei suoi solchi ben 85 brani tratti dalla colonna sonora del film e rimasterizzati, per oltre due ore di musica di tensione quasi ininterrotta, con sprazzi di disco, krautrock, psychedelic rock, dark ambient e classiche sonorizzazioni cinematografiche, library music insomma. Dalla Private ci tengono a far sapere anche che sono stati necessari oltre 10.000 euro e circa un anno di lavoro per metter su questo ambizioso progetto disponibile in sole 400 copie, 300 delle quali in colore rosso (sangue). Janis Nowacki, la mente di Private Records, dice: «Onestamente non avevo pianificato questa produzione ma quando ho ascoltato le registrazioni per la prima volta ne sono rimasto affascinato tanto da convincermi ad affrontare la sfida». Archeologia sonora di cui, sicuramente, si parlerà un domani.
Luputoni – Talopalo EP (Luputoni)
A poca distanza dal debutto i Luputoni ci riprovano battendo la stessa pista creativa: il loro nuovo EP (autoprodotto) continua a tributare il french touch e la filter house più in generale, gonfiata con vibrazioni technoidi. Traendo qualche ispirazione vocale da vecchie incisioni finlandesi degli anni Ottanta, Lupu e Toni edificano un mix che ha il potere di rammentare, in un sol colpo, ben tre decadi: gli Ottanta (disco, new wave), i Novanta (filter house) e i primi Duemila (electro house). Cinque i pezzi realizzati con un Akai MPC, un Nord Rack 2 e un Alesis 3630 a cui si aggiungono le frustate della TR-909. “Seis” scorre su un riff 80s pop filtrato ed un maestoso arpeggiatore, “Mekko” è lapalissianamente daftpunkiana, provate ad immaginare una specie di “One More Time” o “Honeymoon” (DJ Falcon) tradotta in suomi, “Sankarit” offre pianate house (naturalmente filtrate) e vocal (per noi incomprensibili) scalati da un basso ispirato da quello di “Thrill Me” di Junior Jack (a sua volta derivato da “Burnin'” dei citati Daft Punk). Si intravede del rock sullo sfondo di “Tunnen Sen”, tenuto dentro una bolla electro house che fa il verso alla fase più pop(olare) di quella fiammata stilistica di una decina di anni fa circa (ricordate “I Like The Way” di Bodyrockers?). Per concludere i nordici optano per “Se Varma” con un tiro più techno, coi cimbali shakerati ed immancabili sample funk/disco che qui ammiccano un po’ a Duck Sauce ma con un piglio più vicino a certe cose uscite dai confini nipponici (Takkyu Ishino, DJ Tasaka, il compianto Kagami, Chester Beatty e più in generale allo stile della Carizma diretta da Tomoatsu Watanabe). L’extended play proviene dalle gelide terre finlandesi ma i suoni al suo interno sono poco glaciali, derivati dall’amore (e forse anche da una certa mania/ossessione) per la house promossa anni addietro da DJ Sneak, Daft Punk e Ian Pooley. A differenza del primo limitato alle appena 50 copie, questo secondo EP ferma la sua tiratura a quota 300.
Paul Deepnlow Moore – From Alpha To Gemini (12 Records)
Si viene catapultati nel passato grazie al 12″ in questione che rimanda, in modo chiaro, a quanto avvenne alla house da club nei primi anni Novanta. Da noi la si chiamava con approssimazione underground, probabilmente in virtù di una delle etichette che ne determinarono la maggior diffusione, la UMM (acronimo di Underground Music Movement). Moore ripercorre gli itinerari di Ivan Iacobucci, Visnadi, Enrico Mantini e di altri italiani che hanno contribuito nel rendere epico quel periodo: dalle atmosfere sospese di “Alpha One Shot” (in coppia con Lou Start) alle gradevoli ed inconsuete blipperie di “2 Worlds”, passando per le rocciosità ritmiche di “You Can Feel It”, le classicherie da TR-707 di “Distance” e i loop sbatacchiati di “Gemini”. A fine ascolto potreste aver voglia di setacciare cataloghi di etichette italiane dei tempi, come UMD, Calypso, Heartbeat, Palmares, Informal, MBG, X-Energy e D:Vision.
