Quanti artisti italiani conoscete, in ambito danzereccio, con una carriera che si estende per più di trent’anni a livelli altissimi e lungo generi e incarnazioni completamente diverse tra loro? Quanti hanno iniziato come pionieri di un genere per poi diventare tra i massimi esponenti di un altro, e poi ancora diventare archivisti e divulgatori storici di un intero decennio?
Davvero pochi, ve lo diciamo noi, se non forse solo Ciro Pagano e Stefano Mazzavillani, meglio noti come i Datura: abbiamo avuto l’occasione per una lunga chiacchierata proprio con Ciro, in cui abbiamo attraversato i quattro decenni della sua carriera di musicista e abbiamo approfittato della sua esperienza per un punto di vista privilegiato e mai banale sulla situazione attuale della musica e del clubbing. Quella che vi accingete a leggere, quindi, non e’ “solo” (si fa per dire) un’intervista con una figura leggendaria della scena dance italiana, ma anche un’opinione estremamente a fuoco sul presente e, perché no, sul futuro della musica e del clubbing.
Ti anticipo da subito che la nostra chiacchierata farà un sacco avanti e indietro nel tempo, visto che la tua storia comprende decenni e periodi completamente diversi tra loro, ma direi di cominciare anche cronologicamente dall’inizio, quindi dai Gaznevada, che tra l’altro sono tornati sui giornali di recente anche se per motivi di cui avremmo fatto tutti volentieri a meno.
Beh, i Gaznevada sono un’esperienza lontanissima, parliamo all’incirca del ’77 se parliamo del periodo punk. A Bologna in quel periodo c’era un gran fermento, e ci trovavamo spesso in questa casa occupata dove giravano spesso anche Andrea Pazienza, Filippo Scozzari e tanti altri che poi sono diventati famosi. Era un po’ una specie di Factory di Bologna, se vuoi, perché il nostro mito, il nostro riferimento era proprio quella di Andy Warhol, la scena dei Velvet Underground e giù di lì. Tieni presente poi che quando parliamo di “casa occupata”, ci tengo a dirlo, era un tipo di esperienza completamente diverso da quelle che possono esserci oggi, era principalmente qualcosa di culturale, tant’è vero che me ne chiedi ancora a distanza di più di trent’anni, per cui qualcosa evidentemente è rimasto. In quel momento noi siamo stati colpiti dal suono del punk, quindi dei Sex Pistols ma soprattutto dei Ramones, quindi quello americano, perché la concezione del punk era quella di restringere le suite lunghissime del prog rock immediatamente precedente, quindi di gruppi tipo gli Yes, o i Genesis, con una tecnica spaventosa, da una facciata intera di un album a due minuti e mezzo di canzone, magari senza nemmeno saper suonare come i Sex Pistols. Per noi, e non solo per noi, questa è stata una rivoluzione pazzesca l’idea che anche chi non sapeva suonare, chi non era un virtuoso poteva esprimersi comunque con la musica grazie al punk. I Gaznevada quindi prendono le mosse da lì anche se poi l’esperienza è durata una decina d’anni tra alti e bassi, la formazione si è ristretta ed è passata da sette elementi a tre e poi ancora ci fu l’incontro con l’elettronica. Tieni conto che pur essendo stato l’inizio, il punk dura pochissimo all’interno dei Gaznevada, il tempo di un album su cassetta, il primo che abbiamo registrato, perché già poi con “Sick Soundtrack” iniziano gli spostamenti nella wave, nell’elettronica, perché nel frattempo cominciavano a uscire i dischi dei Talkin’ Heads.
Quello che poi gli inglesi, riassumendo, hanno chiamato “post-punk”.
