Machweo è uno di quei musicisti che ci piacciono perché ci ha abituati a non sapere mai cosa aspettarci da lui e, al tempo stesso, ci ha abituati ad aspettarci tanta qualità e un sacco di contenuto. Già quattro anni fa, nella sua prima intervista per noi, ci aveva dimostrato di avere le idee molto chiare e soprattutto di avere un mondo intero di cose da dire dentro di sé e una grande capacità di raccontarlo e raccontarsi, sia a parole che in musica: la lunga chiacchierata che abbiamo fatto con lui di recente, in occasione del suo nuovo album, “Primitive Music”, uscito la settimana scorsa, non fa altro che confermare la nostra idea. Giorgio è una persona estremamente curiosa, con una gran voglia di imparare, scoprire, studiare, e con un entusiasmo coinvolgente nel condividere le proprie esperienze. Ci siamo divertiti molto, quindi, a parlare con lui, e abbiamo imparato molto, e questo secondo noi è il massimo che si può chiedere a un musicista: saper unire divertimento e istruzione.
Dato che in questo periodo sei impegnato con la promozione dell’album e immagino incontrerai un sacco di gente che chiede di parlare della sua storia e di com’è nato, cambiamo un po’, iniziamo dalla fine: come stanno andando questi giorni?
Sta andando da dio! Credo che questo sia il momento in cui mi sto togliendo in assoluto più soddisfazioni professionali da quando ho iniziato. Il progetto Machweo ha avuto un po’ di fasi, tra cui un picco è stato sicuramente l’uscita di “Tramonto”, il singolo dell’album precedente, e credo che questo sia un nuovo picco che sta andando anche esageratamente oltre le aspettative. Ero un po’ in paranoia rispetto all’uscita di questo disco perché è un disco non semplicissimo da ascoltare e molto diverso, per la terza volta, da quello che avevo fatto in precedenza, e invece finora sta andando meglio di qualunque altra cosa abbia fatto uscire, il che mi rende veramente orgoglioso di quello che ho fatto.
E tutto questo, immagino, fa parte del ciclo naturale di vita di un disco, non è che un disco è soltanto il lavoro che hai fatto prima dell’uscita, poi il disco esce e ok, hai finito, è come se poi il disco fosse in un certo senso un organismo vivente che tu continui a seguire.
Assolutamente sì, innanzitutto tieni conto che un disco è comunque un lavoro di anni e dopo che esce sei comunque un po’ preoccupato perché vorresti che la gente riuscisse ad ascoltarlo nel modo migliore, o perché hai comunque il dubbio se possa piacere o meno, però devo dire che finora sto ricevendo segnali positivi. Poi io in realtà non cerco l’approvazione a tutti i costi, anzi, altrimenti non avrei fatto un disco così, però ero comunque preoccupato di come potesse essere recepito.
Anche perché effettivamente è un disco, come è capitato anche altre volte con dei dischi tuoi, che va ascoltato diverse volte e con attenzione prima di riuscire a entrarci in contatto. È una cosa che fai intenzionalmente, o semplicemente viene da sé?
Viene assolutamente da sé, e rispetto al modo e ai ritmi di fruizione della musica che tutti abbiamo oggi, che è ovviamente legato a Internet, non è sempre un bene che un disco abbia bisogno di diversi ascolti.
Però sai, ci sono molti musicisti che ti rendi conto che cercano proprio l’accessibilità, mentre tu non dico che fai il contrario, ma la sensazione che ho avuto ascoltando il disco è che tu un po’ dicessi “io faccio questa musica, funziona bene se hai voglia di fare lo sforzo necessario per entrarci in contatto”
È andata esattamente così, infatti.
Tra l’altro immagino che il fatto che tu stia studiando al conservatorio abbia avuto un impatto non banale su questo disco.
