La passione, lo stile e l’eleganza di uno dei più meravigliosi protagonisti che il mondo del mondo della notte abbia mai conosciuto.
Se mi chiedeste con quale categoria di persone difficilmente riesco ad andare pienamente d’accordo, mentirei se non rispondessi che fatico terribilmente a digerire chi tratta il prossimo con distacco o sufficienza. Nonostante possa capire che spesso questo tipo di atteggiamento è figlio del desiderio di preservarsi e di tutelarsi, diciamocelo: tenere a rigida distanza chiunque o qualunque cosa ci circondi è proprio antipatico.Viceversa, ammiro molto chi, con passione e calore, sa calarsi nella realtà che lo circonda e riesce a dare il suo contributo, in termini di energia ed entusiasmo, all’ecosistema che lo ospita. Si tratta di umanità, credo; una di quelle prerogative che o si possiedono dalla nascita oppure niente, nulla da fare.
Questo tipo di divisione in categorie – ovviamente spicciola e sommaria – può essere applicata con buona approssimazione anche al mondo dei dj. Ci sono quelli che non importa se davanti a loro hanno qualche migliaio di giovani danzanti con le braccia alzante, di un sorriso o di un cenno di intesa a chi li acclama nemmeno a parlarne. E poi ci sono gli altri, quelli che in modo grossolano possiamo definire “presi bene”, che creano un flusso costante di dai-e-ricevi con il loro pubblico, costruendo disco dopo disco un percorso in cui si è tutti protagonisti e tutti fondamentali per la riuscita di quel rito collettivo a cui ambiscono i clubber più autentici.
Laurent Garnier è, senza alcun dubbio e senza alcun timore di smentita, uno dei membri più autorevoli di quest’ultima categoria: è lui, con ogni probabilità, il dj per antonomasia.
Garnier non è molto più giovane di mio padre, eppure ad aver letto o ascoltato la sua storia – soprattutto per quanto riguarda gli inizi – sembra venire da un’epoca ancor più lontana: appena adolescente gli viene chiesto di buttarsi e decidere cosa desidera diventare da grande. Seguire la carriera militare o quella all’interno di ristoranti e alberghi? La famiglia preme. La scelta si rivela fortunatamente facile così, nemmeno ventenne, è a Londra al servizio dell’ambasciatore francese, un tipo benevolo e accondiscendente, che non fa nulla per ostacolare la sua passione per i party fino a notte fonda e la sua voglia di fare festa. In un contesto diverso – questa è molto più di un’ipotesi campata in aria – difficilmente si sarebbero creati tutti quei presupposti che gli hanno permesso di far splendere la sua stella.
Niente Manchester (dove in realtà segue una delle sue prime fidanzate), insomma. Niente Haçienda, Mike Pickering e nemmeno “Love Can’t Turn Around”. È grazie allineamento di tutta questa serie di astri che deflagra come una bomba H il suo amore per la musica e per l’ecosistema-dancefloor; è qui la curiosità per tutto ciò che si cela nei dischi a firma Gwen Guthrie, Mr Finger, Phuture, Lil’ Louis, Carly Simon e Ce Ce Rogers, tra un solco e l’altro, diventa impellente necessità. È in questo modo che vengono messe le fondamenta del dj straripante che tra la metà e la fine degli anni ’90 è universalmente considerato come uno degli artisti di più importanti e brillanti ad aver messo mano su due Technics: è la determinazione e la voglia di affermarsi con la sua musica ad alimentare il fuoco che sembra ardere dentro ogni suo disco.
