Mentre il mondo dell’house music, ancora lontano dell’essere stanco, continua quel processo di riscoperta che l’ha portato all’editing di tutto il campionabile e al litigarsi le ristampe di vecchi classici più o meno famosi, c’è chi, come Leon Vynehall, si è dedicato alla costruzione di uno stile solido e altamente riconoscibile, aggiungendo un tocco personale ai paradigmi classici e quasi intoccabili del genere. Quello dell’inglese, tra l’altro, è un percorso iniziato una manciata di anni fa e che, proprio con “Rojus (Designed To Dance)”, sta vivendo oggi la fase di maggior consapevolezza, quella in cui è quasi doveroso porre l’accento sui punti di forza della sua musica. Per questa ragione il nuovo, bellissimo Running Back sembra essere la versione fiera e “in grassetto” di “Music For The Uninvited”, il mini-album – o maxi-EP, se preferite – uscito per la 3024 di Martyn due anni fa. Qui, infatti, i chord suonano più energici, i pad più ariosi e le linee di drum più fiere e muscolose, nonostante l’intera opera riesca nell’invidiabile e non semplice compito di mantenere invariata la delicatezza delle armonie e la raffinatezza delle sovrapposizioni che hanno fatto fin qui da traccia nella sua discografia.
“Rojus (Designed To Dance)”, come ha modo di illustrare lo stesso Vynehall attraverso l’info-sheet dell’album, è una raccolta suadente e sensuale: “Due anni fa ho suonato allo Studio 9 di Vilnius, in Lituania. Il giorno dopo il party ho perso il volo che mi avrebbe riportato a casa e così sono finito in giro per la città insieme al mio amico Linus, il quale decise di portarmi al Contemporary Art Centre. È stato lì che ho notato un libro intitolato Rojus, che in lituano significa Paradiso. La parola e la copertina del libro sono rimasti immediatamente impressi nella mia testa. Pochi giorni dopo il mio ritorno a casa mi sono imbattuto in un documentario su National Geographic intitolato Designed To Dance sui rituali degli uccelli del paradiso. Mentre lo guardavo ho iniziato a pensare alle similitudini tra i tentativi di corteggiamento di questi uccelli e quelli di chi balla nei club, interagendo sul dancefloor. Questo mi ha dato lo spunto per lavorare a un album funzionale a questo scopo, scritto come se mi trovassi io stesso nel club dall’apertura delle porte alla chiusura, utilizzando i campioni degli uccelli del paradiso nel loro habitat. E così, Rojus.”
Un concept album, quindi, un contenitore in cui far convergere la gentilezza di quella disco tanto cara al boss di Running Back, Gerd Janson, e la maliziosità dell’house music che nell’immaginario di Vynehall fa da colonna sonora al rituale ballo/seduzione raccontato da “Rojus (Designed To Dance)”. E chi se ne frega se, a conti fatti, volendo essere ipercritici, le otto tracce tendo ad assomigliarsi un po’ per struttura, andamento e mood: Leon Vynehall non ci ha regalato una corsa a ostacoli o una manche di Giochi Senza Fontiere, piuttosto una passeggiata attraverso sensazioni di cui, vedrete, non saprete più fare a meno.