Certo, poi quello che studio in conservatorio è abbastanza diverso dal disco, però il conservatorio mi ha aiutato molto a creare la forma mentale adatta per avere ascolti più diversificati possibili e non aver paura di essere radicale. In questo il conservatorio mi ha dato una mano gigante, mi ha dato del coraggio in più nel fare quello che poi ho fatto.
Una cosa che mi ha colpito tantissimo del disco, poi, è la storia che c’è dietro alla sua produzione: ho letto che l’avete registrato tutto assieme in una take unica per poi riregistrarlo diverse volte e lavorarci sopra e concludere, in definitiva, che la take giusta era la primissima, mi racconti com’è andata?
Il disco è basato su uno schema di improvvisazione che dura quarantacinque minuti, dopo qualche prova abbiamo registrato la prima take, che è quella che si sente adesso nel disco, però poi abbiamo passato l’estate rinchiusi in uno scantinato, in particolare tre giorni consecutivi in cui non siamo mai usciti, per cercare di tirare fuori meglio la storia che volevamo raccontare, e alla fine ci siamo arresi. Abbiamo provato microfoni migliori perché è vero che il suono che poi è finito sul disco è sicuramente un suono caratterizzante ma non è di qualità altissima, dato che l’abbiamo registrato con gli strumenti che avevamo sottomano, in una situazione totalmente do-it-yourself, e la postproduzione sui suoni e il mix sono stati piuttosto corposi, per cui ho voluto provare a riregistrare con microfoni migliori, strumentazione migliore, “col senno di poi”, in sostanza, ma non andava bene. Suonava meglio ma non era figo così.
Il che poi credo si ricolleghi anche molto al titolo del disco che mi fa pensare a qualcosa di molto istintivo, di spontaneo.
Bravissimo! “Primitive Music” significa esattamente quello: istintività e ritualità, era proprio questo che avevo in mente per questo disco e il concetto, la musica, l’artwork e tutto il resto erano già chiari nella mia testa fin dall’inizio.
Però in un certo senso ci vedo una sorta di dualismo, nel senso che tu in quanto studente del conservatorio sei sicuramente una persona molto più istruita musicalmente della media, hai un background musicale molto ampio e molto profondo, eppure ricerchi la spontaneità e l’istintività.
È esattamente quello che succede, sai, è anche un po’ un modo per andare oltre quello che studio, credo sia fondamentale cercare di superarsi sempre un po’ ed è anche per questo che ho esplicitamente e intenzionalmente cercato di fare in modo che il disco suonasse istintivo e lontano da ogni tipo di intellettualismo.
Che detta così è una cosa interessantissima, perché invece immagino che al conservatorio tu entri spesso in contatto con un sacco di sovrastruttura.
Certo, e io stesso nei dischi precedenti mi sono imposto delle sovrastrutture, però arrivi a un certo punto in cui per un disco così, come ce l’avevo in mente e come volevo che suonasse, le sovrastrutture sono proprio deleterie, non solo inutili, quindi è stata una decisione conscia e intenzionale quella di evitarle.
Il discorso sull’istintività, sull’improvvisazione e sulla storia del disco mi fa pensare che sia un disco che si presta bene a essere trasposto dal vivo, poi.
Sono preoccupatissimo della dimensione live! Come non siamo mai più riusciti a ritrovare quell’energia e quel suono che avevamo nella prima take del disco nelle altre registrazioni, sono preoccupato che non riusciremo a ritrovarla dal vivo, però è comunque vero che questo è un disco live, sarebbe sbagliato non portarlo in giro: si tratta solo di trovare il coraggio di rimettersi di nuovo in sala prove, starci all’infinito e poi salire sul palco.
E poi immagino, da quello che mi hai raccontato, che probabilmente andrà a finire che almeno le prime volte appena sceso dal palco sarai megaincazzato e insoddisfatto di com’è andata.
Sono sempre megaincazzato dopo un live, sono sempre molto critico con me stesso. In ogni caso non credo che faremo centinaia di date, non credo nemmeno che arriveremo a cento, quindi saranno date abbastanza mirate, tutte in un contesto che richiede una certa professionalità e io farò di tutto per arrivare alla prima data con un risultato che sia innanzitutto accettabile per me, ma che ci consenta anche almeno di non prenderci le pietre dal pubblico.