La techno brutale e fisica e l’house music più confortevole convivono in Laurent Garnier con una naturalezza sconvolgente, costruendo ogni notte viaggi sonici irripetibili, dove tonnellate di dischi si fondono nemmeno fossero parti necessarie e insostituibili di un unico, grande percorso. Chiunque l’abbia visto all’opera – anche oggi che la scena è in grado di offrire standard medi più altri rispetto a quelli degli anni in cui Garnier ha iniziato ad imporsi – non può non essersi reso conto di quanto ogni sua esibizione sembri correre compatta come un unico grande brano: esiste un inizio, una progressione, l’esplosione nel momento di massima tensione emotiva e una chiusura, che conduce il dancefloor verso quell’approdo sicuro che, in realtà, si ha sempre l’impressione essere arrivato troppo presto, anche se Garnier è ai piatti da otto ore. Il tutto arricchito da una presenza scenica estremamente empatica e brutale nella sua fisicità.
Come ogni predestinato che si rispetti – non importa se si sta parlando di un chitarrista, di un calciatore o di un dj – ciò che scava un segno invalicabile tra Laurent Garnier e la stragrande maggioranza dei suoi colleghi è la semplicità con cui, durante i suoi set, riesce a far sembrare ovvie le scelte più estreme e coraggiose. C’è tantissima sostanza nelle sue esibizioni, ma la ricerca continua e quasi isterica di una reazione di pancia da parte del suo pubblico non ne scalfisce mai e poi mai l’estetica e la forma del suo suono. Non fatevi fuorviare dall’impeto delle sue gesta, dal suo essere estremamente vigoroso nel toccare mixer e giradischi: quando Garnier è in consolle tutto calibrato al millimetro, anche la morbidezza barocca dei passaggi e le volte celesti disegnate dalle linee di synth dei suoi dischi. Nulla è lasciato al caso, nulla è approssimativo o grossolano, nonostante ogni suo dj set trasudi di un’umanità contagiosa e socialista.
Alla base di tutto c’è l’irresistibile fascino che la musica, qualsiasi essa sia, suscita sulle sue orecchie e sulle sue ginocchia; attrazione che fin da subito si trasforma in dipendenza morbosa e in attività a tempo pieno anche quando è costretto a lasciare Manchester e l’Haçienda alla volta di Parigi, dove viene richiamato per il servizio di leva. Qui diventa resident del Rex Club: la sfida è durissima, perché se l’atmosfera che si respirava nei party britannici – e in particolare quella che caratterizzava i rave delle Summer Of Love del 1988 e 1989 – è un lontano miraggio, lo è ancor di più quella trasmessa dai meravigliosi 12” d’importazione che tratteggiavano una Detroit e una Chicago in pieno fermento musicale. È all’atmosfera di quei dischi che Garnier guarda con bramosia, tanto da spingerlo a viaggiare verso la volta di Mike Banks (e degli Underground Resistance) e a ospitare nei suoi party i vari Derrick May e Kevin Saunderson.
È chiaro fin da subito che a Laurent Garnier non mancano né le motivazioni né talento, prerogative imprescindibili se si sogna di scrivere la storia, le stesse che caratterizzeranno il percorso di un altro pioniere del movimento underground europeo attivo in Germania in quegli anni: Sven Väth.
Dalla FNAC Music Dance Division, la prima etichetta discografica a credere in Laurent Garnier e nei suoi EP (su tutti “Paris EP”, sotto l’alias Choice), nasce nel 1994 F Communications, la label che coordina e gestisce insieme all’amico Eric Morand. F Communications è da subito la casa dei suoi lavori più avvincenti e amati: dopo “Wake Up! – Rex Attitude”, un omaggio al club e al party che in quegli anni ne stava certificando l’ascesa e l’affermazione, escono “Alliance EP” dalla collaborazione con Pascal F.E.O.S., “Astral Dreams” e l’album “Shot In The Dark”; tutti contribuiti fondamentali per l’affermazione di un’identità stilistica europea (prima ancora che francese) come risposta allo strapotere americano. Dopo l’aridità e le difficoltà dinnanzi alla stampa specializzata, che considerava (fino a quel momento a ragione) la sola Inghilterra come degna antagonista di Chicago e Detroit, finalmente la Francia riesce a piazzarsi sulla mappa del clubbing mondiale.
