Poter avvicinare una creatura sfuggente e riservata come Daniele Mana è una gran fortuna. Una fortuna perché quelli come lui, una volta calata la maschera dell’impenetrabilità, dell’oscurità come canone espressivo, aprono le porte di un mondo magnifico, vasto, eterogeneo. Una fortuna – lo diciamo ancora – che non è riservata a pochi confidenti ma, potenzialmente, a tutti. Se da un lato Daniele ha di recente scoperto la sublime libertà che si cela dietro l’abitudine di rivelare le cose più intime di sé a persone totalmente sconosciute, dall’altro ha fatto davvero tanto di più. Ha messo a nudo di fronte al mondo i suoi pensieri più radicati, i sentimenti viscerali e le emozioni più intime e profonde nel suo lavoro più bello e maturo, sincero e coinvolgente: “Creature”, uscito venerdì per Hyperdub Records.
Otto brani dipingono quella che Daniele chiama “la fotografia di un momento”, un momento prezioso di presa di coscienza, di abbandono. Lasciando che il flusso scorresse a briglie sciolte, dopo aver riposto le vesti di Vaghe Stelle, Mana ci racconta di aver ripreso le redini della sua arte e di come abbia ritrovato se stesso. Ha voglia di raccontare le cose belle che ha dentro di sé, nella loro totalità, senza filtri e senza correzioni, attraverso la musica ma anche a parole. Nell’intervista che leggerete, in particolare, lo ha fatto via chat.
Ho fatto partire “Creature”, per entrare nel mood. Si avvicina il giorno della release, sei felice?
La vivo tra la felicità e il terrore. Sono molto felice e orgoglioso del disco, ma temo anche il momento in cui riceverò le prime critiche e recensioni. È un disco molto intimo e c’è tanto dell’ultimo me stesso dentro.
Cosa non vedi l’ora di leggere, riguardo a questo disco? E di cosa invece hai più paura?
In un certo senso non vedo l’ora di aver paura. Non vedo l’ora di leggere le recensioni, che impatto e se avrà un impatto sul pubblico, i primi commenti, gli insulti. Lol.
Come dicevi tu stesso, in “Creature” ti sei spogliato degli abiti di Vaghe Stelle per metterti quelli di Mana o – meglio – per lasciarti a nudo. Non è la prima volta che un artista decide di usare diversi moniker per sentirsi libero di focalizzarsi su aspetti diversi delle proprie riflessioni, che spesso vertono sulla ricerca dell’io, o per portarle avanti da punti di vista differenti. Cosa può fare Mana che Vaghe Stelle non si sentiva libero di fare?
È un ottima domanda. Prima di tutto Mana non ha nessuna maschera addosso, mi sono sentito libero di usare le melodie in modo più esplicito, un po’ come se con Vaghe avessi finito i mezzi per comunicare, no? Avevo bisogno di uscire da un personaggio “inventato” e rientrare in me stesso, per trovare il giusto equilibrio ed essere del tutto onesto.
Quindi c’è stato un momento in cui hai pensato che Vaghe Stelle avesse intrapreso un vicolo cieco…
Certo, immediatamente dopo l’uscita di “Full Stream Ahead”. Ho riascoltato il disco è mi son detto: “qua è tutto sbagliato, non sono più io e non è quello che ho bisogno di fare in questo momento”. Sono cosciente che il suono non sia cambiato totalmente, perché alla fine sono sempre io, ma ho raggiunto un altro stato di consapevolezza.
Quello era comunque un bel disco. Diciamo che, se di passo falso si può parlare, è una tua opinione personale, che riguarda il tuo percorso. Pensi che chi ascolta si sia accorto di qualcosa?
Credo che “Full Stream Ahead” sia confuso quindi sì, penso di sì. Penso di non aver parlato all’ascoltatore in modo diretto. Tu? Lo hai percepito ?
Io credo che ad un certo momento tu sia stato “schiacciato” dal ruolo che ti sei imposto. Pensi di esserti impigliato in troppo “intellettualismo”? Cioè, si può dire che Vaghe Stelle fosse diventato troppo freddo?