Vedo di nuovo il dualismo di prima qui: mi dici che vuoi arrivare preparato, ma come si fa a prepararsi a essere istintivi?
Questa è una delle grandi domande su cui anche l’accademia si dilunga da anni: serve della preparazione per fare improvvisazione? Tantissima! Del free jazz, ad esempio, si dice che fosse quella musica che poteva suonare chiunque proprio perché era improvvisata…cazzate! Ok, è nato così e molti musicisti free jazz non sanno suonare, e la dichiarano esplicitamente, la propria intenzione di andare contro alcune regole, ma fare improvvisazione è tutta un’altra storia, io la studio da tre anni e ancora non mi sento per niente pronto, i miei maestri stessi continuano a studiarla e a porsi domande, non è una cosa che la impari una volta e hai finito, anche perché occhio, improvvisare non vuol dire assolutamente suonare a caso, anzi, si tratta di avere una struttura e mettere in pratica delle idee in maniera istantanea e istintiva.
Immagino anche che sia qualcosa che richiede un altissimo grado di sintonia tra tutte le persone che suonano assieme, poi.
Più ancora di così, serve un certo grado di affinità artistica, perché ad esempio magari un turnista in studio non suona esattamente come vuoi tu ma nel contesto di una registrazione in studio lo puoi istruire, gli puoi dire come vorresti che suonasse, durante un’improvvisazione invece non è che puoi fermare tutto e dire “no, qui vorrei che suonassi così”.
È una cosa che richiede anche una bravura particolare, quindi, perché devi essere bravo nello spazio di un’improvvisazione e senza magari poter comunicare più di tanto con le altre persone che suonano con te a riuscire ad avvicinarti al loro stile.
Sì, devo dire che poi io in realtà mi sono comportato un po’ da despota in sala di registrazione, però ammetto che i ragazzi che hanno suonato con me, che sono dei miei amici, hanno avuto delle idee molto buone che poi abbiamo deciso di mettere nel disco.
Beh un po’ tutto sommato ci sta, che tu abbia fatto il despota, un po’ perché è un disco che in definitiva esce a nome tuo e un po’ perché ok, un disco è un lavoro collettivo, però trovo sensato che ci sia una testa sola che prende le decisioni in definitiva.
L’idea era proprio quella di portare il mio progetto, Machweo, a suonare con una band, che poi oltretutto è anche un concetto un po’ difficile da far capire a chi suona con te e magari non ha mai avuto esperienze con qualcosa del genere, anche perché ci tengo a dire che le persone che hanno suonato con me sul disco non sono per niente dei turnisti, ma sono degli amici che, appunto, hanno suonato con me e hanno dato un gran contributo attivo, anche se poi, è vero, le decisioni definitive le ho prese io.
Credo che per suonare insieme in questo modo sia anche d’aiuto, avere un rapporto d’amicizia, no?
Certo, tieni conto che del chitarrista ero già molto amico prima del disco, mentre il sassofonista e il batterista li ho scelti tra le persone del conservatorio che erano molto brave a suonare e solo dopo sono diventati amici, che poi è anche una delle cose belle della musica, che ti fa fare un botto di amicizie!
Tra l’altro questa cosa di fare musica elettronica, o di ispirazione elettronica, ma suonata andando sul palco con una band è qualcosa di relativamente recente e che, anche se tu mi hai detto che è difficile da far capire, ultimamente sta funzionando molto bene.
Ma funziona bene, per esempio, per Floating Points o Caribou che si sono messi a fare il live con la band quando era già molto chiaro chi fossero.
Beh ma non vale lo stesso anche per te? Anche tu hai fatto un disco con una band ma alle spalle avevi già un percorso molto chiaro, anche se variegato, delineato dai tuoi dischi precedenti.
