È sempre interessante quando la gente legge i nostri articoli e non solo li commenta, ma li usa proprio nel costruire un discorso pubblico attorno ad un evento. Sono soddisfazioni. Lo ha fatto in maniera esplicita Alberto Fumagalli, il fondatore e CEO di Nameless, durante la partecipatissima conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2024: parafrasando e in parte contestando quanto da noi scritto il giorno prima (ma era, sia chiaro, una contestazione affettuosa e costruttiva), spiegava infatti come l’edizione di quest’anno invece che ambire ad essere “Il Nameless più grande di sempre” voleva essere, semmai, il “Il Nameless più bello di sempre”.
Abbiamo sorriso, sentendogli dire questa cosa. Uno perché ci faceva piacere avere sollevato comunque un tema (in sintesi: un evento diventato così grosso è in qualche maniera “condannato” a crescere, viste le condizioni e le dinamiche di mercato, diventando ogni volta “Il più grande di sempre”), due perché in realtà le due cose non erano alternative ed antitetiche. Insomma: una non escludeva l’altra. Nameless Festival, per alzare sempre il livello e mantenere il profilo di festival top e “potente”, era costretto a crescere in questo 2024 – e cresciuto in effetti era a livello di line up, di certo non dimagrito, ed anche a livello di strutture – ma questo non gli impediva anche di essere “Più bello”. E intendiamo nel senso più nobile del termine: più accogliente, più organizzato, più onesto, più rispettoso.
(Alberto Fumagalli, CEO di Nameless, davanti al Main Stage dell’edizione 2023; continua sotto)
La riprova sono stati i social. Pascolando fra i commenti di Instagram, davvero poche le critiche e i commenti negativi (…e per lo più pretestuosi o molto legati al gusto individuale, tipo quello che si lamenta della mancanza dell’artista X o del perché Y non abbia avuto uno slot da headliner). Considerando quanto internet sia un lamentodromo certificato, è un grande risultato.
D’altro canto parlano i fatti. I parcheggi ad esempio sono stati organizzati molto meglio, e resi gratuiti. Poi chiaro, c’è sempre chi si lamenta se deve camminare quindici, venti minuti dal parcheggio al festival, povero pargolo, ma questo qualcuno molto probabilmente non è mai stato ad un evento outdoor che raduna dieci, venti, trentamila persone, ed ha sicuramente delle conoscenze di organizzazione logistica pari a quelle che Matteo Salvini può avere dell’astrofisica. Qualche problema c’è stato solo per il Parcheggio VIP, ma questo per motivi morfologici: tanto per cambiare ha diluviato più volte, e il terreno preposto diventa fangoso. Stavolta la reattività dell’organizzazione è stata esemplare: parcheggio chiuso, macchine dirottate ad uno dei parcheggi “normali”.
Continuiamo: acqua. Gratis per tutti. Arrivavi con la tua borraccia, e avevi diversi punti di ricarica di acqua pura e fresca. A proposito del lamentodromo aka i commenti del web, si era sparsa questa convinzione che in tutti i festival dell’universo l’acqua fosse sempre gratis, mentre solo nell’avida ed incompetente Italia era venduta a prezzi da latrocinio (leggi 2 o 3 euro: che è quello che costa una bottiglietta d’acqua in Germania nei supermercati, o poco più). Beh, balle. L’acqua gratis, oltre a essere un potenziale rompicapo logistico (pensate che l’acqua corrente sgorghi dal cielo?), è comunque una cosa che si incontra raramente. Molto raramente. A Nameless si sono organizzati per farlo, dando così un reale contributo green (una cifra a cinque zeri di bottigliette di plastica in meno da movimentare e poi smaltire, non bruscolini) e perdendoci anche dei soldi.
