Boh. Sarà la nostra bolla – piena di appassionati di musica – sarà che ultimamente Chiara Ferragni non ha detto o fatto nulla, ma in questi giorni si parla tanto ma proprio tanto di “StraMorgan”, il programma televisivo Rai in tarda (anzi, ormai tardissima) serata dove Morgan fa da mattatore assoluto e, come dire?, “spiega la musica”. Ora, intendiamoci: come audience fa attorno alle 350.000 persone, che in termini televisivi è un risultato pessimo (non a caso infatti il programma è stato fatto rotolare sempre più tardi, i numeri restano quelli ma raddoppia lo share), ma in termini assoluti, ehi, 350.000 persone sono tipo quattro esauriti e mezzo a San Siro o, se preferite, cento esauriti all’Alcatraz o al Fabrique milanesi, le due venue da club più grandi in Italia per la musica live. Non è da sputarci sopra.
Non è nemmeno da sputarci sopra, tutt’altro, sul fatto che grazie a Morgan torni un po’ di musica di qualità in Rai. Sì. Assolutamente. Musica di qualità, ed impaginazioni editoriali di qualità: nel senso che non ci sono solo le canzoni, ma si tentano anche gli approfondimenti sulle canzoni in questione, dando un po’ di contesto, un po’ di notizie e suggestioni sugli artisti. Un po’ come ha fatto nell’ultimo paio d’anni Stefano Bollani su Rai Tre: ma Rai Tre, si sa, è un covo di comunisti, di intellettualoidi, di gente fuori dal tempo e fuori dal mondo, e in più Bollani arriva dal jazz e il jazz nelle menti sarcofagee dei funzionari Rai è qualcosa di comunque “rispettabile”. “StraMorgan” in tal senso è molto più una cellula impazzita (e quindi benvenuta!) in un mondo, quello del servizio pubblico (…quindi PAGATO da noi contribuenti anche per fare cultura e non solo stare sul mercato), dove se si toglie l’eccezione carbonara di Rai 5 – che ha una programmazione bellissima, ma lo sforzo per promozionarla è pari a meno dieci – la musica è sempre stata trattata, scusate il francesismo, ammerda. O c’è Sanremo (con annessi e connessi, tipo le visite/deportazioni il giorno dopo da Mara Venier), o ci sono le apparizioni-marchetta nei varietà. Bisogna ormai retrocedere alla preistoria, a quando il campionato italiano di calcio era il migliore al mondo e non il quinto in Europa come adesso, per ritrovare “Taratata” (peraltro format francese) e soprattutto “DOC”.
Ecco. “DOC”. Quello sì è stato un miracolo. Non poteva durare, perché aveva dei costi di produzione astronomici gonfiati ulteriormente dalla leggendaria propensione del corpaccione Rai allo spreco, ma nei suoi anni di esistenza è stato semplicemente sensazionale, portando in televisione musica di tutti i tipi e senza snobismi, con una curiosità intellettuale sublime e un senso della qualità strabiliante. Da Miles Davis ai Tuxedomoon, da Pat Metheny a David Sylvian (ma anche il meglio dell’underground indie e new wave italiano), sono passati veramente tutti. Per un appassionato di musica, un mondo dei sogni. Ancora più dei sogni se si pensa che all’epoca non c’era Spotify, le radio avevano già iniziato a fare schifo e ad essere quasi tutte uguali fra loro, i quotidiani erano la solita mezza fogna che sono adesso per quanto riguarda la musica (anzi: ora va un po’ meglio), insomma c’erano solo le riviste specializzate se uno dalla musica cercava cibo per la mente e gusto della scoperta, non solo sottofondo giusiferrerico mentre baccagli sotto il sole agostano.
“DOC” però era un lavoro d’insieme. Si vedeva che c’era uno sforzo redazionale e di competenze enorme, altissimo, volte ad una condivisione di conoscenza non banale, non immediata. “StraMorgan” invece è quello che è: prima di tutto una (vana)gloriosa autocelebrazione di Morgan.