Sai, però in fondo quello che mi interessa non è tanto che la gente dica “ok, si sente che questo disco è lui”, mi interessa che sia il disco ad avere una sua identità.
A proposito di identità e del tuo percorso precedente, questo disco, me l’hai detto tu stesso prima, è enormemente diverso dal precedente che a sua volta era enormemente diverso dal precedente, per cui a questo punto devo farti una domanda stronza: è perché ti piace variare, oppure non hai ancora trovato la tua strada e le stai provando un po’ tutte?
Banalmente, è perché anche se adesso mi ci sento più vicino, mi sento ancora lontano dal poter dire “ok, io musicalmente, artisticamente, sono questa persona qui”. Ascolto tantissima musica, e non solo con la musica ma con tutto mi appassiono alle cose in modo viscerale in pochissimo tempo. A questo punto potresti chiedermi se il prossimo disco sarà diverso ancora, ma io credo che in realtà questo disco sia un ottimo punto di partenza per dire che sì, sicuramente sarà diverso, ma non credo che cambierò genere drasticamente una terza volta. Non che ci sia niente di male, poi, a cambiare genere tre volte, a meno che tu non sia un brand tipo, che ne so, i Daft Punk, e ti metti a fare folk – ok, i Daft Punk da “Discovery” a “Random Access Memories” hanno comunque cambiato un po’, ma c’è davvero la stessa distanza tra quei due dischi e tra “Musica Da Festa” e “Primitive Music”? Direi di no. Se penso a musicisti che hanno cambiato radicalmente la propria musica…mi viene in mente Populous, in Italia, poi Holden…comunque tutte persone per cui tra un disco e l’altro passano anni, mentre dal mio disco precedente a questo c’è tutto sommato poco tempo.
Tra l’altro gli artisti che mi hai citato, e in generale tutti quelli a cui capita di cambiare così drasticamente, di solito sono grandi appassionati di musica, che ne ascoltano tonnellate e che quindi, ascoltando tante cose diverse tra di loro, poi hanno voglia di fare cose diverse tra loro e probabilmente ti stufi in fretta. Uno che viene in mente a me, che ha cambiato direzione in maniera colossale più volte, è Skream, che quando l’ho intervistato mi ha raccontato di aver iniziato lavorando in un negozio di dischi per cui era esposto praticamente a tutta la musica del mondo e che quindi sostanzialmente, a fare sempre le stesse cose si rompe le palle.
È una cosa che condivido tantissimo! Capisco che possa sembrare una mancanza d’identità, ma poi alla fine diciamocelo, un po’ sticazzi.
Ecco ma allora come funziona, quando stai facendo un disco in cui, ok, ti riconosci e senti che ti rappresenta, ma ci lavori comunque per mesi, magari anni? Ci sono dei momenti in cui dici “basta, ne ho le palle piene di sta roba” perché sei chiuso in studio da tre giorni e vorresti fare delle cose diverse? Come fai, quando sei una persona a cui piace variare così tanto, a decidere quando è il momento di chiudere un disco e concentrarti solo su quel suono lì finché non è finito?
Tieni conto che io sono molto istintivo nel suonare, il disco che mi ha richiesto più tempo non è durato più di due mesi di composizione e registrazione, per cui in un lasso di tempo così breve è difficile che ti annoi: succede, anche se per questo disco è successo molto meno ed è una cosa che mi fa ben sperare, ma mi è successo per tutti gli altri dischi, compresi gli EP, e i singoli di non poterne più ancora prima che uscissero. Appena finiti, quando non erano ancora usciti, io già non vedevo l’ora di fare dell’altro e per certi versi vivevo un po’ come una sofferenza l’idea di dover portare in tour della musica quando volevo già andare oltre. Con gli altri dischi, inoltre, una sensazione che ho sempre avuto è che ci fossero delle tracce più deboli di altre, come è normale che sia, ce n’erano un paio che mi piacevano tanto, ma magari due o tre che al momento dell’uscita del disco pensavo che tutto sommato col senno di poi mi sarei vergognato a far uscire, che mi dava un po’ fastidio che uscissero, e questa cosa contribuiva ulteriormente a darmi quella sensazione di rigetto nei confronti della mia musica e di voglia di andare oltre. “Primitive Music” invece nasce come una traccia unica, per cui è anche più difficile che ci siano parti di cui mi stanco.