Sommate queste due cose, e pensate a quanto mancato guadagno hanno generato. Avere il parcheggio gratis e l’acqua pure gratis non sono atti dovuti, sono semmai attenzioni e gesti non scontati nei confronti di chi al festival ci va e non vuole farsi tassare qualsiasi cosa faccia. Questo “triangolo dell’attenzione e del rispetto” è completato da un terzo vertice: il pagamento solo ed unicamente cashless, quindi via carta di credito o smartphone, munendosi perciò di un numero altissimo di POS nei vari punti vendita food&beverage. Vantaggi per l’utenza: niente rottura di scatole di token e di “Top Up” sulle card con annesse file, niente rimanenze di suddetti token o di crediti nelle card (che poi in teoria ti restituiscono, sì, ma nove volte su dieci non hai voglia di fare tutta la trafila per la restituzione quindi il festival si tiene il resto come mancia), file molto più veloci; e a proposito di file veloci i punti di somministrazione sono stati moltiplicati in tutta l’area del festival. Anche qui, fate voi i conti: più spese di attivazione, meno margine di guadagno finale. Ci si poteva rivalere aumentando a dismisura il prezzo dei drink, invece una birra a 6 euro e un cocktail a 10 sono, per un festival musicale, un prezzo assolutamente onesto.
(Il Main Stage di quest’anno, foto di Stefano Manzoni, e la “N” che vedete sullo sfondo non è un watermark, sono dei droni; continua sotto)
Lo ripetiamo: se non ve ne state accorgendo, stiamo elencando tutta una serie di misure che concorrono a rendere più bella l’esperienza festival per chi è presente e no, non sono a costo zero. Tutt’altro. Dire che si mette al centro il “benessere della clientela” non è qui solo una vuota formula che-suona-bene, ma una scelta ben precisa, con dei costi.
Infine c’è un ultimo punto. Ma forse è il più importante. Ovvero: i palchi, gli impianti.
In tutte e tre i giorni, la musica si è sentita benissimo. Ma proprio bene bene bene. E il Main Stage quest’anno era forse più “tradizionale” come impostazione rispetto a quello dell’anno scorso, ok, ma possiamo serenamente dire che è il palco più spettacolare mai montato ad un festival in Italia – punto. Impressionante, impressionante davvero. Versatile nell’adeguarsi agli show sia più ricercati (vedi Justice, ma ora ci torniamo) che quelli più “visuali” (Deadmau5) o bombastici (Hardwell, Dj Snake), risultando sempre qualcosa che più e più volte ti fa restare a bocca aperta, anche se di cose e di festival in giro per il mondo ne hai visti.
(Deadmau5 in azione, foto di Francesca Ricca; continua sotto)
Gli altri palchi erano evidentemente meno giganteschi e potenti, ma comunque erano molto d’effetto (bellissima la struttura “leggera” a più strati della Nameless Tent). Ad ogni modo: ovunque il suono era tanto potente quanto definito, per una esperienza d’audio di livello semplicemente eccellente. La migliore mai avuta in Italia, una delle migliori mai avute in generale. Alla faccia di chi dice che in Italia è impossibile avere degli eventi in cui la musica si sente bene-bene (…ed è vero: una caratteristica nazionale è spesso stata quella di lesinare sugli impianti, perché si sa, l’importante è vendere i biglietti e somministrare i drink, il resto va in secondo piano).
