Sono tornato pochi giorni fa da Londra, lavoro, studio, turismo e svago tutto insieme. Premesso che non ho una club life decennale (anche se non è mai stata attiva come negli ultimi anni), non ho alle spalle una collezione di festival internazionali di cui vantarmi (qualcuno si, sia chiaro), ne una serie di presenze nei locali più cool delle capitali europee. Penso di poter comunque dire la mia e poter condividere con voi la mia impressione, più precisamente un paragone, su un sabato sera qualsiasi a Londra a discapito di uno dei nostri.
La mia serata prende vita al Fabric, a mezzanotte la fila è discreta e ordinata lungo un binario di transenne. Questa è solo la prima delle grandi differenze che ho notato. La seconda riguarda la lineup: Room 1 – Onur Ozer, Reboot e Sebo K. Room 2 – Minilogue, Ben Clock e Terry Francis. Qualitativamente e quantitativamente una proposta di spessore, una di quelle che anche noi probabilmente potremmo avere, ma sparsa in diversi locali, sicuramente non in uno solo contemporaneamente. Varcata la porta d’ingresso (dopo la fila, sempre ordinatissima, per posare le cose nel guardarobba), in piena city londinese a due passi da uno dei mercati più antichi della città, mi accoglie uno stabile enorme. Un labirinto di cunicoli e stanze dove lo sguardo si perde nel fumo denso che avvolge le tre sale. Tubi di aereazione, impianto idrico ed elettrico a vista, che si sposa perfettamente con le pareti in muratura e mattoncini rossi. Diverse zone relax con divani, tavolini e bar sparsi ovunque. Impianto audio e luci impeccabile (anche se qualcuno mi dice che il Ministry da questo punto di vista è addirittura migliore). Tanta gente, molti stranieri e assolutamente nessuna rissa…
Potrei parlarvi della mia esperienza musicale, di ciò che ho sentito durante le ore li dentro o delle teorie del rendimento di un dj in certi locali a discapito di altri… ma penso questo sia già un discorso più personale, che potrebbe variare anche a seconda dei gusti musicali di ognuno di voi. Preferisco soffermarmi su altro, anche perchè il Fabric non è solo musica, è anche un colosso ben organizzato nel marketing. Una struttura riconosciuta in tutto il mondo al pari di posti come il Cocoon di Francoforte e il Ministry Of Sound. Niente è lasciato al caso, ma bensì studiato per produrre sempre di più. Un’immagne coordinata a 360°… Una cosa del genere in Italia non l’ho ancora mai vista da nessuna parte, forse qualche timido accenno, ma niente di sostanziale. Dalle loro parti sanno comunicare a dovere, sono organizzatissimi. Ma c’è da dire che forse con la loro politica e la loro stampa è anche più facile (considerando che un giorno la pagina centrale del free press più letto della metro inglese dedicava un articolo agli after party Secret Sundaze). Da noi la maggior parte delle volte si tende a differenziare. Ad esempio il Suburbia di Roma ha una label discografica che si chiama Mallory (non Suburbia), il Goa aveva l’Unpolite. Loro invece vogliono che sia tutto ben chiaro, che tutto ciò che li riguarda ricordi giustamente il loro brand. Non solo un club quindi, ma una vera e propria azienda a livello mondiale.
La mia serata si è conclusa in taxi, con in mano il cd #31 del Fabric (quello di Carola, uno dei miei preferiti) acquistato al distributore automatico poco prima dell’uscita (identico a quelli che vendono snack da noi, ma con tutta la serie delle compilation dentro) e con una busta piena di flyer promozionali di altri eventi nell’altra.
Chiudo semplicemente con l’immagine nitida di un’opera di Banksy (“Bomb Hugger“) spruzzata direttamente sul muro accanto all’entrata dei bagni del Fabric. Loro possono permettersi anche questo. Noi al massimo abbiamo il numero di una qualche fantomatica “Simona lo prendo tutto” inciso sulle pareti. Mi sa che presto dovrò prenotare un’altro low cost, chi viene con me ?