Senza il lavoro di Garnier, Morand e di tutta F Communications i vari Daft Punk, Cassius, Mr Oizo e tutto il movimento french-touch non avrebbe trovato terreno fertile sin dagli inizi.
Gli argini sono rotti, non si può tornare indietro: Laurent Garnier, nel pieno della sua maturità, è a capo di una nazione. Nel 1997 esce “30”, il disco che festeggia i suoi primi trent’anni, ma che non riesce a mantenere le meravigliose premesse della prima raccolta, nonostante al suo interno siano inseriti due dei suoi lavori più celebri: “Flashback” e, soprattutto, l’intramontabile “Crispy Bacon”.
Il riscatto arriva comunque tre anni anni dopo con quello che è universalmente considerato il punto più alto della sua discografia, “Unreasonable Behaviour”. Chicago, Detroit, jazz, acid e downtempo trovano nei quasi settanta minuti del disco un equilibrio prezioso, maturo e consapevole, un qualcosa di inedito non solo per Garnier, ma anche per tutti gli artisti del suo circuito. “The Man With The Red Face” diviene il manifesto di un’epoca, quella in cui l’Europa è finalmente pronta a fare la voce grossa e mettersi al timone del movimento undeground, tanto per i suoi club e i suoi party quanto per il suono qui prodotto. A dieci anni dalla sua uscita, Resident Advisor inserirà il brano all’interno della “Top 100 tracks of the ’00” direttamente al secondo posto – dietro solo a “Miura” dei Metro Area, ma prima di “Black Water”, il remix di James Holden di “Sky Was Pink”, “One More Time”, “Rose Rouge” e “Marionette” – descrivendolo come “one of the finest marriages of sequenced electronics and live instrumentation ever produced”, cogliendo in pieno un aspetto che da sempre contraddistingue l’artista Garnier: quando è lui a salire in cattedra, quando tocca a lui mettersi all’opera, si ha sempre la sensazione di essere dinnanzi a un qualcosa di unico per quanto riguarda la musica da ballo.
In Garnier la sovrapposizione dei piani sonori e gli intrecci delle melodie, che pilotano un’altalena di emozioni pressoché irresistibile, non lasciano spazi a dubbi: è magia applicata al clubbing. Una delle esperienza più belle che vi possa mai capitare di vivere dinnanzi a un dj.
Ed è così da sempre. Da quando ha iniziato a muovere i primi, incerti passi all’Haçienda alla fine degli anni ’80 fino ad oggi, quando non riesce a resistere all’irrefrenabile tentazione di suonare “Universal Love” di Francesco Farfa nella Room 5 del Time Warp, con le prime luci del mattino a fare da cornice all’orgasmo musicale collettivo.
Ciò che viene prodotto dopo “The Man With The Red Face” però , partendo da “The Cloud Making Machine”, passando per la chiusura di F Communication e finendo con la recentissima manciata di EP per MCDE, Hypercolour, 50Weapons, Musique Large e Still Music, onestamente non è più all’altezza del Garnier dj, un artista in grado di resistere con stile all’alternarsi delle mode e di continuare stupire con il suo estro, la sua classe e la sua eleganza i dancefloor più prestigiosi del mondo.
La passionalità, la voglia di lottare per farsi valere e la disposizione al sacrificio, quella che a inizio carriera gli ha consentito di fare avanti e indietro tra Parigi e Manchester in macchina ogni weekend per mettere i dischi, sono prerogative prima dell’uomo che del musicista, caratteristiche letteralmente fondamentali che in Garnier non sono mai mancate.
Guardatelo oggi, ammiratelo mentre chiude gli occhi e si lascia trasportare dalla sua musica e dai suoi dischi: Laurent Garnier è leggenda e senza di lui il clubbing, in tutte le sue sfumature, non sarebbe mai potuto essere lo stesso. Mai e poi mai.
Non nuovo a meravigliose collaborazioni con realtà legate al mondo del clubbing – Micröclub e Hund su tutte – lo studio Uokytoky firma le illustrazioni di questa nuova puntata di Purpose Makers.