Abbiamo fatto passare qualche tempo, dall’uscita di “Another” e dal giustificato entusiasmo che lo ha circondato, prima di incontrare i Crimea X. Ma il loro secondo album – il primo è “Prospective”, del 2010, al quale vanno aggiunti la sua versione remixata “Re:Prospective” e il recente “Vannij”, raccolta dei remix firmati invece dal duo emiliano per Florian Meindl, Bjørn Torske, Enzo Elia, Luca Baldini, Dyno, Ajello ed altri – abbiamo continuato ad ascoltarlo, e con gran soddisfazione. Un lavoro di livello internazionale, lanciato ben al di là degli stereotipi cosmic di nuova generazione, firmato (e qui sta una parte del bello) da una strana coppia mica male: DJ Rocca, veterano di varie stagioni della dance nazionale con Ajello, Bossa Nostra e Maffia Soundsystem, titolare di collaborazioni con Peshay, Zed Bias/Maddslinky, Dimitri From Paris e Daniele Baldelli, colonna di uno snodo storico della club culture italiana come il Maffia di Reggio Emilia, appunto; e Jukka Reverberi, fondatore e chitarrista/cantante dei Giardini Di Mirò, da quasi quindici anni una delle band-cardine della scena rock indipendente italiana, con decine di uscite e tour (anche all’estero) all’attivo. Da qui abbiamo cominciato la nostra conversazione.
La prima cosa che salta all’occhio è che venite da generazioni e ambienti diversi. Una “contaminazione” purtroppo rara da riscontrare in giro, e anche per questo interessante. Comincerei da qui, dunque: Jukka, mi racconti Rocca?
Jukka: Prima di tutto, si deve tenere conto della nostra provenienza. Ruotiamo attorno a quel paesone chiamato Reggio Emilia: Rocca cittadino, io di provincia. E si deve tenere conto che facciamo parte di una comunità all’interno del nostro territorio, una comunità che fu maggioritaria ma non la totalità: ambedue veniamo da famiglie comuniste attive all’interno della vita del partito. Per molti in città siamo figli o fratelli di esponenti del fu PCI, pensa che negli anni ’70 i nostri padri avevano lavorato assieme. Infine, dobbiamo andare a circoscrivere ancor di più: siamo parte di una minoranza all’interno di una comunità, appassionati di musica estera e musicisti. Non era facile mancarsi, insomma, non avere l’occasione di conoscersi. Ripeto, Reggio è una città piccola. Difficile non beccarsi. Se oggi suoniamo assieme, comunque, non è per affinità politiche, musicali e attitudinali, ma perché ci siamo trovati interessanti e simpatici, una cosa banalissima ma estremamente importante: intravedere la potenzialità di un’amicizia. Lascio stare tutta la filippica sul Maffia, quello è terreno di Rocky…
Rocca, mi racconti Jukka?
Rocca: Il ricordo antico più nitido che ho di Jukka risale a una splendida estate di oltre dieci anni fa, qui a Reggio Emilia, quando il Maffia gestiva uno spazio in un ex convento benedettino. Ogni sera ci si incontrava con lui e Nuccini (Corrado, chitarrista e fondatore con Jukka dei Giardini Di Mirò – ndr), si bevevano birre e mojito, si sparavano cazzate, ci si facevano gavettoni e si parlava di musica fino a notte fonda. Questo per me è Jukka, un compare con cui divertirsi spensieratamente. Devo dire che solo pochi anni fa l’ho visto esibirsi con i Giardini Di Mirò e tutto il seguito di fan a ruota, la dimensione più seriosa da musicista che lui ha sul palco è quasi imbarazzante per me. Il nostro incontro musicale è venuto da sé, in modo molto naturale e spontaneo, sinceramente non ricordo nemmeno quando, come e perché. Eravamo in studio a buttare giù idee per quello che poi divenne il nostro primo EP.
Quali sono le cose che vi uniscono, artistiche e caratteriali? Su cosa vi siete trovati?
Rocca: Musicalmente, il terreno comune verte intorno al krautrock, al punk funk e alla musica di John Carpenter. Siamo entrambi molto curiosi, amanti dell’underground musicale, delle riviste e dei blog specializzati; siamo sempre alla ricerca di stimoli, sia nel nuovo che fra i tesori del passato.
