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[tab title=”Italiano”]Mentre non vediamo l’ora di sapere come sarà il prossimo “Love Letters”, abbiamo avuto l’opportunità di fare una chiacchierata con Joseph Mounth, leader della super-cool band inglese Metronomy. Arrivano così al quarto album, freschi della nomination al Mercury Prize del 2011 con “The English Riviera”, e ci hanno insegnato come sia possibile usare la tecnologia in funzione della creatività e non viceversa. Sanno benissimo come gestire strumentazione hi-tech ma preferiscono andare nella direzione di un suono più puro, più reale. In questo senso il loro obiettivo è certamente ambizioso, ma non è un problema per il quartetto inglese, noto per essere tra le icone pop più visionarie del momento. Segnatevi la data, “Love Letters” uscirà il 10 marzo.
Come state e dove vi trovate in questo momento?
Tutto bene grazie, siamo a Manchester per un concerto a breve e fa pure freddo.
Voi, come anche la vostra musica siete così easy, naturali. Penso che a volte certa musica sia strettamente legata al luogo in cui viene sviluppata, trovi che sia il caso vostro?
Devo dire che crescere in campagna ti permette di mantenere sempre un carattere abbastanza rilassato. In genere non accade un granché, quindi hai la necessità di cercare sempre nuovi stimoli. Per il resto sono convinto che molto abbia a che fare anche con la mia famiglia.
Da giovane ascoltavi molta musica indie e IDM, che preferisci definire ‘abbastanza complicata’. Come pensi che abbia influenzato successivamente lo stile tuo e della band?
Quando ho iniziato a fare musica con il computer, in sostanza ascoltavo musica che era scritta nello stesso modo. Al tempo mi piaceva tantissimo quel genere. Di solito prelevavo dei campioni qua e là e cercavo di rielaborarli per ricavarne qualcosa di interessante. Quei tentativi mi hanno condotto alla produzione nel senso più globale del termine. Con questo non sto dicendo che ciò significhi automaticamente produrre bene, ma di sicuro adesso conosco molto meglio le qualità intrinseche del suono. Penso che quel metodo di lavoro mi abbia portato ad essere quello che sono oggi, se consideri anche l’atteggiamento costantemente rivolto ad imparare e migliorare.
Come vi coordinate all’interno della band nella fase creativa? Sei tu che hai l’ultima parola o siete collaborativi fino all’ultimo?
Continuo a scrivere le canzoni da solo e le porto agli altri quando dobbiamo registrare. Dal momento che sono io quello che produce, penso di concedermi il privilegio di prendere le decisioni finali. Quindi, anche se quando registriamo cerchiamo di collaborare, ho già ben chiaro che cosa voglio come producer.
Parlando dello scorso album “The English Riviera” lo hai definito un progetto ‘fai da te’. L’album era una sorta di lettera d’amore nei confronti del vostro paese d’origine. Ora arrivate con Love Letters, a chi sono rivolte in questo caso le lettere d’amore?
L’album non è esattamente una lettera d’amore rivolta a qualcosa o a qualcuno. Ma per come è stato concepito può essere visto come un pensiero nei confronti di una vecchia maniera di fare musica.
“The English Riviera” era completamente diverso rispetto al precedente “Nights Out”, manteneva un atteggiamento positivo anche se si lasciava andare volentieri ad una sensazione di melanconia e solitudine. Alcuni di questi elementi li ritroviamo anche in “Love Letters”. Che tipo di album è secondo te e qual è la differenza più evidente da “The English Riviera”? Magari questa volta è più psichedelico che solitario…
Ho voluto realizzare un disco che fosse in sostanza ‘puro’. E quando dico puro intendo un disco che non sia condizionato in nessun modo dal computer. Quindi in questo senso il nuovo album è molto diverso da “The English Riviera”, perché è completamente realizzato in analogico. Ho anche cercato di migliorare la scrittura dei testi e di pensare ai brani in maniera più ‘tradizionale’. Anche in questo caso intendo dire che ho scritto tutte le canzoni alla tastiera o alla chitarra, invece che al computer.
Da dove è arrivata l’idea?
Non esiste un concetto come tale alla base dell’album, ho voluto realizzare una produzione che ho costruito in base alle esclusive capacità mie e della band, nessuna interferenza di computer e digitale. Partendo da questo approccio, ho ascoltato sempre più musica degli anni ’60 e così ho intrapreso una strada più psichedelica.
Pensando al video di “I’m Aquarius”, con quell’atmosfera da fantascienza retro anni ’70, come è stata la collaborazione con Salier? Ancora una volta avete utilizzato un tipo di synth-pop lontano dagli effetti speciali, mettendo in gioco la vostra creatività…
Volevo semplicemente che il video fosse ambientato nello spazio. Edouard ha poi seguito la mia bozza e l’ha fatta sua. Penso che la sua volontà di un approccio più analogico per il video musicale abbia funzionato molto bene con quelle che erano le mie idee per il disco.