Penso di aver perso il filo del discorso. Ho cominciato a riflettere troppo su concetti e a cercare di trovare scuse per fare musica, mentre è sempre stato un processo naturale per me, molto intimo e in un certo senso catartico. Un bisogno.
Se pensi a “Abstract Speed And Sound”, o all’ultimo disco, sono partito da lavori di altre persone per trovare l’ispirazione o una storia da raccontare, ma forse la storia più interessante da raccontare è proprio quello che sono/siamo: creature. Quindi Mana, il mio cognome, è stato il primo passo per accettare quello che sono e come penso e per trasporlo in emozioni.
Infatti la prima cosa che ho pensato ascoltando “Creature” è che emerge dal disco un lato di te particolarmente intimo, romantico e teatrale. È un disco struggente, in cui appare un vasto spettro di emozioni umane, rappresentate molto bene dall’alternanza tra spazi statici e solenni e momenti di dinamismo acceleratissimo…
Restless.
Cioè?
Mmm… hai presente un temporale? Di quelli improvvisi d’estate. Vento, nuvole, fulmini, pioggia e poi di nuovo sole. Poi di nuovo devi correre sotto un balcone.
Sei sempre stato così irrequieto? A prima vista non si direbbe…
Sono una persona molto privata. E ho la fissa delle tempeste da qualche mese.
Dicevi prima che ti sei spesso ispirato ad altri in passato, infatti molto spesso dietro ai tuoi lavori c’è un parco immagini ben definito, o comunque un riferimento esplicito. Le tracce per “A Great Symphony” sono dedicate a luoghi specifici di Torino, “Glasstress” è un’opera che nasce e cresce in una fornace di Murano, “Abstract Speed & Sound” si rifà all’avanguardia futurista. Qual’è la visione dietro “Creature”?
“Creature” sono io, sono io che apro la diga della mia personalità e mi lascio andare, senza la paura di sembrare un freak o strambo, perché alla fine un po’ lo sono, come tutti. Immagina un bicchiere pieno d’acqua con un tappo, l’acqua schiacciata non riesce ad uscire e quello rappresenta un po’ il mio stato di irrequietudine interiore. Con “Creature” ho aperto il tappo e fatto uscire l’acqua, lentamente.
Come sei arrivato a questa consapevolezza di te? Cosa ti bloccava prima?
Parlare con le persone che mi sono vicine aiuta, è un costante confronto con quello che faccio e quello che sono. Cosa mi bloccava prima? Me stesso. Direi che dipende tutto da noi e la musica è solo un riflesso di quello che vogliamo vedere e far vedere.
In effetti…
Verità spicciole, lol.
È palese come tu sia maturato tantissimo da “Abstract Speed & Sound” ad oggi. E sì, parlare aiuta. C’è qualcuno in particolare che ti fa da specchio? Che ha il coraggio di dirti qualsiasi cosa? Avevo già un po’ ragionato su questa cosa e mi chiedevo se, visto che per “Glasstress” hai lavorato insieme a Max Casacci, una mente raffinata con un bagaglio di cultura ed esperienza notevole, ti fossi portato dietro qualcuno dei suoi insegnamenti.
“Glasstress” lo abbiamo fatto quando avevo 25 anni, ora ne ho 33. Tutte le persone e i musicisti con cui lavoro mi lasciano qualcosa ma “Glasstress” l’ho fatto nello stesso periodo in cui ha fatto i primi ep di Vaghe nel 2010.
È già passato così tanto tempo? Ne ho perso la cognizione.
Sì, ma è uscito l’anno scorso. “Abstract Speed + Sound” l’ho fatto due anni fa. “Creature” è stato un percorso iniziato nel luglio scorso e finito a marzo. Ovvio che mi porto dietro tutti gli insegnamenti di Max, quelli di Lorenzo (Senni, N.d.A.) e Francesco (Fantini, N.d.A.) di One Circle e di altri musicisti con cui mi capita di confrontarmi quotidianamente. Ma la differenza è stata l’ organizzare i miei pensieri ed emozioni in modo da creare un dialogo vero, aprire una finestra al mondo.
