“Sei una donna, è più facile”. Ho sentito questa frase talmente tante volte che saprei ripetere la risposta a memoria ormai.
Benché molti la pensino cosi, non è poi cosi semplice. Si ok, donne che suonano ce ne sono poche, ma per una donna fare ciò che ha sempre fatto un uomo non è mai facile. Essere una donna che suona vuol dire dover sempre dimostrare che ciò che si fa, si fa per passione, che si è capaci di farlo, che ci mettiamo il cuore anche se siamo dell’altro sesso. Un problema mondiale? Beh, diciamo che l’Italia è un discorso un po’ a sé. Qualcuno mi ha detto: “Una donna non riuscirà mai a suonare come un uomo. E’ una cosa impossibile”. Conoscendo la persona e sapendo che lo ha detto in buona fede e senza peccare di superiorità, credo che questo, in Italia, sia ancora il pensiero di una buona parte dei frequentatori di club.
Preparo la mia borsa, scelgo i dischi, chiudo le valigie e parto. Ed è la cosa più bella che ci sia. Il non sapere dove vai, chi troverai, come sarà il club, che pubblico ci sarà. Nemmeno è l’alba che già devo dirigermi in aeroporto. Destinazione: Catanzaro. Ero già stata lì l’anno prima, in un club in cui la poca gente e un impianto che saltava non mi aveva dato modo di capire bene la situazione di una regione vista sempre troppo fuori dalla scena musicale. Dopo un po’ di riposo in hotel e la cena, arrivo al locale. Il posto è enorme e passando dalla prima sala commerciale arrivo nel privè dove avrei suonato. Prima di suonare passo un’ora nella pista con i ragazzi che organizzano e tra due risate e una bevuta mi guardo intorno e cerco di capire cos’è che realmente fa essere la gente li cosi sorridente, con quell’aria felice. Sono tutti carinissimi e mi sento a mio agio dal primo momento che sono li. Inizio a suonare e mi rendo conto di quanto quelle persone siano calorose. Urlano, mi sorridono, mi parlano come se mi conoscessero da una vita: si divertono. Vedo in loro non il voler sentire quale promo tiro fuori, o gente con gli occhi puntati su come tocco il mixer, o su come faccio i passaggi, ma gente che si diverte, che vive la musica per come dovrebbe essere, vissuta senza troppi titoli di dischi e date di uscita delle tracce. La puntina salta ma nessuno sembra essere interessato, l’unico interesse è che la musica riparta il prima possibile. Sono sorpresa e mi diverto come non mai. Credo fosse tanto che non mi divertivo cosi. Tiro fuori pezzi vecchi, roba mai suonata che sembrava essere nella mia valigia dischi proprio per quell’occasione. “Spinal Scartch” di Thomas Bangalter: uno dei miei dischi preferiti, tanto bello e geniale quanto impossibile da suonare senza grande coraggio e senza una pista che davvero lo permetta. Lo suono, ed è come se fosse perfetto in quella situazione, è come se tutto in quella pista riuscisse ad accogliere ripartenze e suoni fuori dai soliti dischi di routine. Finisco di suonare e la prima cosa che dico, alla faccia di chi mi aveva detto che là non esiste cultura per la musica è: “Chi l’ha detto che in Calabria non si sanno divertire?”