Ci raccontate l’esperienza del Maffia e la sua importanza, dai vostri due differenti punti di vista di frequentatore e di fondatore?
Jukka: Io sono stato un frequentatore stranissimo, perché come con tutte le cose che frequento prima o poi voglio viverle in modo pieno e farle un poco mie. Questo mi ha portato a lavorare alla porta alcune sere, mentre per un breve periodo ho organizzato alcune serate rock/avant assieme ad Enrico Fontanelli (Offlaga Disco Pax) e Valerio Tamagnini (Studio Blanco), tutti con un passato da “emo kids”. Da spettatore, credo che il Maffia fosse un’offerta talmente alta che Reggio Emilia non sempre ha saputo coglierla in pieno. La nostra città è eccezionale quando si tratta di produrre in campo musicale, ma assolutamente avara al momento del riconoscimento e della fruizione. Fortunatamente, il Maffia per anni è riuscito a imporsi come locale del nord Italia, e non solo come “locale da ballo” cittadino. Quando proponevo ai miei amici di andare al Maffia, la risposta classica era “Ma non conosciamo nessuno lì”. Un motivo in più per andarci, da parte mia, e quindi andavo solo. Per fortuna c’era Rocca.
Rocca: Il Maffia ha cambiato completamente la mia vita. Quando accettai la proposta di entrare in società nel 1995, mai avrei pensato di arrivare dove sono ora, a vivere della mia passione. Posso dire di avere vissuto un’esperienza che vale oro. Essere nel posto giusto al momento giusto, quando assieme ai miei soci ci siamo inventati un nuovo modo di fruire la musica da ballo, di sfruttare un locale, una proposta che ancora non era apparsa nel panorama italiano. Ai tempi, o c’erano i centri sociali o c’erano le discoteche, non il club inteso in modo europeo come lo abbiamo voluto noi. L’ingenuità, la testardaggine e la passione di noi soci sono stati ingredienti preziosi, se fossimo stati più avidi, più prudenti e meno pazienti il Maffia non sarebbe esistito. Personalmente, dividere la consolle con chi mi ha insegnato che il DJing è un’arte con cui ci si esprime mi ha fatto crescere davvero tanto. Io che ho sempre avuto confini mentali derivati dalla frequentazione del conservatorio, o dalla mia esperienza da musicista jazz, ho scoperto tramite il Maffia che anche “mettere i dischi” è creatività pura, alla stessa stregua di suonare uno strumento o di comporre. Ora, nel 2013, il Maffia è un bellissimo ricordo per i quarantenni, e un pallido mito per chi ha venti o trent’anni, ma è indubbio che abbia segnato un profondo cambiamento nello scenario italiano. A mio parere, non ancora colto appieno.
Jukka, come e quando vieni in contatto con la dance e l’elettronica?
Jukka: Con la dance probabilmente non sono ancora entrato in contatto. Con l’elettronica invece vorrei dire che lo sono da sempre, anche se non sarebbe onestissima come risposta. Sicuramente, il Maffia mi ha aiutato ad ampliare la mia conoscenza in materia, anche se trasmissioni radio come Planet Rock o Suoni e ultrasuoni, o quelle di alcune radio locali, mi hanno spinto a curisosare tra i suoni elettronici con sempre maggiore frequenza. Il mio grande amore è per progetti come Boards Of Canada, per molto del suono Warp, Gas/Voigt/Kompakt e per tantissimi dischi ambient. In generale prediligo suoni elettronici non nettamente votati alla dance. Nei primi anni del nuovo millennio ho seguito con grande attenzione la scena IDM legata all’esplosione di Morr Music, City Centre Offices, Four Tet e correlati. Mi è capito spesso di fare dj set durante le serate del Maffia estivo di cui sopra, con selezioni di elettronica d’ascolto. Ogni tanto buttavo nel mix qualche classico krautrock, e a quel punto scattava sempre il commento di Rocca.