Morgan, sì, lui, nessun altro e nient’altro, Morgan che la Rai ha ben visto di recuperare in quanto c’è l’implicito ok della nuova compagina governativa. No, non stiamo dicendo che sia stata la Meloni a raccomandare Morgan, per carità: stiamo però ponendo il sospetto che, come da classiche dinamiche Rai, una volta scoperto che fra Morgan e la Meloni non c’è antipatia e c’è anzi un rapporto cordiale, nella nostra fantastica Televisione di Stato si siano adoperati alacremente per dare un palcoscenico a codesto Morgan, pensando così di fare cosa gradita – o perlomeno non sgradita – alla nuova “aria che tira”. Very, very Rai: un posto dove lo spoil system è arte, e dove ad ogni cambio governativo ci si riposiziona con la velocità di Ben Johnson sotto doping, sbracciandosi per far vedere di essere perfettamente allineati al nuovo scacchiere ed alla nuova architettura di equilibri.
I più giovani diranno: “E chi cazzo è Ben Johnson?”. Avete ragione. E avete ragione pure se dite: “Ma vabbé, ma come fate a guardare ‘StraMorgan’… Ma davvero fate? Quella roba lì, da mezzo ospizio?”.
Già. Con l’idea di essere più autorevole e neoclassico, Morgan infatti ha dato un’impronta davvero vecchia al programma a livello di linguaggio televisivo; e chissà se il primo input è arrivato da lui o dagli autori. Vecchia come linguaggio televisivo era anche la mezz’oretta di Bollani su Rai Tre, assolutamente: ma lì in qualche modo appariva come una scelta più “naturale” perseguita per senso della realtà e non per vezzosa vanagloria. L’eleganza della nicchia colta e di buona maniere. “StraMorgan” vorrebbe avere la cultura e pure le buone maniere, ma ciò che emerge sopra di tutto è la figura di Castoldi Marco, il suo agitarsi, il suo mettersi in primo piano, il suo continuare a ribadire di essere il centro dell’universo – lui e le sue passioni storiche, e il resto mancia.
La domanda che vorremmo fare a Morgan: ma davvero ti sei arreso ad essere la macchietta di te stesso, grandiosa e (auto)celebrativa, ok, ma pur sempre macchietta? Davvero pensi di essere l’”…unico a potere spiegare la musica”? In effetti, se guardiamo allo storico Rai, forse lo sei; ed essendo anche un personaggio da rotocalco da gossip, nella percezione sociale ed anche in certi vezzi, tuo malgrado, funzioni meglio di un Manuel Agnelli (tentativo sottovoce di poco tempo fa: quando ancora non c’era la Meloni al Governo e si poteva, ehm, “andare a sinistra”), rendi insomma di più. E quindi la Rai sceglie te, il mondo della televisione più dozzinale e superficiale sceglie te: ti usa per lavarsi la coscienza, per dire “Vedete? La musica di qualità la trattiamo, la cultura c’è tutta, eccovi Morgan, basta, che volete di più, i soldi del canone sono giustificati”.
“StraMorgan” però è un programma dove ci sono sprazzi umani, saporiti ed interessanti (ne scrive bene Gianmarco Aimi su Rolling Stone, dà una chiave di lettura diversa dalla nostra molto più bonaria ma che vi consigliamo di leggere) però ahinoi finiscono affondati in un mare di egomania, e di riferimenti culturali ormai masticati e rimasticati. Oltre a, diciamolo, anche in uno stagno di piccole, sottili approssimazioni: dato che ad esempio far passare i Roxy Music come tout court il gruppo di Brian Eno (Bryan Ferry, anyone?), perché c’è l’imperativo del gloriarsi del “…portare Brian Eno in Rai, parlare di Brian Eno in Rai”, non è un buon servizio per nessuno. O almeno: lo è come minimo a metà. Come lo è a metà santificare Battiato tipo Madonna Pellegrina. Ci piace pensare, ad esempio, che in “DOC” parlare di Brian Eno sarebbe stata una buona scusa per almeno nominare un Jon Hopkins o approfondire ciò che oggi significa “Remain In Light”, gettando un ponte con la contemporaneità e creando un discorso “vivo”; ma a Morgan ed a chi ne cura il programma interessa evidentemente più celebrare Morgan stesso e la sua supposta sapienza, il suo supposto non essere omologato, il suo supposto essere luminosa eccezione, il suo maestoso ed intoccabile Pantheon, il suo essere al centro di tutto, che lavorare davvero nella direzione di un discorso esteso, articolato, contemporaneo, critico. Come nell’omaggio a Battiato, che ha pure ha dei momenti brillanti, musicalmente e come testo.
