Non ho voglia di tenervi troppo sulle spine. Non c’è niente da dire, nessuna critica negativa, di quelle che quando le leggi ti viene voglia di andare avanti. Nessun gusto di vedere gli altri in crisi, insomma. Se si parla di questo disco, non lo avrete. Non da me.
Ragazzi, questo è uno degli EP migliori che abbia ascoltato negli ultimi dodici mesi. Sicuro. Gavin Herlihy e Laura Jones sono entrambi in grande ascesa, pur con le loro storie diverse. Sarà merito dell’etichetta? Diciamolo: Crosstown non sbaglia un colpo da diverso tempo, semmai ne ha sbagliati in precedenza. L’etichetta, dunque. Si, io penso che lo zampino di Damian Lazarus e Co. debba esserci, per forza, perché questa cassa così profonda e precisa ce l’hanno solo loro, ormai è diventato il loro di marchio di fabbrica. Maceo Plex, Tale of Us (anche insieme), Guti, Art Department: tutti in volo, secondo me anche grazie a questa bassline rotondano che io definirei “made in label”.
Ma veniamo a “Witching Hour” e “Inner Place”, se mi piacciono tanto non è solo per quel sound preso in prestito a Crosstown e, adesso, ampiamente condiviso (anche se appagante). Direi che è piuttosto l’insieme degli indizi. “Inner Place”, in particolare, merita una medaglia d’oro al valore della musica techouse, sottogenere spesso snobbato dagli amanti dell’uno e dell’altro, ma che grazie a questo pezzo non solo ha diritto di esistere, ma di avere lunghissima vita. “Inner Place” è uno di quei pezzi che ti toglie il fiato. E’ eccitante e ballabile, eppure profonda e straordinariamente acuta, con tutte le sue varianti.
Quando la sento mi viene voglia di correre sotto la pioggia, la stessa che ti fa sentire addosso la versione “Beatless”, perla di house melodica e chiusura del disco. In due parole, un lavorone.