Sì, anche se poi non era davvero “post”, perché “Psychokiller” dei Talkin’ Heads esce proprio nel ’77. Il fenomeno punk come lo abbiamo vissuto noi in Europa, devi sapere, era un po’ su un binario parallelo rispetto a quello americano, appunto dei Ramones, che è andato avanti più a lungo. I Talkin’ Heads, e quindi David Byrne, facevano parte di un segmento, quello della new wave, che poi si è sviluppato negli anni successivi includendo anche, ad esempio, gli esperimenti di Brian Eno fuoriuscito dai Roxy Music e tutto quel mondo lì, poi ovviamente la storia diventa complessa perché come sai anche tu poi gli elementi si sommano, si dividono, e iniziano ad aprirsi generi e sottogeneri. Per quanto riguarda i Gaznevada, però, la fiammata del punk dura veramente il momento di una cassetta, nel ’79 è già tutto terminato e stiamo già facendo altre cose, nell’80 esce “Sick Soundtrack” e nell’82 c’è il grande passaggio della scoperta dell’elettronica più “dance”, quella legata a Moroder, che è quella poi di “I.C. Love Affair”, che poi è diventata una traccia cult di un certo tipo di DJ. Insomma, a grandi linee quello che è successo coi Gaznevada è questo.
È una storia interessantissima, quella dei Gaznevada che partono dal punk, più che altro per un motivo: le loro tracce più famose, quelle che appunto io ho scoperto da un certo tipo di DJ legati, se vuoi, alla scena che poi diventerà l’italodisco, oggi sono viste come qualcosa di assolutamente raffinato e ricercato, un po’ da intenditori, mentre l’approccio del punk era esattamente l’opposto.
Però attenzione, adesso ti dò un’altra visione di questo discorso: tu pensa alle grandi rivoluzioni musicali. Quando arriva il punk, c’è un taglio netto con la musica del passato: se tu ascolti uno dei primi dischi dei Ramones, o di gruppi che andavano nella stessa direzione, sono lontanissimi come sound da quello che era uscito anche solo l’anno prima. La stessa cosa, fatte le dovute proporzioni, è quello che succede quando arriva l’house: col punk si permette a tutti quelli che non sono manieristi o super tecnici di potersi esprimere con la musica, e con l’house poi il passaggio è addirittura più estremo, perché si permette a chi nemmeno è musicista, ma è un DJ, di esprimersi con i campionatori. Con un’idea nata per sbaglio, quindi, perché i campionatori in origine erano stati inventati per abbassare i costi degli studi di registrazione permettendo di riprodurre il suono di intere orchestre, ma poi i produttori cosa fanno? Rubano il groove e ridanno vita nuova a brani che in qualche modo erano già morti. Questa, se vuoi, è la grande rivoluzione dell’house che di fatto è ancora in atto, perché la dance degli anni 90 ancora non è stata superata, non è arrivato nulla che la superasse. Non c’è ancora stata una grande rivoluzione, non la vedi nella trap, o nell’uso dell’autotune.
La differenza fondamentale tra punk e house allora in effetti è questa, che il punk è una fiammata che in qualche modo poi si esaurisce, mentre l’house è una rivoluzione che a distanza di trent’anni è ancora assolutamente attuale e non è stata superata.
Esatto, ti faccio un esempio: prova ad ascoltare un pezzo degli anni ’90, anche dei primi anni ’90, tipo che ne so, “French Kiss” di Lil’ Louis e poi ascolti un pezzo degli anni ’80, anche proprio dell’89, che è lo stesso anno in cui esce “French Kiss”, c’è un abisso, proprio come c’era un abisso all’epoca tra un pezzo dei Ramones e uno degli Yes.
Il paradosso, a questo punto, è che ci sia molta più distanza tra un disco dell’89 e “French Kiss” che tra “French Kiss” e un disco di oggi.
Assolutamente! E lo stesso vale per cose più “nostre”, a parte i dischi dei Datura, vale ad esempio per i dischi di Gigi (D’Agostino, ndr), ma anche, ad esempio, la stessa Corona, per dirne una, non è così lontana da quello che succede oggi. Anche perché adesso, fondamentalmente, non sta succedendo nulla, se togli giusto toh, questa ondata del reggaeton, ma la musica dei club sta ristagnando pesantemente. Una volta tu nei club ci andavi ad ascoltare la musica dei club, ma adesso quella musica lì dove la suoni? Ti parlo dell’Italia ovviamente, magari all’estero la situazione è un po’ diversa, però io vedo un grande affanno, una grande difficoltà a proporre le cose, se non giusto quelle “di tendenza”, per cui allora si apre tutto un altro discorso. Ad esempio, parlavamo prima di “I.C. Love Affair”, trovi DJ tipo The Black Madonna che magari ti suona anche “I.C. Love Affair” in un set in cui però suona quel cazzo che vuole.
