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Strani Ritmi: dischi, racconti e filmati per raccontare al meglio il nostro Marco Trani

Chiunque abbia nel cuore il funky, gli anni ’70 ed ’80, la black music e la primissima house, chiunque abbia vissuto di persona quell’epoca dove quella musica regnava sovrana nei club italiani non può non conoscere il carisma ed il sorriso di Marco Trani.

Strani Ritmi narra la storia di uno dei più grandi (se non il più grande davvero) disc jockey che l’Italia abbia potuto vantare ai tempi nei quali Larry Levan con il suo Paradise Garage ed il famoso Studio54 facevano muovere l’intera America. Un documentario che racconta la figura di questo “mostro” della tecnica del djing descrivendo l’intero arco di tempo nel quale egli visse. Corrado Rizza, autore di quest’opera nonché collega e grande amico di Marco, ha voluto difatti incorniciarne la figura di Trani da tutto ciò che lo rese il pioniere che ricordiamo oggi, inserendo interviste di altri grandi dj come Claudio Coccoluto, Paolo Micioni, Faber Cucchetti, Massimino Lippoli, Lorenzo Cherubini, Elvio Moratto, Albertino, Boy George, Frankie Knuckles, Joey Negro, Hector Romero o ancora David Morales registrate antecedentemente la sua improvvisa morte nello scorso 21 Settembre 2013. Dalla sua primissima comparsa all’Hytsteria di Roma, al visionario club Easy Going per arrivare al Pascià di Riccione uomini di spettacolo come Jovanotti, Fiorello e Carlo Verdone parlano di come quell’uomo fosse la vera definizione di deejay, di come le sue performance incendiassero le piste di ogni club della penisola, di come i dischi sotto quelle mani esperte scivolassero al contrario andando magicamente a tempo, di quegli scratch mozzafiato, di quei dischi così particolari ed introvabili che solo lui possedeva, di quei “connubi” musicali assurdi ma perfetti e di quell’uomo che era in primis un amico sincero con il quale ridere e divertirsi e di quel padre premuroso che finì per accantonare sempre più il suo lavoro per amore del suo unico figlio Mattia che oggi ne segue le orme ricordandolo con immenso rispetto. Più che un semplice documentario per chi abbia sete di conoscere come tutto ebbe inizio e più che una visione di quello che era il panorama del clubbing italiano da fine anni ’70 ad inizio anni ’90, Strani Ritmi è un concentrato di emozioni, musiche, canzoni che, credetemi, vi strapperanno un sorriso e, forse, anche una lacrima.

Per presentarvelo ancora meglio, abbiamo scambiato qualche domanda proprio con il figlio di Marco, Mattia Trani: ne viene fuori una conversazione molto bella. Non magari lunghissima, ma intensa e molto lucida nel “fotografare” alcune questioni non solo sul documentario di Corrado Rizza ma anche sulla figura del padre e, di riflesso, sul senso della club culture a trecentosessanta gradi.

Il documentario Strani Ritmi è ricco di racconti, interviste, filmati e testimonianze che lo rendono unico nel suo genere, un vero patrimonio per coloro che hanno vissuto quel periodo e desiderano ricordarlo nella maniera più totale e per tutti coloro che invece non erano ancora presenti. Cosa hai provato e pensato la prima volta che lo hai guardato?

A dir la verità ogni singola volta che riguardo questo documentario è come se fosse la prima volta che mi capiti fra le mani, semplicemente un emozione pazzesca e unica! Dal lato umano ho provato tanta gioia essendone protagonista e avendolo vissuto in prima persona, dal lato artistico sono stato molto felice e soddisfatto poiché rappresenta un vero e proprio pezzo di storia, un enciclopedia che anche il “pischello” che suona con “virtual dj” può consultare e grazie alla quale può conoscere la storia di questo “virus” (così come lo definisce mio padre) chiamato deejay.

Tuo padre in uno dei discorsi finali parla appunto di questo “virus”, ovvero della figura del deejay che contagia nel vero senso della parola la pista, il pubblico ed il panorama del clubbing in generale: “Per il futuro spero che queste figure improvvisate finiscano chiudendo il cerchio iniziato molti anni anni fa da persone come noi e che, quindi, tutto ricominci con persone come noi, come mio figlio, in modo che chiunque voglia intraprendere questa strada possa riprovare le stesse emozioni che ho vissuto, che abbiamo vissuto e che ci hanno reso ciò che siamo.” Tu, con il tuo lavoro, stai sentendo di ricominciare questo cerchio?

