Rieccoci: sono ufficialmente aperte le votazioni per la TOP 100 DJs di Dj Mag. Una classifica che non ha bisogno di presentazioni, no? E mica tutte positive. Se nei primi anni aveva ancora un suo fondamento con l’arte del deejaying classica (guardate la classifica del 1997, primo anno delle votazione così come le conosciamo adesso, ovvero aperte al pubblico: a parte il vincitore Carl Cox, che già va bene, nei primi dieci posti c’era gente come Dj Hype o Grooverider), più si è andati avanti con il tempo più si è trasformata in un circo delle vanit… ops, in un modo per certificare gli artisti di elettronica più popolari e più capaci di smuovere la propria fan base. Collegamenti con l’arte del deejaying? Pochini, a esser buoni. L’effetto è curioso: una TOP 100 DJs colonizzata ormai da gente che fa largo uso di premixati (visto che deve offrire degli spettacoli son et lumière in cui bisogna essere sincronizzati con luci, fuochi e altre varie faccenduole in grado di ricreare un wow-effect continuo: non gliene facciamo manco una colpa, ormai) oppure, anche quando mixa davvero, si rifugia nel sicuro più sicuro del sicuro (David Guetta campione olimpico della specialità), per essere certi di contare sull’effetto “messa cantata”. Insomma, la sigla “DJ” completamente svuotata di senso e trasformata in feticcio di “quelli che fanno la musica dance”. Ah, poi c’è sempre il nostro momento preferito, la nostra gag del cuore: dal 1997, i Daft Punk sono entrati ben dieci volte nella TOP 100 DJs. Senza aver mai fatto un dj set dal 1997 ad oggi, se la memoria non ci inganna. Geniale.
Allora però uno dice: “Basta ragionare con questo moralismo da club culture, basta chiedere alla TOP DJs di essere quello che non è più e forse non è mai stata: è un modo per misurare la popolarità di un artista, la sua capacità di trascinare le folle, di entusiasmare, e in quanto tale va benissimo così”. Uhmmm. Ok. Ci sta. Facciamo ammenda sulle nostre battutine ed ironie passate, prendiamo per buona questa lettura. Comprendiamola, su.
…ok, compresa. Bene. Ora che l’abbiamo compresa, abbiamo le idee più chiare, e abbiamo smesso di fare gli stronzetti che prendono in giro, col massimo della serietà decidiamo di fare un endorsement forte, perché anche noi vogliamo partecipare a quel grande gioco sociale che è la TOP 100 DJs, la “classifica più attesa dagli addetti al settore e dagli appassionati”, e vogliamo farlo in modo serio e costruttivo.
Lui. La nostra scelta è lui. Gianluca Vacchi. Oh, che sono queste facce? Cos’è che non va bene adesso? Dj, fa il dj (al Billionaire di Montecarlo, ma anche altrove), o comunque “fa delle cose” dietro ad una console. Popolare, è popolare. Anzi, povero Gianluca: tutti lo sfottono e non lo prendono sul serio, ma su Facebook ha un milione e mezzo di fan (ok, Diplo ne ha il doppio, ma comunque son tanti), su Instragram addirittura straccia tutti o quasi, visto che ormai siamo ai dieci milioni di follower (Diplo arranca a quattro milioni scarsi, pure il belloccio Calvin Harris insegue con nove milioni, il pluridecorato Hardwell si attesta su degli insulsi cinque milioni, peccato l’osso duro Martin Garrix che veleggia sopra i dodici milioni). Insomma: se il dj deve essere uno che non importa come suona ma l’importante è come coinvolge le persone, come mette allegria, come fa stare tutti di buonumore, quanto è popolare, chi meglio di Gianlucone? Eddaje, su! Tra l’altro fa risparmiare pure in idrogeno e pirotecnica (almeno per ora), quindi è una scelta ecologica, “green”.
Vota Gianluca Vacchi! Abbraccia anche tu lo spirito della TOP 100 DJs così come è da molti anni a questa parte! Non fare il guastafeste! Gioca anche tu al grande gioco della popolarità!
Ps. Se proprio siete così stronzi da non voler votare Vacchi, almeno vedete di votare qualcuno di loro – vedi filmato qui sotto. Inutile votare Garnier, The Black Madonna, Hunee o altre scelte da fighetti. La TOP 100 DJs è ormai colonia per l’EDM e per un certo modo di intendere la musica elettronica, molto spettacolarizzato, e soprattutto è diventato un veicolo commerciale che serve ad influenzare le quote di mercato e il potere contrattuale degli artisti. Bene: se così è, ed è così, rendiamola almeno utile questa classifica e facciamoci finire gente che è in grado di unirsi, prendersi anche un po’ in giro, partecipare alle gare con un sorriso, fare gruppo. Così almeno guadagnano in popolarità e in peso internazionale (che peraltro già iniziano ad avere). Voi ve lo immaginate un video dove i migliori artisti della “nostra” scena si prestano tutti insieme ad un’operazione in cui si sostengono l’un l’altro, per giunta col sorriso? Facciamo un po’ di fatica. Ecco. Dalla scena EDM italiana c’è da imparare questa cosa qui: un senso della comunità, che un po’ è andato perso, ora che ognuno coltiva il proprio orticello (e si prende pure un po’ tanto sul serio, a parte poche eccezioni).