Però io lì ci vedo anche un discorso legato anche a quanto è cambiato il modo di andare a sentirla la musica, nel senso che come dicevi tu una volta si andava nei club per sentire la musica, mentre adesso i club, soprattutto quelli grandi, chiudono, immagino tu sappia a quale superclub italiano degli anni ’90 mi riferisco in particolare.
Certo, il Cocoricò è proprio l’ultima di una serie di morti eccellenti. Per darti un’idea di come sia cambiato il modo di fruire la musica, ad esempio, noi a un certo punto facevamo dei live strutturati proprio come dei concerti di una band, cioè avevamo bisogno di un palco e di un determinato tipo di situazione, poi nel 2004, dopo il disco con Gigi D’Agostino decidemmo, proprio perché avevamo capito che stava cambiando qualcosa, di metterci a fare i DJ e di raccontare gli anni ’90. Tra l’altro se ci pensi, gli anni ’90 erano un periodo in cui cambiava tutto ogni sei mesi: magari per sei mesi c’era l’euro beat, poi arrivava la progressive, e poi sei mesi dopo arrivava qualcos’altro ancora, la techno, la trance, c’era veramente un range di creatività enorme. Comunque, quando noi decidemmo di metterci a raccontare gli anni ’90, una scelta possibile era quella di farlo in maniera, se vuoi, “filologicamente corretta”, quindi usando i vinili o al massimo i cd, ma invece decidemmo di farlo con i file, per cui se tu vedi un set dei Datura adesso, io e Stefano suoniamo col computer; noi facciamo revival, perché a tutti gli effetti quello che facciamo è revival, però lo facciamo in maniera più personale, ecco. Poi devo dirti che noi stessi siamo stati spiazzati dal pubblico che viene a sentirci: noi inizialmente pensavamo di riportare nelle discoteche chi non ci andava più, mentre chi non ci andava più non ci va più lo stesso, perché è cresciuto e ha altre priorità, magari vuole stare con la famiglia, andare al cinema, o al ristorante, ma comunque non va più nei club. I club, contemporaneamente, sono rimasti orfani di colonna sonora, proprio perché non è successo niente, soprattutto nel periodo 2000-2010, per cui gli anni ’90 hanno in un certo senso invaso un decennio diventando la colonna sonora anche di quelli che erano nati in quel periodo lì. Quando ti parlo di “colonna sonora” di un periodo, intendo un momento della vita di ogni persona in cui tu sei a mille e sotto c’è una musica, e quella poi diventa la tua colonna sonora, perché la associ a dei ricordi positivi a cui sei legato. Tu ad esempio, hai un’età per cui la tua colonna sonora sono gli anni ’90, immagino.
Certo, assolutamente. Io la vedo anche come, se vuoi, la musica che ascolti quando inizi a decidere tu che musica ascoltare anziché ascoltare quello che si sente in casa, che magari ascoltano i tuoi genitori, e che quindi poi diventa parte della tua identità musicale.
Esattamente!
Tra l’altro il tema dell’età di chi viene a sentirvi oggi è proprio uno di quelli di cui volevo parlare con te, nel senso che io sono stato a vedervi non troppo tempo fa e sono rimasto stupito che ci fosse, ok, tanta gente della mia età ma anche tantissimi ragazzi di vent’anni.
Infatti, ed è stato proprio questo che ha spiazzato me e Stefano quando abbiamo cominciato a fare questo tipo di serate, perché la nostra idea iniziale si è rivelata sbagliata. Noi alle nostre serate facciamo divertire persone che fondamentalmente non hanno avuto dei cardini nel loro periodo. Se tu vai a una serata oggi – ti parlo dei club italiani perché sono quelli che conosco meglio – mediamente, a meno che non sia una situazione particolare, tipo che ne so, il Magnolia, o dei contesti un po’ indie, nelle serate “standard” sono tutti coi cellulari che si fanno i selfie, le foto delle bottiglie – che va benissimo, intendiamoci! – però questo non è il club. Negli anni ’90, ma anche adesso, quando ci sono i Datura, la gente viene in pista, balla, canta, fa quello che si faceva una volta nei club. Quando metti il reggaeton, alla fine, il problema è che non gliene frega un cazzo a nessuno.