Qualcuno di loro ti ha mai detto che era ora di intraprendere un altro percorso? Che è quello che hai fatto per “Creature”…
Mai esplicitamente. C’è una persona in particolare a cui devo molto, con cui mi sono confrontato costantemente durante il processo di creazione del disco. Le devo molto. È la stessa che mi ha chiamato per la prima volta “creature”.
Daniele si è innamorato.
Vivo per l’amore. Vivo per amare, non vivrei senza l’amore.
Ho messo su il disco anche io, ché non mi ricordavo più come era.
Il disco è bellissimo. Sto sentendo “RUNNINGMAN” e ti devo chiedere a bruciapelo: ti fai remore a buttar dentro beat hardcore?
Non mi faccio remore se mi piace.
Ora che lo stai riascoltando, ti viene voglia di rimetterci mano? O hai raggiunto l’apice del “basta, va bene così”?
Chiaro che vorrei, ma è giusto così. È la foto di un momento.
Oggi sei già lontano da quel momento?
No, vivo le stesse cose. Forse sono più irrequieto ora, anche se sto facendo musica davvero eterea ultimamente.
Cioè stai già facendo altra musica…
Beh sì, non mi posso fermare.
Che fine farà Vaghe Stelle? “Creature” è il suo funerale?
Non è un funerale ma un rito di passaggio. Vaghe Stelle è sempre li, non ha piani per il futuro, è andato in vacanza.
Per alcuni lo è anche un funerale, un rito di passaggio. Comunque, nonostante io sia convinta che “Creature” sia di gran lunga il tuo lavoro più bello, mi dispiacerebbe non dover parlare più di Vaghe Stelle.
Sono molto affezionato al nome Vaghe Stelle.
Lo siamo in tanti. Te lo assicuro.
Al momento non ci penso neanche, magari farò una reunion un giorno.
Tipo me, myself and I.
Esatto. Mana e Vaghe Stelle are back together.
Dicevi che sei più irrequieto prima di ora. E io che pensavo fossi un tipo zen, o comunque uno legato alle filosofie orientali e ascoltando “Creature” mi sono anche data ragione. Ci ho sentito melodie orientali se non addirittura l’andamento del teatro kabuki. Tu hai ascoltato parecchia musica giapponese, o sbaglio?
Non saprei dirti, sono molto istintivo quando faccio musica. Ho ascoltato molta musica giapponese ma non mentre facevo “Creature”. Piuttosto, ho ascoltato tanta musica da camera, classica contemporanea, piano solo, 808s and “Heartbreak” di Kanye.
Come fanno Kanye e Frank Ocean (messo tra i riferimenti nel tuo press kit) a trasformarsi nella tua musica? Questa è una cosa che non mi dà pace…
Perché sono un tritatutto. (A questo punto mi invia lo screenshot di quello che penso essere il suo Spotify)
Vedo “Empty” di Janet Jackson, che è uno degli amori della mia vita. “The Velvet Rope” è il primo disco che ho avuto. Riesci a descrivere il meccanismo con cui triti tutto? Magari prendi ad esempio una canzone significativa.
Sì, generalmente mi ossessiono con un pezzo o due e li ascolto per settimane. Per esempio “Consolation No 3” di Liszt: sono partito da lì con il disco. Volevo scrivere un lento per piano, poi ho fatto “Consolations” e “Crystalline”. Ho ridotto all’osso qualcosa che ho sentito nel pezzo, che non esiste ma l’ho sentito. Oppure Frank Ocean, “Seigfried”: da lì ho fatto “Fade”. “Rabbia” è rabbia, un flusso di coscienza che non ho voluto editare o cambiare troppo. “Running Man” l’ho fatto ascoltando per una settimana Ligeti. Non so spiegarti cosa succeda di preciso.