A proposito di palchi: uno era interamente gestito e soprattutto creato da Red Bull, l’Unforeseen, e per l’ennesima volta la lattina dei tori ha dimostrato di essere un passo avanti a livello di marketing. Un vero e proprio “stage montabile & smontabile” costruito per avere una resa audio di qualità (suoni proveniente da tutti i lati) e per creare una situazione più intima e raccolta anche in un giga-festival outdoor. Notevole. In generale però il salto di qualità, il festival cioè “più bello”, lo si è avuto anche con gli sponsor: i marchi c’erano, erano ben visibili, ciascuno però forniva una identità ed un valore aggiunto tangibile (Molinari con l’altalena di fronte alla Nameless Tent, la tenda che resta il vero “cuore” del festival e che da Molinari è stata “adottata”; JD con le sue attivazioni sempre partecipatissime; Garnier con la presenza importante nell’area del Live Stage; Ploom per la terrzza VIP; e questo giusto per citare solo i principali). Il rischio è sempre quello di arrivare ad essere ciò che il Primavera è diventato oggi: fra i mille pregi del festival in questione, c’è anche il difetto di essere diventato una sorta di centro commerciale a cielo aperto, con una presenza dei brand davvero ubiqua ed invasiva. D’altro canto non ne facciamo una critica eccessiva al festival catalano, visto che ormai i fee degli artisti sono talmente impazziti che, non ci fossero i brand, pur facendo sold out perderesti una barca di soldi. Perché sì, siamo arrivati a questo. Col sold out e solo con quello, senza contare i contare i guadagni accessori, vai in perdita. Gli artisti di punta dicono ai festival “Tanto accumulate un mare di soldi dagli sponsor, quindi noi di soldi per le nostre esibizioni ve ne chiediamo un sacco e una sporta”, i festival a questo ricatto devono sottostare, perché in fondo permane la convinzione – in buona parte corretta – che sono i nomi in line up a creare hype comunicazionale e a far vendere i biglietti, soprattutto quelli degli headliner. La dinamica è perversa.
La questione degli headliner ci porta a questo punto ad un altro snodo interessante di Nameless 2024. Come ha commentato un tizio su Instagram: “E sì che un tempo eravate un festival di elettronica”. Tutto questo solo perché c’era, fra i vari nomi sul Main Stage, anche Annalisa. Allora: premesso che chi scrive ha trovato lo show di Annalisa sciapo musicalmente (ma perché sciapa è la materia prima, cioè la musica) e manco così spettacolare a livello di coreografie (anzi…), una critica stile “Eh, un tempo eravate un festival di elettronica” per la sua presenza in line up è proprio fuori fuoco, perché proprio un appassionato di elettronica dovrebbe apprezzare tutti i nomi in programmazione per tre giorni sia alla Nameless Tent che al Red Bull Unforeseen, dove la qualità è sempre rimasta altissima (chicche comprese, vedi l’accoppiata Defected / Glitterbox, ottima soprattutto la seconda, e il primo giorno ottimamente drum’n’bass), oltre a non vedere che i veri headliner sul Main, quelli che chiudono la giornata, sono stati Justice, Deadmau5 (molto bravo a maturato: bel set), Hardwell, senza contare poi gemme come i sempre potenti Chase & Status o novità come i PARISI (gli italiani che sono il back up creativo di Fred Again). Insomma: sì, c’era Annalisa, c’era Angelina Mango (che ha spostato poco), c’era tutta la mandria dei trapper (meno tragica di due anni a livello di delivery live, ma la qualità e la tecnica restano sempre un terreno abbastanza inesplorato per il 90% di quella scena), e queste realtà “spurie” rispetto al DNA originario del festival saranno anche state lì per vendere più biglietti ed aumentare il bacino d’utenza del pubblico, indubbio, ma Nameless era e resta prima di tutto un festival di musica elettronica con un’anima, con una identità. Identità che è partita adagiata sull’onda EDM ma che ha saputo evolversi e cavalcarla ed indirizzarla, quest’onda, verso la qualità, verso un livello più alto e significativo, con un attento ed attivo lavoro di scelta.
(Annalisa e le coreografie, foto di Mattia Martegani; continua sotto)
Se infatti anni fa andavi a Nameless e sì, ti trovavi bene, ti divertivi, ma nel pomeriggio e un po’ anche la sera sentivi tanti dj set fotocopia uguali tra loro, con le stessa tracce e gli stessi trick, oggi la situazione è radicalmente diversa. Radicalmente diversa, e drasticamente migliorata.