Quello che succede adesso, invece, a differenza degli anni ’90, è che allora la musica revival la trovavi nei privée, nelle sale secondarie, mentre noi adesso col nostro revival facciamo eventi importanti, facciamo i festival, suoniamo nelle sale principali. In qualche modo, è come se la musica si fosse arenata, se non fosse più successo nulla di rilevante – a livello di club, ovviamente: poi, il pop è tutta un’altra storia. Questo poi è quello che fa sì che si creino quei cortocircuiti imprevisti per cui la musica revival riempie i locali con i giovani, che a grandi linee è quello che è successo a me e Stefano. E io questo te lo dico con uno stato d’animo ambivalente, perché sono contento che i Datura continuino a vivere, a suonare e a fare tante belle cose, però come produttore, come musicista, mi dispiace, perché quello che succedeva una volta adesso è diventato irripetibile, anche a livello sociale. A proposito di discorso sociale e di social, poi, un grosso problema attuale è che per un musicista esordiente, se non sei di un’estrazione sociale elevata, cioè se non hai i mezzi economici per farti promozione, ad esempio, sui social, fai fatica a farti notare dalle case discografiche, che oltretutto ormai si contano veramente sulla punta delle dita di una mano.
Adesso, anche per la tua prima uscita, devi avere innanzitutto il video pronto, devi sponsorizzarti, poi c’è questo malcostume orribile di comprare le view su YouTube e i play su Spotify, quindi in sostanza devi avere budget, e questo crea una situazione falsata, perché il discografico che ti dice “ok, sali sul mio treno, ti accompagno” arriva quando tu già hai una traccia bomba che sta funzionando da sola, e allora l’etichetta ti accompagna, appunto, per l’ultimo tratto. Però il problema è che per arrivarci, a questo ultimo tratto, ci vogliono degli investimenti iniziali importanti, e questo non è bello, perché se non hai i mezzi il talento non basta. Quando noi facemmo “Yerba Del Diablo”, invece, io avevo un referente presso la casa discografica a cui portare la mia demo, che era di fatto un discografico che investiva sulla musica: questa figura, adesso, non c’è più. E di conseguenza, inizia anche a mancare il materiale su cui lavorare, che in definitiva è la musica, iniziano a mancare le idee, perché hanno tutti una gran fretta. Poi non fraintendermi, il mio non è il classico discorso nostalgico di chi ti dice “che schifo adesso, che bello una volta”: il mio ragionamento è che ok, sono cambiate le cose, adesso è diverso, ma credo che questo in realtà sottintenda un problema. Poi noi cerchiamo in qualche modo di sopperire a questo problema creando di volta in volta delle versioni speciali dei brani che suoniamo alle nostre serate, che di fatto sono tracce inedite, che si rifanno comunque al nostro periodo di riferimento, ma che comunque puoi sentire solo lì. Di recente tra l’altro abbiamo anche fatto delle uscite discografiche diciamo più “canoniche”, perché cadevano alcuni venticinquennali delle nostre tracce storiche, ad esempio quest’anno c’è quello di “Fade To Grey”, che abbiamo ristampato con delle versioni particolari che usiamo alle nostre serate. L’anno prossimo sono i venticinque anni di “Infinity” e ci piacerebbe fare un progetto legato a questa cosa, o comunque legato sempre allo spirito e alla concezione del club che c’era negli anni ’90 e che credo si sia un po’ perso.
In effetti, al di là del discorso che facevi rispetto all’assenza di novità in termini di suono e di musica in senso stretto, credo che il grosso cambiamento rispetto agli anni ’90 sia principalmente in termini di coinvolgimento e di modo di vivere l’esperienza del club.
