Come una passione che nasce, si consuma e si spegne in un’unica indimenticabile notte, il mio amore per Visionquest è finito nel giro di poche, decisamente troppo poche, release. Difficile seguirli, quei quattro lì, talmente complicato che spesso e volentieri si perdono le sfumature delle loro idee e di ciò che hanno deciso di promuovere e supportare col loro (ormai mastodontico) marchio. Nella musica, come in quasi tutte le arti, sono le sfumature a fare la differenza e non riuscire a coglierle, annacquate in un mare di musica “affrettata”, è un peccato quasi mortale. Ma Visionquest non doveva essere una label nata per dare spazio ai quattro moschettieri di Detroit e ai loro amici? Allora apri Discogs e leggi il catalogo della label che fa la spola tra Berlino ed il Nord America e ti rendi conto che Seth Troxler e Co. devo essere dei grandi compagnoni, perché dentro Visionquest c’è una combriccola mica da ridere. Dinky, Francesco Tristano, Mirko Loko, Guy Gerber, Uner, Brett Johnson, Cesar Merveille e chi più ne ha più ne metta. Praticamente tutti.
E allora, qual è il problema?
Il problema è che “Where The Freaks Have No Name EP” di Benoit & Sergio e “Utopia” dei Footprintz, che vedevano la luce non più di un paio d’anni fa (anche meno), sono un lontano ricordo e la ventina di uscite che hanno inondato il mercato musicale negli ultimi mesi sono state spesso e volentieri solo dei lampi di luce in un mare di musica di cui non tutti hanno sentito la necessità. Poi però ci sono le eccezioni, quei lampi di luce appunto, che ti fanno vincere la diffidenza verso un prodotto quantomai inflazionato. “E grazie, con qui nomi lì ci mancherebbe!”, obiezione sacrosanta, ma le addizioni spesso e volentieri posso essere cose più complicate del previsto. Pensate a Cadenza: fatta eccezione per “Palua” di Uner (che comunque ha veramente poco in comune con la label svizzera) mi sapreste dire quale disco veramente merita di essere sentito e risentito? Quale disco tra uno, due, tre o cinque anni pensate di risuonare? C’è voluta, ancora una volta, la discesa in campo di Luciano per dare una “sistemata” ad un 2012 davvero avaro per la label della “N”.
Ma torniamo a noi e alle cose più meritevoli. Tra questi c’è stato “Step Aside”, EP a firma Life And Death uscito il dicembre scorso che ha segnato (almeno discograficamente) il primo passo verso quell’ “abbrutimento” sonoro che tanto auguravo ai Tale Of Us. L’EP fuonzionò – “Morgana” d’altronde è un signor disco – per questo non c’è da stupirsi se le alte sfere di Visionquest abbiano deciso di puntare su una nuova release di remix. Ad un Carl Craig ormai inseritissimo dentro lo starsystem della musica da ballo, quello che tanto tempo fa quasi rinnegava e che adesso gli presta il fianco avido del suo talento, tocca il compito di remixare “Morgana”. Il disco è ovviamente ben fatto, ma di gran lunga meno incisivo ed interessante della versione originale dei Tale Of Us e dei Thugfucker. A Jamie Jones e ai Rework il compito di mettere le mani su “Step Aside”. Il britannico, evidentemente più in palla dietro i giradischi che dentro al suo studio di registrazione, ci regala l’ennesimo disco di plastica. Questa volta il colpo ad effetto in stile “11:11” non arriva e il suo lavoro è la vera nota stonata di questa raccolta di remix. Che dici Jamie, basta così? Il trio franco-tedeso Rework confeziona, invece, quello che sembra essere il lavoro migliore della release: ritmica statica, cut della voce di Scott McCloud e poco altro sono gli elementi che caratterizzano questa traccia decisamente “basic”. Poche cose ma scelte bene, pochi ma selezionati ingredienti.
A volte ascoltare un remix di qualche brano ci ricorda quanto questi ultimi siano belli. Perciò Carl e Jamie, grazie di tutto, io mi riprendo “Morgana”.