Ne parlava oggi Stefano Fontana, in un post fatto uscire sul suo profilo Facebook personale. Questo l’incipit: “Posso dirlo? Ma che rottura di coglioni fotonica tutto questi articoli sul perché era meglio usare il vinile piuttosto che i cd o il computer… basta! Ne avete fatti tanti,alcuni interessanti ma ora dovete farvene una ragione e ve lo dice uno che ha comprato più di 10000 vinili. NON e’ vero che chi usa i vinili e’ più bravo o crea più feeling degli altri dj che usano le chiavette o il computer, vorrebbe dire che il 90% dei dj di oggi non sono capaci di fare il proprio mestiere, parlo di dj non di producer prestati alla consolle, loro fanno un altra cosa,diversa da quello a cui mi riferisco!”. E insomma, sì, anche lui si iscrive alla marea montante di persone che hanno iniziato a stufarsi di tutto la “ondata di ritorno” sull’uso dei vinili in un dj set, sulla loro necessità.
Perché se all’inizio c’è stata la crescita silenziosa del partito delle chiavette e dei laptop, fino all’esplosione di Hawtin che percula i poveri fessi che ancora girano coi vinili, da un certo momento in avanti c’è stata invece una forte riscossa di chi invece trova fondamentale l’uso dei giradischi in un dj set, arrivando magari a sostenere che l’unico vero dj set è quello coi dischi, le chiavette sono solo un giocattolo che favorisce la fuffa, abbassa troppo le barriere d’ingresso e non ricrea mai la “vera” qualità musicale che ci deve essere nell’atto del deejaying.
Ora, scegliete pure da che parte stare. Fate pure gli ultrà. Liberissimi. Ma fateci dire che se vi schierate nettamente da una parte o dall’altra, beh, a nostro modo di vedere sbagliate. Operate una semplificazione buona per raccogliere gli “Olé!” dei vostri amici o di chi ama le soluzioni semplici, in un verso o nell’altro, ma trascurate una fetta di verità.
Ci sono tante posizioni. Ci sono posizioni in buona fede. Spesso quelle degli amanti del solo-vinile sono fra queste: vorrebbero evitare un “assalto dei barbari” al mestiere del deejaying. Perché è un dato di fatto oggettivo che, per mixare con le chiavette e con l’ausilio della tecnologia, un livello sufficiente lo si può raggiungere con un paio d’ore d’esercizio, magari tenendo d’occhio il display che ti segnala al decimale qual è il BPM della traccia e accendendo poi un cero a San Sync; per farlo decentemente con dei vinili, spesso invece non bastano due anni (in qualche caso, non basta tutta una vita). Questa cosa può piacere, può non piacere, ma è così, è semplicemente così. Ed è curioso che chi sta dall’altra parte della barricata, quella del “Ma chi se ne frega del vinile, la tecnologia progredisce”, ignori completamente questa realtà fattuale.
Sinceramente, siamo perplessi pure sulle uscite di qualche difensore de “Ok il vinile, ma un vero dj set si può fare anche con le chiavette”: perché sotto l’argomentazione dell’”Odio gli integralismi, la musica è musica, non è importante con che mezzo la suoni ma quanto bene la suoni”, che è una argomentazione sacrosanta che andrebbe messa dentro il 50% dei Baci Perugina in commercio (al posto delle frasi sempre più del cazzo che ci si trovano), diciamoci la verità, spesso si nasconde una difesa d’ufficio e anche velatamente interessata del baraccone EDM e dei suoi fratelli, ovvero lì dove non conta la manualità e la capacità di assemblare una selezione, ma piuttosto la capacità di creare spettacolo saltellando, aizzando la folla, creando il fomento. Bello, bellissimo, atto che ha anche una sua dignità (talora) e un riscontro numerico (spesso), ma permetteteci di dire che questo è uno sport diverso: è il wrestling della musica, dove l’atto sportivo viene estremizzato, svuotato del suo pathos e del suo significato originario e infine spettacolarizzato in una maniera da cartoon.
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David Guetta, un attimo prima di schienare John Cena
Non c’è nulla di male nel wrestling, lo guardiamo pure noi, ci diverte pure (vabbé, ci divertiva di più con André The Giant, Antonio Inoki e Hulk Hogan, al massimo fino al primo The Undertaker, ma lì sarà un fattore generazionale), però come ci considerereste se vi se mettessimo sullo stesso piano un boxer e un wrestler, un campione di MMA e un wrestler? Sono due sport diversi. Nulla vieta che un boxer o un praticante di MMA si dia al wrestling (è accaduto, anche con grande successo), né che un wrestler al contrario provi a cimentarsi con boxe e i combattimenti estremi. Sono pratiche “cugine”, alcuni elementi dell’una fanno da base anche dell’altra, ma in linea di massima nessuno sano di mente oggi mette lo “spettacolo” del wrestling sullo stessi identico piano di boxe e MMA.