Detta fuori dai denti: se lo si ascolta bene, Morgan ormai sono vent’anni che dice le stesse cose, ci si è incistato. Giuste o sbagliate che siano. E sono vent’anni che non fa musica nuova, ma si appiglia ai grandi classici altrui dei bei tempi andati. Può essere davvero lui la “bella novità” e il “riscatto” del rapporto fra Rai e televisione? Può esserlo un artista che continua a ripetere che un suo grande merito mu-si-ca-le è aver portato il maggior numero di finalisti all’interno delle varie edizioni di “X Factor”, come lui continua a fare nelle interviste? Può esserlo dare le chiavi ad un artista, appunto il suddetto, che ormai da oltre un decennio è più televisione che musica, che lui lo voglia o meno, che lui se ne renda conto o meno?
Vogliamo bene a Morgan. È uno che di musica capisce davvero, la suona sul serio, ha amore, ha passione, e che tempo fa da solo o coi Bluvertigo ha scritto anche storie importanti. Non è un miracolato, non è un improvvisato. In più, è anche una persona con cui può essere molto piacevole confrontarsi, quando è in buona, quando rispetta l’interlocutore, quando è lucido. Ma da molto tempo è prigioniero del luogo comune di se stesso, purtroppo, e ci abita bene. La cosa lo sta mangiando. E no, non è una questione di droghe e scandali, vaffanculo ‘ste cazzate morbose da gossip.
Questo essere prigioniero di se stesso non gli impedisce di poter essere talora brillante, intrattenitore, gradevole, anche acuto. Ma una cosa però gliela impedisce, sì che gliela impedisce: quella di essere artisticamente “vivo” ed attuale come è stato negli inizi della carriera, come potrebbe essere in teoria ancora adesso. Non ci vuole un cazzo a saperne di musica più di Simona Ventura o Ambra Angiolini: ma riuscirci mica basta, mica significa che tu per forza sia diventato l’Oracolo e che le tue consolidate passioni originarie, soggettive e pure datate, siano una Verità Assoluta e la Genialità Totale.
Un programma di musica – intendiamo: un programma che sia davvero di musica e dedicato alla musica – già non dovrebbe celebrare un musicista solo per la sua aura; la cosa infatti è sbagliata a prescindere, e vale anche per le serate Rai dedicate a Morandi, Zero, a chi volete voi: quella non è musica infatti, quella è televisione. “StraMorgan” è però per certi versi ancora peggio: perché non celebra Morgan, no, celebra di Morgan l’immaginetta bidimensionale e favore di rotocalco, di gossip, di “Sorrisi e Canzoni TV”, anche se lo fa fingendo di non farlo, fingendo – e magari sforzandosi di tanto in tanto anche sinceramente – di approfondire, di uscire dal meccanismo velenoso dello spettacolo pronto-uso. Ma la musica e il discorso sulla musica, beh, è un’altra cosa. Un tempo Marco Castoldi l’avrebbe saputo, capito e, soprattutto, sostenuto ad alta voce. Oggi, chissà.
Insomma, “StraMorgan” occasione persa, cara bolla: non spendiamoci troppo tempo. A meno che quello che interessi non sia il tasso di engagement di quel che scriviamo, delle cose che pubblichiamo, l’ansia insomma di cavalcare l’argomento-del-momento per poi bruciarlo in poco tempo: e sì, potete infilare pure questo articolo esattamente in questa cartella. Lo dichiariamo senza problemi. Chiediamo solo: ma Morgan, davvero ha bisogno di “questo” Morgan per tornare a manifestare i talenti che ha, o aveva? E nel nostro orizzonte di consumo culturale, cosa vogliamo davvero, cosa ci basta davvero?