Ti faccio un esempio: negli anni ’90 tu ascoltavi la radio, sentivi un pezzo in classifica, e poi per andare a sentirlo di nuovo avevi un solo modo: dovevi andare in una discoteca, perché era lì che si suonavano le versioni extended, il remix particolare di quel momento, e così via, e questo rendeva la discoteca il tempio della musica: questa cosa si è persa. Però dai, non disperiamo!
No, infatti. Io stesso, quando cerco di vederla in modo più costruttivo, mi dico “ok, in effetti si è perso molto del coinvolgimento nei club, però si è allargata enormemente la facilità di accedere alla musica”, nel senso che se io avessi tredici anni adesso, anziché litigare con i miei genitori per andare in discoteca a sentire la musica che mi interessava mi basterebbe aprire YouTube, che ok, è un’esperienza diversa, però è comunque qualcosa.
Sì, questo è il bicchiere mezzo pieno del web; essere sempre connessi, in fondo, ti dà grandi opportunità ma ti toglie anche grandi libertà. Alla fine poi dipende anche da te, perché se tu sei curioso scopri mondi e crei mondi, ma se tu ti affidi solo a quello che ti servono i social, a quello a cui ti indirizza l’algoritmo, non hai controllo: è la curiosità che fa la differenza.
Beh però andando avanti sulla linea del bicchiere mezzo pieno, la curiosità faceva la differenza anche quando io ero ragazzino: c’erano quelli che come me andavano nei negozi di dischi a cercare le cose un po’ diverse, o a sentire i DJ fighi, e quelli a cui invece non fregava niente.
Certo, hai esattamente centrato quello che volevo dirti: la curiosità ha sempre fatto la differenza, allora come adesso, anzi adesso ancora di più: adesso ci sono molte più possibilità di fare ricerca, ma rimane un po’ confinata in delle nicchie; una volta però dalle nicchie poi partivano mondi a cui si agganciavano poi altri produttori e altre scene, adesso invece una nicchia rimane una nicchia, si esaurisce e poi se ne crea un’altra, magari connessa, magari no, ma non c’è un movimento importante che parte, non riesco a considerare tali, come ti dicevo, cose come trap e reggaeton.
Però, sempre continuando a parlare di bicchieri mezzi pieni, io i ragazzi di vent’anni che vengono a sentire i Datura nel 2019 voglio immaginarli anche come persone un po’ curiose, perché comunque non è banale, a vent’anni, andare a una serata di musica di quando ancora non eri nato anziché, appunto, a sentire trap o reggaeton, e in quel senso secondo me il lavoro che fate voi è fondamentale, perché ad esempio sentendo i mixati che pubblicate su Mixcloud le tracklist sono estremamente variegate; è vero che negli anni ’90 c’è davvero tanto materiale a cui attingere, ma è vero anche che fare un lavoro di memoria storica così approfondito e vasto è un valore aggiunto non da poco e secondo me è un ottimo modo per stimolare la curiosità.
Beh sì, sai, alla fine a fare un set con le dieci super hit degli anni ’90 sono capaci un po’ tutti, e comunque se lo fai, dopo venti minuti, mezz’ora hai finito di suonare; se invece riesci ad articolare un discorso più complesso come facciamo noi, ecco che non ti bastano cinque ore.
Tra l’altro credo sia una cosa che fa la differenza anche per voi come DJ, visto che credo che a fare revival fatto male, suonando solo le super hit, dopo un’ora o dopo la seconda volta che lo fai ti sei rotto le palle anche tu.
Ah sì, certo, al contrario invece quello che trovo incredibile è come dopo più di dieci anni che facciamo questo tipo di set comunque io riesca ancora a sentirmi assolutamente stimolato, anche perché tieni conto che pur facendo revival noi non facciamo mai dei set preconfezionati, quando vieni a sentire i Datura non hai mai la sensazione di dire “ah sì, ok, adesso mette questo, poi mette quest’altro” e così via, perché l’unico modo che abbiamo in fondo è questo, dobbiamo divertirci noi. Noi siamo molto fortunati a fare questo lavoro, perché è un lavoro che gratifica molto ed è anche molto divertente e in qualche modo leggero, però è comunque un lavoro che richiede impegno, in cui devi essere sempre costruttivo e cercare di creare qualcosa anziché proporre sempre la stessa roba. Anche perché poi il divertimento che hai tu quando lavori, ovviamente, lo trasmetti anche a chi viene a sentirti, ed è quello che rende poi una serata unica.