Cosa mi dici invece sul look retro che vi rende così sofisticati, in che modo si riflette sulla vostra musica? Anche se hai detto che Love Letters è un album senza tempo, penso che nel vostro caso vi piaccia avere un sound che guardi al passato, ma che ogni volta riusciate sempre a comunicare qualcosa di nuovo. Non è proprio semplice, anzi può rivelarsi abbastanza complicato, non trovi?
In questo caso penso che sia buona cosa essere sempre aperti alle influenze che ci vengono incontro. Per quanto riguarda l’impatto visivo, il gusto ‘retro’ è qualcosa che avvertiamo come parte integrante della performance. Mi piace essere ben disposto alle influenze esterne, ma non voglio assolutamente copiarle o scimmiottarle. Si tratta di un tributo più che una parodia!
E anche se siete arrivati al quarto album, mai nessun cliché!
Beh, grazie…
Avete registrato “Love Letters” nel leggendario studio analogico Toe Rag. Il risultato è un suono puro e morbido, molto piacevole da ascoltare! Che impatto ha avuto sullo sviluppo dell’album?
Principalmente ha influenzato il modo con cui ho scritto i brani. In più questo metodo di lavoro ci ha obbligato ad avere una organizzazione precisissima. Diversamente dall’uso dal digitale, registrare su nastro richiede una enorme preparazione a monte e sono certo che questo aspetto abbia certamente cambiato il concetto del disco. Toe Rag e la registrazione su nastro sono stati due elementi fondamentali che hanno contribuito a dare quel sound particolare all’album.
Avevate già in mente tutte le tracce prima di arrivare in studio oppure il lavoro si è portato avanti anche durante fase di registrazione?
Avevamo già una demo di quasi ogni traccia prima di essere in studio. Prima avevo troppe cose già avviate in produzione… non è esattamente il metodo migliore, ma ho imparato che prima si prendono le decisioni, più coerente sarà la realizzazione del disco.
Che sensazioni vi ha dato muovervi in un ambiente low-tech?
È stato stupendo! Non è esattamente quello che vorrei fare per sempre, ma mi ha insegnato molto su come scrivere i brani.
Infatti dopo il primo album ti sei sempre più concentrato sulla componente vocale. Dopo tre uscite, sei soddisfatto del risultato raggiunto? Ci saranno remix ufficiali questa volta e, se sì, come vorresti che fossero?
Ora mi diverto proprio a cantare e a scrivere i testi, è una cosa che mi da molta soddisfazione! Non mi sento di dichiarare che nel mio caso la voce sia il mio strumento incorporato, ma è sicuramente un valido supporto. Sì, avremo dei remix molto interessanti. Abbiamo scelto con estrema cura gli artisti migliori, li sentirete presto!
Un ultima cosa sul look, com’è stato passare dalla tuta da astronauta alle stilose giacche bordeaux del video di Michel Gondry? A proposito, il set del video di Love Letter riesce a dare quell’impressione di suono artigianale e palpabile.
Collaborare con Michel Gondry è stato come un sogno che diventa realtà. La sua mentalità e la sua estetica hanno avuto una profonda influenza su di me come anche molti altri musicisti e artisti. È stata un’opportunità unica, in ogni caso penso di preferire la giacca alla tuta…
Ho letto un commento eccezionale sul video. Alla domanda “Sono l’unico a pensare che questa canzone mi ricordi molto dei Beatles?” arriva la risposta “In realtà penso che i Beatles si rifacciano molto ai Metronomy.” Ora capisco quando dici che ogni album ci riporta sempre un po’ più indietro…
Ahah, beh il prossimo album sarà ben piantato nel presente!
Come sta andando il vostro tour? Considerando che non fate esattamente musica dance, come vi rapportate con un pubblico più danzereccio?
Il nuovo live show è stupendo, ci sentiamo molto più liberi di prima. Non vediamo l’ora di rimetterci in moto e, non ti preoccupare, faremo di nuovo ballare la gente![/tab]
[tab title=”English”]While we are eager to hear how the forthcoming Love Letters will sound like, we went for a chat with Joseph Mounth, frontman of the glittering UK electro-pop band Metronomy. The band has made it up to the fourth release – having been awarded a Mercury Prize nomination for 2011’s “The English Riviera” – and has taught us how technology can be adapted to creativity. They do know how to use hi-tech stuff but they prefer to deal with a clearer sound. I this sense their objective is indeed ambitious but the guys of the quartet are well known for being some of the best visionary popsters around. So save the date, Love Letter is out on 10th March.
How are you guys doing? And where are you right now?
We are fine thank you. We’re in Manchester about to play a concert, it’s very cold.
You look so easy-going, as your music, which flows very naturally! Does it have anything to do with the place you’ve been growing up? I think a lot of music is strongly connected with the context in which it was created.
I think growing up in the country makes you quite a relaxed person. There’s not much happening, so you learn how to stimulate yourself. I expect it also has something to do with my family.
When you were young you used to listen to a lot of indie and IDM or – as you call it – ‘quite complicated’ dance music. How’s that influenced your later output within your band?