La scelta di registrare un album come una traccia unica tra l’altro è una cosa che non si vede praticamente mai, soprattutto ultimamente, anche perché poi diciamocelo, la gente un album per intero non lo ascolta praticamente più, quindi è anche una scelta piuttosto drastica, tu fondamentalmente stai dicendo agli ascoltatori “il disco è così, se vuoi lo ascolti tutto dall’inizio alla fine, sono quarantacinque minuti”, non è un disco che immagino tu abbia pensato si possa ascoltare skippando da una traccia all’altra, o col random.
È esattamente così, sono anche un po’ intenzionalmente fuggito dall’idea di fare un disco di singoli, che è quello che avevo provato a fare con “Musica Da Festa”: avevo provato a dare a ogni traccia una dignità in modo che potesse stare in piedi anche da sola, mentre con questo disco di tutto questo discorso me ne sono fregato completamente.
Questo tra l’altro mi porta a chiederti com’è andato il rapporto con l’etichetta nuova, visto che in sostanza ti sei presentato con un disco radicalmente diverso dal modo che ha la gente oggi di fruire gli album.
Loro sono stati innanzitutto entusiasti dell’idea musicale, però in effetti erano un po’ spaventati, ho una loro mail in cui mi dicono esplicitamente “noi una cosa del genere non l’abbiamo mai sentita né fatta uscire, è tutto nuovo anche per noi”, però comunque il loro atteggiamento, e anche il mio, è stato “proviamoci”, per cui ci abbiamo provato insieme. Non è comunissimo che un’etichetta ti consenta di far uscire un lavoro così, in fondo il loro lavoro è vendere i dischi per cui loro devono sempre avere un occhio al mercato. Poi comunque io credo che si possa in ogni caso ascoltare il mio disco a singole tracce, però è vero come dici tu che le singole tracce acquistano valore se le ascolti nel contesto dell’album intero.
Allora adesso ti faccio un’altra domanda stronza: se il disco ha il suo massimo valore ascoltato dall’inizio alla fine nell’ordine in cui l’hai pensato tu, allora io vengo a sentirlo live e risento esattamente lo stesso disco dall’inizio alla fine e le cose succedono nello stesso ordine?
Le cose succedono più o meno nello stesso ordine, sì, però è qualcosa che resta sempre diverso da una volta all’altra, e devo dirti che questa è una cosa che mi spaventa un po’, perché si tratta sempre comunque di un’improvvisazione. È questa in un certo senso la “fregatura” di portare questo disco dal vivo, che la struttura rimane la stessa ma i pezzi cambiano di live in live.
Che è qualcosa che a me che sto nel pubblico dà un sacco di valore.
A me musicista invece dà un sacco d’ansia in più! In genere funziona che i tour ti vengono a noia perché tu quella musica impari a farla alla perfezione e porti in giro sempre la stessa roba, fai cinquanta date e la porti cinquanta volte uguale: con un disco così invece fai cinquanta date e cinquanta volte hai l’ansia della prima data.
Questa cosa però ti risolve il problema di cui parlavamo prima, perché un po’ ti impedisce che ti venga a noia.
Beh probabilmente a fine tour mi verrà a noia lo stesso, come è normale che sia.
Torniamo un attimo al discorso alla base dell’album, all’idea di musica primitiva e istintiva: io ti confesso che, per prepararmi l’intervista, ho fatto la persona diligente, l’ho ascoltato diverse volte con la massima attenzione, ho cercato tutte le informazioni che trovavo e, così facendo, l’ho apprezzato appieno, però ti chiedo: secondo te non è un po’ un rischio il fatto che per apprezzare al 100% il disco io debba cercare e sapere tutte queste cose?