Patrick Cowley – Muscle Up (Dark Entries)
A due anni di distanza da “School Daze” la Dark Entries propone una nuova collection che permette di entrare ulteriormente in contatto con il lato più oscuro e destabilizzante di Cowley, ingiustamente ricordato dai più solo per aver “musicato” una delle hit di Sylvester, “Do You Wanna Funk”, ed aver (mega) remixato la nazional popolare “I Feel Love” di Donna Summer. I dieci pezzi qui raccolti provengono ancora da quel repertorio che il compositore, scomparso prematuramente nel 1982, destinò a film pornografici prodotti dalla Fox Studio, School Daze e Muscle Up per l’appunto, entrambi del 1980. I timpani marziali e militareschi di “Cat’s Eye”, i suoni esotici di “The Jungle Dream” e il rock destrutturato di “Deep Inside You” sono solo alcune delle peculiarità che emergono a prima vista. Poi c’è un barlume di beat che potrebbe far muovere la testa a tempo (“Somebody To Love Tonight”, apparso nel 1979 come b side di “I (Who Have Nothing)” del citato Sylvester), il ganzissimo funk incrociato a lampi elettronici (“Pigfoot”, “5oz Of Funk”, “Don’t Ask”), le divagazioni timbriche (“Uhura”), il didgeridoo di “Timelink” e le planate estasiate di “Mockingbird Dream 2”. Un disco che si pone tra l’ambient ed uno sperimentalismo quasi kraut già rivelato da “Catholic”, portato in superficie nel 2009 dalla tedesca Macro. In circolazione c’è pure “Kickin’ In” che abbraccia altri tre micidiali inediti composti da Cowley tra il 1975 e il 1978 e di cui ben si evidenzia la title track, col featuring di Loverde, un incrocio tra Cerrone (recuperate “Sweet Drums” e capirete il motivo) e il Moroder di “From Here To Eternity”. Sperimentazioni di circa quaranta anni fa che umiliano molti dei presunti sperimentatori del nuovo millennio.
Wolfram – United 707 (Firehouse)
Wolfram Eckert approda sulla Firehouse della DJ Kim Ann Foxman (ex Hercules & Love Affair) intagliando un brano che combina esattamente le due scuole a cui è più legato, l’italo-disco e la house di Chicago. “United 707” ricicla da un lato i bassi rotolanti tipici della produzione italica di trent’anni fa, dall’altro importa il rollio caratteristico degli snare della primordiale jackin house. Diversi i remix: quello del russo Leonid Lipelis affiancato da Wolf si adagia completamente su territori housistici accogliendo nelle sue griglie ritmiche, oltre ad una melodia jazzata con qualche effetto simil-glissato, le curvature acide della TB-303. Col Mystic Mix l’italiano Simoncino ricava un discreto collage tra techno ed house venato di atmosferiche arcate, ma ad attrarre di più è la rivisitazione dell’olandese Legowelt, che tiene incollati con una partitura trasognata, effetto echo e delay incrociati ed alternanza di assoli che riportano alla memoria sue datate produzioni su Bunker (“Klaus Kinski EP”, “Tower Of The Gipsies”, “Beyond The Congo”). 500 le copie disponibili su vinile mentre il formato digitale, su DFA, esclude i remix di Lipelis e Simoncino annoverando quello di David Hasert, a base di trascurabile tech house interrotta da glockenspiel, spunti etnici e piccole iniezioni melodiche.
Ralf Hildenbeutel – Moods (Rebecca & Nathan)
Probabilmente ai giovanotti di oggi il nome di Hildenbeutel suonerà del tutto nuovo: era lui, oltre venti anni fa, ad armeggiare in studio con Sven Väth, componendo brani come “My Name Is Barbarella” di Barbarella e “Vernon’s Wonderland” di Vernon, co-producendo interi album dell’ex frontman degli Off come “Accident In Paradise”, “The Harlequin – The Robot And The Ballet-Dancer” e “Fusion”, oltre a disegnare le melodie di Cygnus X insieme a Matthias Hoffmann (“Superstring”). Insomma, uno dei pionieri della trance teutonica. Ormai dedito da tempo all’ambient e musica cinematografica, il tedesco è al terzo album sulla Rebecca & Nathan e, come giustamente dicono le note promozionali, «fan di Ólafur Arnalds, Jon Hopkins, e Nils Frahm adoreranno questo disco». A coadiuvare la vena modern classical sono i musicisti Cordula Wildenhain (violino e viola), Katrin Penz (violoncello) ed Helfried Wildenhain (archi). Dentro “Moods” c’è puro onirismo da soundtrack (“Misty”, “Lucid”, “Fall”), con qualche strascico glitch (“Lost”), ma anche inconfondibili richiami alla trance di inizio carriera ovviamente privati di riferimenti ritmici (“Disco”, “Ease”). La rilassatezza viene mandata in frantumi da sezioni di broken beat in “Spark”, per cui Boris Seewald ha realizzato anche un videoclip. Poi, quando suonano le elegiache “Beyond”, “Salt” e “Curious”, il pensiero vola alle vittime di Parigi: Hildenbeutel, senza volerlo e saperlo, ha interpretato lo stato d’animo di questi terribili giorni di sangue.