Assolutamente. Questo concetto io l’ho letto una volta riassunto alla perfezione in un’intervista a Fatboy Slim, che guardacaso è un altro della generazione degli anni ’90, che diceva grossomodo che un DJ davvero bravo è quello che durante una serata è lui stesso quello che si diverte più di tutti.
Esattamente! Quando tu DJ ti diverti durante una serata vuol dire che stai facendo un lavoro fatto bene.
Senti, facciamo di nuovo un salto temporale e torniamo dal presente agli anni ’90: di tutti i brani dei Datura, ce n’è uno che è il mio preferito e che secondo me è molto diverso dal resto della vostra discografia, che è “Mystic Motion”.
Quello con Billie Ray Martin, dici? Guarda, ti racconto la storia di questo brano, che è abbastanza articolata. Dopo aver fatto “Yerba Del Diablo”, sia noi dal punto di vista creativo che l’etichetta dal punto di vista diciamo più esecutivo e commerciale decidemmo di fare un album, che era una cosa stranissima per l’epoca, perché all’epoca i progetti dance italiani non facevano album, se vai a vedere ce ne sono stati davvero pochi in quel periodo (parliamo del ’92), ma per il nostro background era una cosa assolutamente normale, perché io venivo dal rock e Stefano dal pop, mentre io suonavo come ci dicevamo prima coi Gaznevada lui suonava con artisti del calibro di Patty Pravo e con i giganti del pop italiano e quando ci siamo conosciuti nell’87-’88 suonando nei Righeira e solo dopo è partita l’esperienza che poi è diventata i Datura. Quando decidemmo di fare un album, decidemmo che sarebbe stato un album di canzoni, perché fino ad allora di fatto quello che avevamo fatto non erano vere e proprie canzoni, e scegliemmo la voce di Billie Ray Martin per tre brani, che erano “Devotion”, “Passion” e, appunto, “Mystic Motion”. Decidemmo di fare anche una cover di qualcosa degli anni ’80, che era un’idea che metteva d’accordo un po’ tutti, sia noi che l’etichetta, che poi diventò “Fade To Grey”. Quando fu il momento di fare “Mystic Motion” e gli altri due brani, quindi, chiamammo in Italia Billie Ray Martin, che contattammo tramite un’amica in comune, ma poi quello che uscì come singolo, ed è qui che la storia diventa particolare, era un remix che uscì quando noi cambiammo etichetta discografica nel ’96 e passammo alla Time, e la nostra etichetta vecchia, che non voleva rinunciare alle uscite dei Datura, fece fare questo remix di “Mystic Motion”, in cui noi di fatto non siamo intervenuti in alcun modo ma che in effetti consideriamo assolutamente ben riuscito. Di fatto per noi quel disco rappresenta un momento di transizione legato al cambio di etichetta ed è venuto così, se vuoi, in modo quasi casuale.
Ma infatti ti ho chiesto di questo proprio perché secondo me, come ti dicevo, suona davvero diverso dagli altri dischi dei Datura, e infatti adesso che mi dici che è un remix a cui voi non avete messo mano mi torna tutto.
Oltretutto è un disco che funziona alla grande anche adesso, noi stessi lo usiamo molto quando facciamo le serate più lunghe, nella parte iniziale della serata, lo usiamo molto in un contesto da warmup; poi chiaro che non lo puoi mettere in una serata lanciata a 135 bpm, però funziona perfettamente. Tra l’altro, ti racconto questo aneddoto, Billie Ray Martin è una cantante strepitosa, nel senso che lei è in grado di fare tre brani tutti e tre “buona la prima” con la scrittura dei testi in studio, lì per lì, al momento: ha una capacità tecnica straordinaria. Per “Fade To Grey” col buon Steve Strange facemmo molta più fatica, ma lavorare con lei è stato davvero fantastico, e tieni conto che all’epoca lei non aveva ancora ottenuto il successo enorme che ebbe poi con “Put Your Lovin’ Arms”. Poi comunque sia “Mystic Motion” che “Devotion” entrarono in classifica in Inghilterra, per cui forse abbiamo contribuito a lanciarla come artista.