Senza contare che proprio gli artisti-simbolo del festival, gente come EDMMARO (in doppia versione, la prima da “direttore d’orchestra”, la seconda da tamarro hard: sempre superbo) o Przi (da sempre nel team del festival, spesso sacrificato per compiti di produzione senza potersi esprimere bene come artista, mentre quest’anno ha presentato la sua nuova identità artistica a nome Padma San e dobbiamo dire che è stata di gran lunga una delle cose migliori del festival: bravissimo, nel fondere sapori UK, hard trance muscolare e verve intrattenitoria), dicevamo, proprio gli artisti-simbolo di Nameless sono stati un valore aggiunto fortissimo, includiamo nell’elenco anche Merk&Kremont che – sul Main – hanno fatto lo stesso pubblico di Annalisa e raccolto in realtà più ovazioni e partecipazione.
Senza nascondere nulla: tutto questo ben di dio, tutto questo mare di cose ed innovazioni positive, ha figliato nel primo giorno una affluenza di pubblico molto sotto le attese. Magari non si è capito abbastanza che il tour dei Justice – che ormai sono percepiti come un gruppo “vecchio”, da nostalgici, poco significativo – è una delle cose più belle viste negli ultimi anni, con un ammirevole equilibrio di potenza ed eleganza: quel set da solo sarebbe valso il prezzo non solo del biglietto per la giornata, ma dell’intero abbonamento al festival. E visto che piove sul bagnato (letteralmente!), le condizioni meteo dei primi due giorni hanno tenuto lontano anche gli indecisi dell’ultimo minuti, che avrebbero potuto rimpolpare le presenze. Il secondo giorno, il sabato, l’affluenza era già a livelli più che soddisfacenti; la domenica c’è stata una folla oceanica. Come mai? Effetto-Annalisa, visto che la domenica il nome mediatico e “crossover” era lei? All’inizio lo pensavamo, ma appunto vedendo poi che la gente era più infoiata con Merk&Kremont che con lei, per non parlare di Hardwell e Dj Snake che hanno chiuso la terza giornata al Main in un tripudio generalizzato di fronte ad una folla oceanica, questo “effetto” lo abbiamo parecchio derubricato in quanto a fattore in grado di spostare equilibri e paganti.
Nameless resta un’anomalia. Resta un festival che fa numeri sempre più giganti basandosi ancora oggi, come core, su una scena dance che nel clubbing italiano esiste in modo marginalissimo rispetto alla consolidate techno e house. Resta (ed è anzi sempre più) un festival che mette una cura e un’originalità nella costruzione dei palchi che in Italia semplicemente non si vede. Resta un festival che funziona nel dietro le quinte, con una bella saldatura fra giovani professionisti e navigati draghi del settore. Resta un festival dove il CEO ha un rapporto molto diretto col suo pubblico, come se si fosse ancora alla prima edizione “fatta in famiglia”, ed il senso di “famiglia” continua ad essere palpabile anche ora che numeri e dimensioni sono impressionanti. Resta un festival che con le grandi agenzie ci deve dialogare (gli headliner arrivanio da lì, i sub-headliner quasi sempre anche), ma è talmente atipico come linea artistica che non ne è completamente schiavo, e sono davvero in pochi oggi a poter dire altrettanto.
L’avidità delle agenzie e dei management (e la paraculaggine degli artisti, che fa finta di non vedere nulla), entità che si comportano come se il mercato potesse crescere a dismisura soddisfacendo sempre&comunque i loro appetiti grevi e crescenti) porterà tra non molto a un crollo: già quest’anno infatti il mercato della musica live e dei festival mostra chiari segni di contrazione, altro che crescita infinita, e molti si bruceranno col fuoco. Il 2024 sarà un anno pesante. Le presenze sotto le attese nel Nameless più bello / più grande di sempre della prima giornata sono state un segnale. Ad altri andrà ancora molto peggio (…quante svendite sotto costo di biglietti stiamo già vedendo in giro?). Il festival brianzolo si è ripreso nel secondo giorno e ha letteralmente trionfato nel terzo, come numeri. Ma al di là di quelli, ha offerto una esperienza di alto, altissimo livello; e per farlo, si è messo le mani in tasca. Fatti, non parole. Senza tirarsi indietro. In quanti altri lo faranno? In quanti altri penseranno sia giusto, intelligente, rispettoso farlo?