Le emozioni vissute in quel periodo sono state uniche e credo che difficilmente si possano ripetere poiché a quei tempi non vi era nulla e quindi è nato tutto in modo autonomo e spontaneo. Il mondo d’oggi è totalmente diverso, il “tutto” e il “troppo” fanno parte della nostra quotidianità e di conseguenza ritengo che dobbiamo portare avanti la volontà e il credo tramandatoci dai nostri predecessori applicandola in modo moderno. Ricominciare il cerchio deve essere l’obbiettivo principale di tutti coloro che desiderano intraprendere questa carriera, personalmente per me è una missione di vita e vorrei nel futuro esserne riconosciuto come uno dei maggiori esponenti.

Durante la tua intervista per Strani Ritmi parli del tuo grande amore per la musica, amore che ti ha spinto verso quello che è il tuo lavoro e del “voler bene alla musica così che un domani essa vorrà bene a noi”. Cosa intendi dire con questa importante frase?

Con questa frase ho voluto sottolineare il fatto che la musica rappresenta un percorso interiore e strettamente personale come se fosse la propria “fede religiosa”. Non dobbiamo farci condizionare dalle istituzioni che gli ruotano attorno, il rapporto con essa è strettamente intimo e unico, se saremo ogni giorno devoti alla musica un giorno verremo ripagati dei nostri sforzi e della nostra passione.

Qual è l’insegnamento o la regola principale che tuo padre ti ha dato per compiere al meglio quello che è il mestiere del deejay e del produttore, insomma la regola per sopravvivere in questo mondo non sempre positivo e facile?

Sicuramente il fatto di essere sangue del suo sangue ha fatto si che io ereditassi il suo background musicale, la sua passione e la sua ricerca, il suo vero e proprio DNA. Ma come mi disse molte volte disc jockey e musicisti/produttori ci si nasce e non si diventa, non c’è un vero e proprio insegnamento e metodo, questa professione è frutto di un sentimento spontaneo e interiore che viene fuori maggiormente anno in anno, giorno per giorno. La regola principale è essere se stessi fino in fondo e non farsi condizionare da nessuno, portare avanti a testa alta la propria identità.

Marco Trani si distinse fin da subito, emerse diciamo dal “coro” fin dalle sue prime prestazioni. Secondo te cosa aveva “in più” rispetto agli altri?

Marco Trani rappresenta la vera e propria definizione di disc jockey, il cosiddetto artigiano che lavorando col vinile non aveva neanche un minuto libero perché sempre impegnato a selezionare ascoltare e sperimentare. Sicuramente sono stati molti i fattori che lo hanno caratterizzato: primo su tutti una tecnica che lo ha reso famoso ma anche rivoluzionario e innovativo a quei tempi nel suo campo. Un’altra caratteristica fondamentale è sicuramente il carisma che molti altri non avevano, la sua grande felicità nel fare ciò che amava, non importava se davanti ai suoi occhi ballavano 100 o 20000 persone lui sorrideva sempre e amava il suo lavoro fino all’ultimo disco ed è questo che lo ha reso il “Miles Davis dei deejay” così speciale per i suoi fan.

Perché è importante che tutti i giovani che desiderano intraprendere questa carriera, ovvero che vogliano lavorare nel campo musicale, guardino il documentario Strani Ritmi e soprattutto conoscano la figura di Marco Trani, tuo padre?

Ti faccio un esempio semplicissimo: come nel gioco del calcio esistono personaggi come Maradona, Platini e Baresi che hanno caratterizzato il periodo d’oro di quello sport così pure nel mondo della notte è importante capire come la storia si è svolta realmente. Strani Ritmi racconta quel periodo che rese l’Italia famosa in tutto il mondo, racconta fatti reali e concreti, racconta soprattutto di quei personaggi come Lerry Levan, Nicky Siano, Frankie Knuckles o Marco Trani stesso che non possono non essere citati o presi in causa. Spero vivamente che siano i giovani a guardare questo documentario e non i soliti “vecchi nostalgici” poiché Strani Ritmi rappresenta la cultura mancante in molta parte delle nuove generazioni.