Jukka, il mondo delle piccole etichette dance non è così diverso da quello do it yourself del punk e dell’hardcore da cui vieni, o sbaglio? Anche se molti del giro hanno sempre vissuto la dance come qualcosa di antitetico, da affrontare al massimo in maniera “ironica”…
“Disco Sucks”, fino al giorno in cui compri il tuo primo disco di Moroder e ringrazi la vita di non averti fatto troppo ottuso. La lezione più importante che ho portato con me dalla “militanza” punk/hc è quella di dare spazio alla curiosità, di nutrirla e di rompere gli steccati. “Cambiare rimanendo se stessi” recitava una recensione di “Red Medicine” dei Fugazi su una fanzine punk dell’epoca, azzeccatissima. Per molti punk italiani nei primi anni ’90 la musica elettronica era rappresentata in toto dalla “commerciale”, che veniva indentificata come il sistema e il male assoluto, puro edonismo e rimozione delle contraddizioni presenti nella società. In realtà era una rappresentazione di comodo, che svelava un machismo da quattro soldi a raffigurare la chitarra come più dura ed eroica di un sintetizzatore. Con il tempo però abbiamo visto hardcorers trasformarsi in appassionati di chincaglieria noise, e ieri sono stati avvistati come fanatici di Andy Stott. Insomma, molti non cambiano diventando comunque qualcosa d’altro, e prendiamolo per buono.
Un giovane chitarrista punk evoluto e un produttore e dj dance già affermato. Più difficile sulla carta che nei fatti, o c’è voluto comunque un po’ per ingranare? In cosa questa nuova collaborazione ha cambiato il vostro modo solito di lavorare con altre persone (Jukka soprattutto che suona in una band)?
Jukka: La scuola punk ci insegna che bastano tre accordi e una chitarra per suonare ed interpretare un pezzo. Togli la chitarra e metti una tastiera, ma la sostanza non cambia. Questo approccio io l’ho ritrovato pure in Rocca, e credo che ci abbia aiutato tantissimo nel creare il progetto Crimea X. Parlavamo un linguaggio simile, a-tecnicista, diretto alla produzione di canzoni. Il secondo pezzo scritto, alla seconda prova in assoluto, è stato 10 pm: se lo si ascolta attentamente, il nostro mondo sonoro è già li, ben definito. Difficile dire se questa esperienza stia modificando il mio modo di collaborare in musica, ma non credo. Non mi sono mai visto come artista solista, ritengo necessario lavorare con altri e ne ho sempre tratto grande insegnamento. Mi piace scambiare visioni musicali, è essenziale.
Rocca: Ho imparato dagli amici inglesi che lavorare in studio con altri è una grande scuola di vita. Io sono un egoista in cerca di pentimento, e ho sempre tentato di mettere a proprio agio i miei collaboratori, con risultati alterni. Insieme a Jukka questa cosa viene naturale e senza sacrifici, l’indole da “primadonna” che è innata nel mio io da DJ sparisce completamente, a favore dello spirito di gruppo. Uno spirito che porta Jukka, e che arriva a premiare in fase compositiva.
Come lavorate? Con cosa?
Rocca: Nella maggior parte dei pezzi partiamo costruendo su Cubase una ritmica di riferimento, e su quella si fanno jam: o parte Jukka con una linea di basso elettrico, o magari parto io con un basso di Moog Voyager. Su queste fondamenta ci si scatena, accendo il Juno-60 (lo strumento prediletto da Jukka) e il buon Reverberi comincia a stratificare melodie. Nei giorni successivi metto ordine, e magari cambio la ritmica con cui siamo partiti. Poi passo il risultato a Jukka via email, lui ci ragiona su e ritorna in bici qui da me per fare un cantato, cambiare la struttura o il suono di una determinata melodia. Io rimetto in ordine, e aggiungo una linea di Jupiter-6 o di Korg Trident, o un’improvvisazione al flauto. Mixo per bene e mando ancora a Jukka per l’approvazione finale. Come Crimea X usiamo anche molti synth VST e drum machine hardware (TR-808, TR-707), e sfruttiamo appieno il nostro amato Space Echo RE-201.
Rocca, hai detto che Crimea X è l’unico dei tuoi progetti ad essere slegato dalla pista da ballo… buffo, se pensiamo che il pezzo meno ballabile dei Crimea X è comunque più ballabile di quello più ballabile dei Giardini Di Mirò….
Rocca: La musica dance ha anche lei grammatica e metodo, che tu lo voglia o meno. Ci sono certi cardini entro cui fare ruotare un brano da club… un determinato BPM, arrangiamenti minimalisti, tecniche di mixaggio differenti rispetto ad altri generi. Con Crimea X abbandono completamente queste regole, a partire dalla velocità, fino al farmi menate perché c’è sovra-arrangiamento, o perché dentro lo stesso brano si cambi tonalità, o perché la pausa sia troppo lunga… Il campo musicale entro cui ci muoviamo, poi, è sempre quello di musica fondata sul ritmo, quindi la “ballabilità’”sarà sempre presente, anche se ascolti “Summer Rain”,il brano più etereo del nostro album!