When I started using a computer to write music I was listening to music that was made in the same way. At the time, I really loved technical, computer music. I used to chop up samples and try to make interesting things out of them. That way of working probably turned me onto music production in a much broader sense. Now I don’t think that technicality equals good production, but I understand much about the quality of sound itself. That’s what I think has helped me get to where I am today, it’s a much about a passion for learning and improving as it is anything else.
How do you work out the creative process inside the band? Are you the one having the last word or you all try to be the most collaborative?
I still write the songs alone, I take them to the band when we record. Because I produce the records I also have another layer of power I suppose. So, although when we record it is collaborative, i still know what I want as a producer.
Talking about “The English Riviera” you described it as a “bedroom project”. I liked that, I recalls a simple way of making music. “The English Riviera” was – let’s say – a love letter to your birthplace. Now here comes Love Letters. To whom are they addressed this time?
This new album is not supposed to be taken as a love letter to anyone or anything really. But, I think because of the way it was made it could be seen as a love letter to an older way of making music.
“The English Riviera” was a completely different album from “Nights Out”, it had a sweet spirit but still wallowed in a sort of melancholy and loneliness. Some of these elements may be found in “Love Letters” too. What kind of album is your last one and what is in your opinion the biggest difference from The English Riviera. I’d say it’s more psychedelic than solitary this time…
I wanted to make a record that was much more ‘pure’. I mean pure in the sense that I wanted to make a record that didn’t rely on computers in any way. So in that sense, the new record is very different from “The English Riviera” because it is entirely analogue. I have also tried to improve my songwriting and approached the songs on this record in a much more ‘traditional’ way. That’s to say that I wrote all of the songs either at a keyboard or guitar as opposed to a computer.
Where did the concept come from?
There is no concept as such, but I wanted to make a record that I felt was made from my own and the bands abilities alone, I didn’t want to give any credit to a computer. That way of thinking got me listening to more 60’s music and took me down a more psychedelic route.
I’m thinking about both music and video of “I’m Aquarius”, with its 70s sci-fi approach in a psychedelic atmosphere. How was the collaboration with director Edouard Salier? Once again you bring a kind of electro-pop that avoids special effects, no frills, but with a deeper creativity…
I just wanted to make a video that was set in space. Edouard took that idea and made it his own. I think a more analogue approach to making a music video is what he wanted to explore, which worked very nicely with my ideas for the record.
What about the – allow me – retro touch and sophisticated look of the quartet? Does it have anything to do with your music? Even if you said that Love Letters is a timeless record, I think you like to sound old-fashioned but still every time you come out with a record that always says something new. That’s not so easy and can be really tricky, how do you do that?
I think it is fine to be open about influences. The visual ‘retro touch’ is something that we felt would would really well as part of a performance. I like to be open about my influences, but I never like to copy them or degrade them in any way. It’s tribute rather than pastiche.
And there’s no cliché in your music, even if you’ve made it to the fourth album!
Well, thank you…
“Love Letters” was recorded in London’s Toe Rag proudly analogue studios. The result is a pure and warm sound, which is fantastic to listen to! What impact did it have on making up the album?
The most important thing it changed was how I wrote songs. Because I knew how I planned to record the record I knew that I needed to be very organised. Using a tape machine involves much more forethought than using a computer and it is that aspect that really changed the record. Toe Rag and the tape machine have been fundamental in making the new record sound like it does.
Did you already have in mind all the tracks when you got to the studio or was it a work in progress?
Every track was demoed in some way before I went to the studio. Previously I have take too many works in progress to the studio..it’s not a very good way of working. I have learned that the sooner you make decisions, the more coherent you make a record.
How has been working in an analogue low-tech environment?
It was really wonderful. It’s not something that I will do again and again, but it has taught me a lot about songwriting.
Yeah infact after the first album you got more concentrated on vocals and songwriting. Three albums later, are you satisfied with that? Any official remixes on the way this time? If yes, what would you like them to be?
I am beginning to really enjoy singing and writing lyrics, that is something that I feel very happy with. I wouldn’t say that the voice is an instrument in my case, but it’s definitely another tool. We have some exciting remixes happening, we have cherry picked the best people, you will hear them soon.
Last thing on your outfit, how’s changing from being a spaceman to wear those cool blazers in the video by Michel Gondry? The set around you in Love Letters is really very nice and gives the idea of a handcrafted and earthy sound.
Working with Michel Gondry was a dream come true. His outlook and aesthetic are things that have influenced me and many other artists and musicians. To work with him was a rare opportunity. I think I prefer the blazers to the space suit.
I also read a comment below the video. The best so far! Guy writes “I’m the only one who thinks this song reminds a lot of the Beatles?” and another one replies “I think that the Beatles look a lot like Metronomy instead”. Funny isn’t it? Now I do understand what you mean by saying that each record gets you further back in time…
Ha, well, the next record will be very much of ‘now’.
What about touring, what feedback are you receiving from your fans? And since you don’t make strictly dance music, how do you relate with a more dancefloor-oriented audience?
The new live show is really fantastic for us. We feel much more free than before. We can’t actually wait to get out on the road and don’t worry, we will still be making people dance.[/tab]
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