Nel comunicato stampa si legge, tra le altre cose, che per questo lavoro ti sono stati di grande ispirazione i Drexciya. James Stinson moriva proprio quindici anni fa. Lui dichiarò che il suo lavoro da camionista “lo aiutava a pensare, intensificava la profondità dei suoi pensieri mentre s’immaginava circondato dall’oceano”. Per te qual è il miglior momento di riflessione, cosa fai per scavare il più a fondo possibile nei tuoi pensieri oltre ad immergerti nei tuoi ascolti, come hai appena raccontato?
Passo molto tempo davanti al computer per lavoro, ma anche perché alla fine mi piace. Di notte passo molto tempo sul balcone, o fuori dalla finestra se non ho un balcone, ma le riflessioni succedono mentre cammino da un punto A a un punto B. Cammino molto, aiuta a pensare. Corro e faccio sport, anche quello aiuta. Il lavoro meccanico del corpo fa volare alto. Ma anche uscire la sera, andare agli show, parlare con gli estranei di cose molto private. Mi piace tanto farlo, soprattutto se non li ho mai visti e non li rivedrò mai più. Ecco, una cosa che mi ha aiutato nel processo del disco è stato aprirmi con le persone, parlare di più e con tutti.
Alla fine dei conti quindi con questo disco pensi di esserti avvicinato a chi ti ascolta. I critici lo definirebbero un disco di apertura. Sono sicura che anche chi ascolta se ne accorgerà.
Sì, lo è.
Il pubblico di Mana sarà lo stesso di Vaghe Stelle? Hai delle aspettative o non ci hai ancora ragionato?
Ci ho ragionato eccome! Probabilmente sì. Ci vorrà un po’ di tempo a far capire la cosa, ma mi aspetto anche di ampliare il pubblico, di renderlo più eterogeneo magari.
Mana al Sónar?
Mana nello spazio.
Mana in tutti i luoghi. E Mana in Hyperdub. Chi ha fatto il primo passo? Tu avevi già lavorato con Kode9 per “A Great Symphony”…
Mandai un demo a Steve (Goodman, N.d.A.) qualche tempo fa. Il primo passo l’ho fatto io, perché volevo che il disco uscisse su Hyperdub. Rispetto il loro lavoro da sempre, hanno sempre avuto una visione di insieme notevolmente avanguardistica, ma mai troppo intellettuale. Sì, è un’etichetta con dei contenuti molto forti e intellettualmente molto sviluppati, ma non sono mai stati freddi e pretenziosi.
È parte della storia della musica elettronica degli ultimi dieci anni, non posso che essere onorato di farne parte.
“Creature” suona Hyperdub, anche se mi rendo conto che detta così vuol dire tutto e niente. Una volta mi hai detto che segui la scena inglese da sempre, soprattutto quella D’n’B, ma ai suoni di Hyperdub come sei arrivato? Te ne sei accorto finita la demo che quella era l’etichetta?
Non credo che suoni Hyperdub, ma credo che sia perfetto per l’etichetta. Se senti le ultime tre release sono molto diverse l’una dall’altra. Sono personali, ma io ci vedo il tocco di un curatore con un senso estetico notevole.
Il fermento culturale e artistico di San Salvario, con la sua natura multietnica, ti ha avvicinato in qualche modo alla mentalità londinese, che poi è proprio quella di Hyperdub?
Può darsi, sicuramente Hyperdub ha un elemento urban molto forte e io son cresciuto in città, per strada, da Gagno e poi in varie zone della città. Sicuramente la comunità nord africana di Torino mi ha influenzato, la musica che sento per strada o anche il clima del quartiere, tutto mi ha influenzato. Poi il disco l’ho fatto un po’ in giro.
Dove?
Tra Torino, Montreal e Tallin.
Daniele Mana nel tempo libero cosa fa, a parte viziare Saponetta, la tua bull terrier, fare sport, parlare agli sconosciuti?
Esco la sera, vado agli show, ascolto musica, guardo Seinfeld, leggo, faccio sport tutti i giorni.
Per smaltire i marron glacé? Se non ricordo male ti piacciono…
Che buoni.
Ma ti faranno conoscere Burial?
Lo spero.