A pochi giorni di distanza dall’uscita del nuovo disco – “The Great Electronic Swindle” – in arrivo il prossimo 20 ottobre, abbiamo avuto l’onore di scambiare quattro chiacchiere con Simone Cogo, l’uomo che si nasconde dietro la maschera di Sir Bob Cornelius Rifo: fulcro e cuore pulsante di The Bloody Beetroots, un progetto che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni.
Sir Bob ci ha raccontato il percorso lungo quattro anni che lo ha portato a dare vita a questo nuovo lavoro. Un disco complesso, stratificato e vitale che, come sempre, sfugge alla definizioni di genere.
Con quale concetto nasce il tuo nuovo disco? Mi pare tu abbia fatto fede ancora una volta al tuo credo “distruggere per creare”.
Sono passati quattro anni dallo scorso disco e “The Great Electronic Swindle” è nato perché dopo SBCR non sapevo cosa fare con questo progetto e questo tempo mi ha dato energia per capire cosa avrei potuto fare nel prossimo capitolo.
È un disco molto denso con il quale ho voluto curare molto la musica. Ho chiamato un sacco di cantanti perché avevo l’esigenza di raccontare qualcosa, ho cercato degli artisti che mi somigliassero e che avessero una forma vocale originale. Ogni canzone ha una storia, ho lavorato personalmente con tutti i cantanti. È veramente pieno e dev’essere ascoltato con calma perché potrebbe sembrare schizofrenico al primo ascolto… necessita tempo per esser capito.
Ho notato già dal primo ascolto che è ben presente una differenziazione di generi, a chi consigli di ascoltarlo?
Io consiglio di ascoltarlo a tutti. Per me i generi non esistono perché ascolto di tutto: alla mattina potrei ascoltare un genere, al pomeriggio un altro e alla sera un altro ancora.
Da ascoltatore però non ho mai ascoltato un LP con tutti i colori di una persona, quindi questo è l’ingrediente che credo renda unico il mio album.Probabilmente non potrà piacere a chiunque ma ogni traccia racconta una storia di un ascoltatore che vuole esprimersi.
Hai intitolato il tuo nuovo album The Great Electronic Swindle, fai riferimento ai Sex Pistols, giusto?
Il titolo si ispira ad un documentario dei Sex Pistols intitolato “The Great Rock and Roll Swindle” uscito nel 1980 e mostra come Malcolm McLaren abbia manovrato la band per portarli al top del music business. Nella musica elettronica molti artisti si fanno produrre la musica e quando suonano ciò che portano non è la loro storia. A questo punto quindi preferisco che mi facciano conoscere il ghost producer, chi sta dietro, che magari fa mille pezzi ogni giorno chiuso in studio.
Quindi il titolo è perfetto: “La grande frode elettronica”, che rappresenta quello che sta succedendo ora e quello che io voglio combattere. Gli artisti devono mettersi in prima linea e mostrare quello che vogliono fare, altrimenti è meglio lasciar perdere.
Speri di cambiare la scena elettronica con questo album?
Di certo il mondo non lo cambio io, ma il mio apporto a questa fase decadente della musica elettronica. L’ho vista partire dall’underground e ora è diventata abbastanza irrilevante.
Il mio tentativo è quello di riportare un po’ di sostanza alla musica elettronica.
Dov’ è stato registrato questo album?
Un po’ a Los Angeles, un po’ a Bassano, un po’ a Milano, un po’ a Nashville, un po’ nelle isole Fær Øer, in Svezia a Gotteburg, un po’ in UK…persino in Australia. È stato registrato ovunque.
Hai menzionato le isole Fær Øer che non possono che essere che un riferimento a Greta Svabo Bech, con la quale hai collaborato sia in Hide che nel disco che uscirà fra qualche giorno, come nascono le tue collaborazioni?
Questi artisti sono tutti miei amici. Io prima conosco un artista, poi ci divento amico e solo dopo ci registro qualcosa. Con Greta ci conosciamo da molto e abbiamo sviluppato un empatia. Sono andato a trovarla alle Fær Øer e questa è una cosa particolare…se ascoltate “The Great Run” sentite la tormenta di neve sotto la traccia vocale perché quando l’abbiamo registrato c’era questa tormenta che era talmente forte che il compressore l’ha catturata. È stata un’esperienza incredibile.
Immagino quindi tu non creda molto nella pratica, ahimè diffusissima, del lavoro “a distanza”…
Credo che non sia funzionale e che sia di cattivo gusto il registrare a parte. Per il mio modo di esprimere e per come scrivo una canzone, non voglio prima lavorarci e aspettare che poi qualcuno ci metta il cantato. Non me ne frega un cazzo, io vivo la mia vita ed esprimo la mia vita con la musica e in tutto ciò ci dev’essere un’ etica.
Ci sono delle storie particolari legate alle collaborazioni di questo album?
Sono veramente tante, perché ognuna ha qualcosa di unico.