Con i Crimea X ormai molto più che progetto estemporaneo, si sente la loro influenza sulle altre cose che fate? Ècambiato il vostro modo di farle?
Rocca: La cosa ha forse avuto più influenza su di me che su Jukka. Il fatto di creare brani da pure jam in libertà è una cosa che mi fa riassaporare i tempi in cui suonavo jazz. Lasciare scorrere le idee, e trovarle tutte buone perché c’è empatia tra i musicisti, ha una forza che permea la qualità della musica. Ovviamente la composizione nella musica elettronica è più matematica, con meno pathos, Crimea X mi aiuta a ritrovare l’ingrediente umano e a tirarlo fuori il più possibile.
Jukka, sei passato dal suonare in un gruppo strumentale al cantare in due gruppi, quello stesso gruppo (i Giardini, nel frattempo passati al cantato) e i Crimea X. C’è voluto un po’ per prendere confidenza? Scrivi testi diversi per Giardini e Crimea X, o temi e atmosfere sono simili?
Jukka: Ho iniziato a cantare con i Giardini Di Mirò per necessità: avevamo inserito un cantante nell’organico, scritto e suonato per un paio di anni canzoni con parti vocali importanti, e all’improvviso quel cantante non faceva più parte del gruppo. La nostra decisione è andata nella direzione di sfruttare tutte le nostre possibilità senza ulteriori inserimenti esterni. Così anche io, con Corrado, mi sono immolato nel ruolo di chitarrista/cantante. Subito è stato durissimo, non lo nascondo. Sono anche consapevole di come le prime apparizioni live non fossero all’altezza delle aspettative; il primo tour dei Giardini con me e Corrado come cantanti non ha avuto vita lunghissima, perché non riuscivo a vivere bene quel ruolo e avevo troppi dubbi sull’operazione. Oggi non ho molti problemi. Non sono Morrisey, ok, ma si può fare. Mi piace tantissimo registrare le parti vocali, quando sento la voce in cuffia la tensione e la concentrazione necessarie mi danno buone senzazioni. I testi rimangono invece un grande irrisolto. Chi suona con me riconosce un mio stile, io a differenza loro non sono così sicuro di aver trovato la quadra con le parole in musica. Ci si lavora, non molto, non troppo spesso, ma ci si lavora. Potrei dire che mi piace scrivere per immagini e suggestioni, che con le parole cerco di dare confini alle solitudini che viviamo, ma in realtà scrivo per dare parole a delle melodie vocali. Quelle mi interesano più di tutto, le melodie.
Come reagiscono i rispettivi fan? C’è sovrapposizione fra pubblico dei Giardini e pubblico dei Crimea X?
Jukka: Domandone. Non credo ci sia molto scambio. Si diceva dei punk che prendevano con le pinze la dance, ma credo che si possa generalizzare e dire che la maggior parte del pubblico rock abbia ancora difficoltà ad approcciarsi con suoni elettronici. E in generale la curiosità viaggia purtroppo ancora lentissima, al netto di internet, banda larga e scaricaggio selvaggio. Ma chiedi a Rocca se apprezza i miei “chitarrismi” – così li chiama il giovane – con i Giardini Di Mirò per vedere se le distanze tra rock ed elettronica si sono accorciate…
Il discorso è valido anche per il primo album, ma ho trovato “Another” poco o nulla “italo” o “cosmic” nel senso più banale dei termini, ovvero quello del recupero acritico di suoni ed estetica anni ’80 fine a se stesso. Fuori dal vicolo cieco in cui a volte sembrano essersi cacciati molti dei pionieri scandinavi, ad esempio, e tante nuove leve. Il disco suona ancora più vario e sperimentale di “Prospective”…
Rocca: La curiosità è quello che ci muove, e per questo motivo si è sempre in evoluzione. Nel 2009, quando lavoravamo a “Prospective”, ascoltavamo cose diverse. Nel periodo di scrittura di “Another” io stavo lavorando al mio album con Daniele Baldelli e ai miei primi singoli con Dimitri From Paris, Jukka al nuovo disco dei Giardini. Probabilmente la componente “italo” e “cosmic” io la sfogavo con Daniele ed Ajello, mentre invece Jukka incominciava ad apprezzare Larry Heard e ad avere più sicurezza nelle sue vesti di cantante. C’è anche una componente tecnica da considerare: l’utilizzo di nuovi synth e attrezzature che non avevamo a disposizione nel primo album ci ha involontariamente guidato su nuovi lidi.