Ecco, bisognerebbe fare lo stesso con la musica. Se la chiavetta, il sync e vari aiuti tecnologici servono essenzialmente a creare una routine di “spettacolo”, dove la componente “esteriore” è il fulcro e per quanto riguarda l’assemblare musica in tempo reale c’è solo un simulacro, un feticcio che serve a giustificare la presenza sul palco lì e l’aura come “dj”, allora sinceramente se amate la musica li potete accettare, perché la musica ogni tanto può anche essere al servizio dello “spettacolo”, ma non glorificare, né pretendere che un set in buona parte preregistrato abbia la stessa dignità di un dj set di cinque ore di Garnier o Jackmaster.
Di conseguenza, e qui veniamo al punto che più ci interessa, se la chiavetta e il sync servono prima di tutto come scorciatoia per arrivare al ruolo da dj (attenzione: sottilineiamo “ruolo”), è difficile vederli come una cosa positiva. Perché avvelenano i pozzi. Crescono frutti discutibili, crescono generazioni di persone che vedono nella musica molto più un mezzo per arrivare a gratificazione mondana e sociale piuttosto che vederci un’arte. E’ tuttavia anche inevitabile che molti approfittino di loro, della chiavetta e del sync, della loro capacità di semplificare le cose: perché devo faticare per anni per imparare a fare una cosa decentemente, quando con l’aiuto della tecnologia posso arrivarci in mezza giornata?
Perché? Te lo diciamo noi perché. Perché approfondire le cose, dare loro dedizione temporale ed emozionale, ti porta inevitabilmente ad un approccio più maturo e più di spessore. Nove volte su dieci è così. L’unico caso su dieci, ma sarebbe il caso di parlare di un caso su mille, è quello dove c’è un talento strepitoso, dove classe, spessore ed originalità ti sgorgano fuori in maniera naturale, ma lì appunto stiamo parlando quelli che il fatto di essere fuoriclasse ce l’hanno, per qualche motivo misterioso, nel DNA. Di tanti giocatori bravi nel calcio ce ne sono tanti, eccome, ma di Messi, Pelé e Maradona ne nasce uno ogni tanto.
E se tu non sei un Messi, Maradona o Pelé della musica, allora sappi che l’allenamento è una cosa fondamentale. A cosa serve ad un giocatore fare le ripetute? A cosa serve fare le flessioni? Apparentemente è fatica sprecata: perché in campo ti comporti in tutt’altro modo, in campo conta la velocità, conta l’acume tattico, conta il dribbling, conta la capacità di tirare forte e preciso. Eppure una preparazione fisica di fondo è decisiva, ti può permettere di fare la differenza se, appunto, non sei Maradona, che si allenava un giorno sì e cinque forse. Col deejaying funziona in modo simile. Mixare coi vinili, imparare a farlo e continuare periodicamente a farlo, ti dà una preparazione di base che poi ti aiuta a maneggiare in modo molto più consapevole, rapido ed efficace gli aiuti tecnologici. Quindi ecco: non utilizzate la levata di scudi – anche sensata – de “Basta con gli integralisti del vinile!” come scusa per non prendere mai in considerazione il fatto allenarvi a mixare pure manualmente, con dei giradischi, senza affidarvi solo ai software, magari perché in fondo quello che a voi interessa è prima di tutto levare le mani al cielo di fronte a 40.000 persone al Main Stage del Tomorrowland …sì, questa cosa può anche interessarvi come obiettivo finale, nulla di male, anzi!, ma se è il vostro unico pensiero allora non dovete restarci male se chi ha a cuore la deejay culture vi tratta come dei pezzi di merda approfittatori. Dal loro punto di vista, lo siete. Stateci. Accettatelo. Non si può piacere a tutti. Se preferite il pubblico dell’EDM a quello degli intellettuali del clubbing che tutto sanno e tutto soppesano fate benissimo, è una scelta più che legittima, potete giustificarla correttamente dicendo che lo snobismo vi dà a noia, ma non potete restarci male se i suddetti intellettuali del clubbing poi parlano male di voi e non vi danno mezzo straccio di rispetto.