Come è nata ad esempio “My Name is Thunder” insieme ai Jet? Era da anni che non sentivamo parlare di questa band. Non si erano sciolti?
Una mattina mi sono svegliato, e ho chiesto al mio manager di contattare Nic Cester (frontman dei Jet, ndr) perché volevo collaborare con lui. L’unica difficoltà sarebbe stata la distanza perché se fosse stato in Australia sarebbe stato un problema sia per i costi che per il tempo. Invece ho scoperto che suo zio produce il rosé e che vive sul lago di Como. Ci siamo trovati ed è nato tutto in una sera a cena con pizza e vino, è così che abbiamo registrato una cosa eccezionale.
Ho notato che se Hide è stato distribuito da Sony, ora hai deciso di puntare sul frangente della distribuzione indipendente, comunque in una label bella grande…come mai questa scelta?
A me fa schifo il music business, lo posso dire perché l’ho provato e l’ho vissuto. Dopo un certo periodo di tempo devi cambiare sangue perché tutto diventa abitudinario. Sinceramente quando una persona vuole evolversi deve fare un cambiamento drastico se no finisce di vivere. Ho scelto Last Gang Records perché sono dei combattenti indipendenti che portano avanti idee radicali. Il loro motto è “siamo noi contro il mondo”, come il mio.
Uno dei pezzi intorno ai quali gira l’album è My Name is Thunder, del quale il video è stato girato all’Home Festival di Treviso, festival che condivide con te l’origine veneta e palco che hai calcato molte volte, è un caso?
Ci sono tante riprese dell’Home e ci sono anche riprese di altre parti che forse sono meno riconoscibili. Home Festival è una roccaforte perché i ragazzi sono sempre stati bravi a scegliere gli artisti e a costruire l’evento. Se Home è così famoso è solo grazie al loro lavoro. È figo averlo dalle nostre parti in Veneto perché noi siamo sempre stati un popolo che ha lavorato a testa bassa senza però mostrarsi troppo. Amedeo (Lombardi, founder di Home Festival, ndr) è stato bravo a tirar fuori qualcosa per tutti e io sono felice di farne parte.
Sai, Milano è un po’ il centro di tutto, dove ci sono la maggior parte dei giornalisti e le etichette, quindi viene vista come la città principale e il fatto che molti posti all’estero o al di fuori dalla cerchia si stiano prendendo la loro parte serve per creare un nuovo equilibrio che non c’è mai stato. Possiamo essere tanto fighi qui come se fossimo a Los Angeles.
La nuova contemporaneità è bella perché sta dissolvendo le barriere e ci sta aiutando ad abbattere i nostri limiti.
Hai fatto riferimento a LA, sappiamo che vivi lì, come mai hai scelto quella città?
In verità non me ne sono mai andato e credo che il discorso sia valido per quando hai bisogno di aggregazioni durante un progetto, devi essere in un punto per riuscire a costruire qualcosa. LA è un punto topico per gli artisti di tutto il mondo, in più è un’esperienza che ti fa capire molte cose. Ogni volta che vado in California l’esperienza è sempre ottima anche a livello didattico.
Cosa ti aspetti quindi dal tour americano che sta per iniziare?
Quello che sta per iniziare negli Stati Uniti è un tour di club: riporteremo quindi The Bloody Beetroots nella forma originaria; oltretutto quella del club è una dimensione perfetta perché con questa formazione ci viene permesso di “schiacciare” il club, ed è anche per questo che mi aspetto un gran casino da parte di tutti.
È vero che facciamo i dischi con i coglioni ma abbiamo anche questa parte teatrale che va portata alla gente.
La tua parte teatrale è davvero fondamentale, considerando che il pubblico può conoscerti solamente attraverso la tua musica e la tua maschera…quanto è importante l’immagine per te?
Secondo me è importantissima perché senza di quella non avrei potuto creare un elemento di catalisi, e fa parte della mia iconografia. Perché così è stato pensato. Il presupposto è parlare di musica e basta.
Stai facendo palesemente riferimento al gossip, pratica che ti ha investito negli ultimi mesi, come viene visto ciò all’estero? Chi ti ascolta oltreoceano si occupa anche della tua vita privata?
Secondo me all’estero non gliene frega niente, solo qui in Italia c’è il gossip.
Sei uno dei produttori che hanno cambiato il mondo della musica elettronica, come vorresti essere ricordato?
Non voglio pensarci, però spero di poter essere ricordato per aver sfatato la catalogazione della musica che da sempre ho ripudiato. Intanto mi piacerebbe capire in che genere catalogheranno questo CD, se lo posizioneranno sullo scaffale del rock piuttosto che su quello dell’elettronica (ride, ndr).
Con questo album è uscita la mia essenza. SBCR si è fatto un sacco di festival, sai, con i dj set fare mille date è semplice. Mentre questa è una nuova visione, è giusto che ci siano parentesi per farti argomentare e mostrare le cose da un altro punto di vista.
[La foto dal vivo è di Diego Zanette]