A proposito di scandinavi: “Another” è prodotto da Bjørn Torske. Come mai?
Rocca: Bjørn lo conobbi quando aprì il concerto dei Röyksopp al Maffia, ai tempi di “Eple” e “Poor Leno”, quando al Maffia avevamo la residenza della Wall Of Sound, anno 2001! In seguito, grazie anche all’amicizia con il nostro A&R e produttore esecutivo Marco Gallerani, ho approfondito la conoscenza del vero e proprio mondo sonoro del biondo di Bergen. Nel 2009 abbiamo suonato con Bjørn al festival Summer Session di Rovereto, e da lì abbiamo incominciato ad “annusarci” artisticamente. Il passo successivo è stato il suo remix di “Varvara”, dal nostro primo album, e quindi il nostro di un brano del suo album, “Slitte Sko”. Bjørn ci fece i complimenti e a questo punto, sempre grazie a Marco, gli proponemmo di produrre l’album che avevamo in cantiere.
Come sono andati i lavori?
Rocca: Sono stati memorabili. Una settimana in questo casolare isolato nella campagna di Correggio, tutti e tre assieme, a rimescolare le carte di quello che avevamo composto io e Jukka nei mesi precedenti. Lui era un po’ timoroso all’inizio, dato che era alla sua prima esperienza da produttore. Poi, grazie alle birre artigianali, ai tortelli e allo gnocco fritto, già dal secondo giorno siamo entrati in perfetta sintonia. Memorabili i suoi exploit, come quando ha aggiunto le percussioni in “Floordance Track” battendo la bacchetta da batteria sul coperchio della pentola con cui avevamo appena fatto i tortelli, o quando ha deciso di filtrare la mia TR-808 attraverso il Moogerfooger, o quando ha suonato la kalimba dentro la solita pentola perché aveva un riverbero particolare…
Resiste la vena “sovietica” nei titoli e nell’estetica dei Crimea X, anche se meno esplicita di prima. È qualcosa che in Emilia ti ritrovi dentro per forza, o c’è dell’altro?
Jukka: Cci siamo accorti in ritardo che il trend sovietista aveva raggiunto il colmo. Eppure, non dovrebbe esser difficile per noi capire che su quel terreno tutto o quasi è già stato detto, fatto, macinato e rivisto, almeno qui in Italia. Ma cosa vuoi mai, noi ci siamo incontrati anche su quel terreno, mica solo su quello dei suoni, e quindi tutto quello che pensavamo potesse caratterizzarci lo abbiamo usato. Ci piaceva anche l’idea di un altro immaginario balearico, non la classica ibizata; qualcosa che fosse polleggio danzereccio poco piacione. E cosa c’è di meno piacione del sovietismo, se lo unisci alla dance? Boh, in realtà ci siamo spiaggiati in Crimea e piano piano cerchiamo di uscirne, direzione sol dell’avvernire. Sempre. Tanto per togliere ogni tipo di dubbio.
State portando il disco dal vivo? Con una band o con formazione ristretta a voi due e basta?
Rocca: Stiamo proprio in questi giorni lavorando a testa bassa sul live, questa volta cercando di essere più diretti alla pista da ballo, con un computer e due controller, Jukka alla voce e io che mi diverto sempre con il flauto. Il nostro sforzo è diretto a mantenere la componente umana del live con strumenti veri, ma al tempo stesso reinterpretando i brani, smontandoli e rimontandoli per fare ballare chi ci verrà ad ascoltare.
Prossime uscite?
Nei prossimi mesi saranno pubblicati vari singoli, primo tra tutti un 12″ sulla label di Prins Thomas, la Internasjonal, con tre brani dell’album remixati in forma Diskomiks da lui stesso. Su un altro singolo ci saranno invece nostri brani rivisitati da Legowelt, Lauer, Coyote e E-The-Hot. Infine, la giapponese Crue-L stamperà presto il nostro remix per i Being Borings.