Altro salto temporale: abbiamo parlato degli inizi, abbiamo parlato degli anni ’90, abbiamo parlato del presente…e invece, tra dieci anni? Cosa fate?
Ah, non lo so, intanto invecchiamo! Poi non ti so dire, perché con i Datura in questo momento ci sentiamo divulgatori scientifici di questo sound, e quindi non abbiamo un orizzonte temporale molto lungo, un po’ per scelta ma anche perché ci sembra di non avere degli input validi in questo momento: noi abbiamo sempre lavorato con degli input, partendo da un’idea che ci interessasse, non abbiamo mai lavorato cercando di copiare qualcos’altro, e senza un’idea valida, senza qualcosa da approfondire e da scoprire viene un po’ a mancare quel “fuoco sacro” che ti permette di fare un lavoro fatto bene, che poi è anche, se vuoi, il motivo per cui non abbiamo prodotto niente di nuovo di recente, perché facciamo fatica a metterci a fare produzioni quando ci manca quella scintilla. Per dirti, a un certo punto c’è stato il fenomeno dell’EDM, no? In tanti ci hanno chiesto di produrre qualcosa di nuovo su quel filone, ma per il percorso dei Datura sarebbe stato impossibile, anche perché per far parte di quel filone lì dovevi essere giovanissimo già se avevi venticinque anni eri vecchio! Poi non ti so dire davvero, se ci sentiamo per un’altra intervista tra dieci anni vuol dire che siamo rimasti sul percorso giusto!
Ti ho fatto questa domanda, tra l’altro, perché ripensavo a quello che mi hai detto prima rispetto al fatto che per un giovane oggi è davvero difficile avere successo senza un grosso investimento iniziale in termini di promozione, e mi sono immaginato i Datura che danno vita a una factory un po’ come quella da cui sono partiti i Gaznevada e si mettono a fare i mentori per giovani artisti.
Sarebbe molto bello in effetti, però devi anche trovare il contesto giusto per farlo, lo stimolo che ti fa sentire quel qualcosa dentro per cui dici “cazzo sì, voglio farlo”: è un’idea molto bella, ma senza quella scintilla non avrebbe senso farlo, per cui sinceramente non ci stiamo pensando per adesso.
Tra l’altro ci vedo un tema ricorrente, tra quello che mi hai detto ora e quello che mi dicevi prima sul fatto che non avete più prodotto tracce nuove, anche perché quello che mi ricordo del periodo in cui invece eravate prolifici sul fronte della produzione è che la sensazione che ti davano le tracce dei Datura era, al di là del filone diciamo “latino-messicano” con la Sciura dei Datura, che ogni traccia fosse completamente diversa dalle altre, che ogni volta pensassi “ah ok, Ciro e Stefano si sono interessati a questa cosa nuova e ci hanno costruito una traccia sopra”.
Beh, noi eravamo abbastanza irrequieti come produttori, sì, ci stancavamo in fretta di un tipo di sound: non è un caso poi se abbiamo scelto il nome Datura, legato a tutto un mondo mistico, allucinogeno e così via, perché comunque è un filone in cui puoi andare in mille direzioni diverse, anche apparentemente contrapposte, ma mantenendo sempre un filo conduttore, e comunque non ti nego che ci sono diverse tracce nostre, come ad esempio “Mantra”, che quando sono uscite la reazione più comune era “oddio, e adesso cos’è sta roba? Cosa c’entra coi Datura?”.
Beh, per me ascoltatore era assolutamente un aspetto positivo, anche perché mi aiutava a stimolare la curiosità di cui parlavamo prima.
Sai, alla fine quando prendi in mano un brano e sai già cosa succederà alla fine è avvilente, no?
Che è quello che succede spesso, invece, con la musica più recente, che sai già cosa succederà.
Esatto, è proprio quello il problema, in definitiva. Vedremo!