Tuttavia. Oggi quasi tutti i grandi dj usano le chiavette. Sono più comode. Sono più pratiche. Hanno l’indubbio vantaggio di potervi permettere di portare molta più musica con sé, rendendovi più versatili e potenzialmente più vari nel vostro “racconto” musicale di una sera. I software poi aiutano ad arricchire il discorso musicale per davvero: in tempo reale puoi scomporre, ricomporre, editare, mentre se ti limiti ai vinili diciamo che al massimo arrivi lì dove può arrivare l’effettistica del mixer. Insomma, ci sono mille motivi per fare un po’ l’Hawtin del caso e dire che chi rifiuta gli aiuti e le innovazioni della tecnologia è qualcuno fuori dal tempo che si castra come artista; e ci sono altrettanti motivi per mettere in campo un corollario silenzioso ma non meno significativo, ovvero che spesso ci sono molti dj vecchia scuola che berciano contro le chiavette e i software solo ed unicamente perché non sono stati in grado di imparare a maneggiare con efficacia le innovazioni, sono rimasti intrappolati ai loro tempi d’oro e alle loro abitudini tecnologiche-esecutive. La vecchia storia, sempre ahimé attualissima, della volpe e dell’uva.
Il problema non sta ne “meglio la chiavetta o il vinile”. Non basta la chiavetta per fare di un dj uno stronzo arrivista ed incapace (né, al contrario, per farne uno smart che pensa a massimizzare l’impatto artistico e creativo del suo set); né basta il vinile per fare di un dj uno che pensa prima di tutto all’arte e alla profondità della sua proposta artistica. Ecco perché spesso ci si accapiglia attorno ad un finto problema.
Ma il fatto che spesso ci si accapigli di fronte ad un finto problema, ci fa però dimenticare che oggettivamente suonare il vinile implica una fatica, dei tempi e delle conoscenze di un certo tipo, che possono essere molto utili nello sviluppare la propria identità artistica. Così come, altra faccia della medaglia, non bisogna dimenticare che il talento resta una componente ineludibile, e non è che suonare automaticamente col vinile e con un mixer rotativo ti rende uno più “autentico” e soprattutto più bravo – e questa è una vulgata che purtroppo sta prendendo piede.
Che poi, perdonateci, ma troppo poco spesso sentiamo parlare di musica. Troppo poco spesso leggiamo articoli divertenti E intelligenti come questo. Tutti preoccupati su qual è l’effetto sul proprio profilo, sulla propria credibilità personale, del suonare o non suonare coi vinili o le chiavette; sentiamo invece pochissimi fare un’analisi più prettamente musicale delle conseguenze. Un dj set fatto coi vinili e uno con chiavette/software suonano in modo diverso, per selezione ma anche per “pasta” sonora. Se si ha un minimo di orecchio, te ne accorgi. Se non te ne accorgi, vuol dire che vai nei club solo per fare bordello, tirare su le fighe o i fighi, sballarti come un cammello: bravo/brava.
Comunque sì, sono due cose diverse, e non è che in sé una sia migliore dell’altra. Dipende dalla propria attitudine personale, dal proprio stile, dal modo in cui si è sviluppata la propria conoscenza. Ci sono dj che danno il loro meglio mixando/riprocessando solo elementi digitali; ce ne sono altri che quando passano dal vinile vero a Traktor perdono due terzi della loro espressività, del loro “calore”, della loro identità. Varia da caso a caso. E ci sono anche molti casi intermedi, gente brava soprattutto coi file ma che se la cava col vinile, gente brava col vinile che se la cava coi file, gente che una sera gli viene benissimo il set coi sofware e due sere dopo gli viene altrettanto bene il set col vinile. E’ su questo che sarebbe più bello poter discutere, invece di accapigliarsi solo in una disputa cieca tra Guelfi e Ghibellini sul meglio il vinile e o la chiavetta.
Di sicuro un messaggio da far passare sarebbe: ragazze, ragazzi, è bello avere una preparazione completa. Volete fare il dj? E’ giusto che troviate la propria “voce” migliore, questo dev’essere il vostro obiettivo finale, ed essa può arrivare con qualsiasi mezzo (vinile, chiavetta, quellochevoletevoi); ma è altrettanto giusto che abbiate alla base una preparazione completa, che abbracci e conosca a trecentosessanta gradi gli elementi, la storia e la pratica della cultura/pratica in cui vi state tuffando e da cui volte ricavare soddisfazioni, magari sostentamento, magari fama.
Del fare il dj vi interessa invece solo il far bella figura dietro una console, strappare un po’ di free drink e magari un paio di centinaia di euro a botta, fare bella figura di fronte agli amici e ai potenziali partner della copula di fine sera, o magari imbroccare il filone giusto del momento che vi può far imboccare una improvvisa scorciatoia verso la gloria? Ecco, la tecnologia vi aiuta. Chi lo nega. Vi potete improvvisare “veri” dj, oggi. Ma non venite a piagnucolare e a muovere accuse di razzismo e snobismo contro chi vi tratta e vi definisce per quello che siete: dei parassiti egoisti.