Funziona così: se tu ascolti la musica e ti piace, se il disco ti arriva da solo, allora è buono. Tutto il contorno serve a darti un valore aggiunto, ma il disco deve stare in piedi da solo, deve funzionare anche se lo ascolti a caso, deve piacerti se sei in un negozio di dischi e hanno deciso di metterlo su. Tutto il resto con cui poi, se vuoi, approfondisci, è valore aggiunto, però secondo me la musica che ha bisogno per forza di una spiegazione per essere apprezzata è sbagliata. In ogni caso la mia intenzione non è quella di piacere alle masse, anzi, questo disco piace a dieci persone e già la cosa mi stupisce, figurati che aspettative avevo!
È strano, per certi versi, sentir dire una cosa del genere da uno che la musica la studia, quindi credo tu sia uno a cui piace andare oltre e approfondire.
Sì sì, sicuramente, ma sono anche cosciente che gli altri non sono tenuti a farlo, e sarebbe da stupidi pretendere che lo facessero. Sono uno che la musica la studia ma non sono un intellettuale nazi, se tu sei uno che la musica la fruisce dieci minuti al mese, amen!
Questa cosa un po’ si ricollega a una tua vecchia intervista che ho letto di recente in cui dici che ascolti tantissima musicadimmerda, intesa come musica senza sovrastrutture o senza particolare impegno intellettuale, che una certa fazione radical chic potrebbe disprezzare. Dato che ne ascolto un sacco anch’io, che musicadimmerda ti piace di recente?
Uh, un sacco! Ascolto tantissimo pop, sono un grandissimo fan, non sono certo uno che ti dice, mentendo, che in cuffia ascolta solo Terry Riley, ascolto tanto cloud rap, un sacco di indie da ragazzetto, attualmente mi piacciono un sacco di cantautori indie italiani, per dirtene uno Calcutta è uno che rischia di essere additato da alcuni come musica dozzinale ma in realtà io penso che abbia un talento nello scrivere che me lo fa associare ai grandi della musica italiana, mi piace un botto, e il fatto che io faccia questa musica non mi preclude assolutamente la possibilità di apprezzare quello che fa. Poi ok, non voglio parlarti di Radar Festival, ma per esempio Sophie e Yung Lean mi piacciono un sacco, sono un fan enorme del loro talento nel trovare melodie, e ancora, il fatto che io faccia la musica che faccio non mi impedisce di dirti che credo che la più grande popstar attuale sia Post Malone.
Ma allora, ti faccio una domanda un po’ da Marzullo, tu fai tanta musica diversa perché ascolti musica diversa, oppure ascolti tanta musica diversa perché sei uno a cui piace spaziare in musica?
Beh poi, adesso sembra che io sia chissà che intellettuale, ma il mio disco prima di questo era ispirato a Gigi D’Ag, come l’ispirazione principale di “Primitive Music” sono gli zimbelli dell’accademia, tipo, Sun Ra in conservatorio non lo studierai mai, però è uno che ha cambiato la musica. Moltissima della musica che ispira i miei dischi, per quanto possano sembrarti intellettuali, in realtà è musica che l’accademia considera musica spiccia.
Allora visto che abbiamo sdoganato le domande da Marzullo, chiudiamo con la domanda più da Marzullo di tutte: in questo periodo in cui fai promozione del disco e parli con un sacco di persone che ti fanno domande, c’è qualcosa di cui volevi parlare e che non ti ha ancora chiesto nessuno?
Ho parlato veramente di un sacco di roba di recente, in effetti, ma nessuno mi ha fatto domande tecniche sul disco, che ok magari è un argomento che non interessa a nessuno però ci tengo a dire che è un disco registrato con della strumentazione che non costa davvero niente, sintetizzatori, schede audio che non costano niente, strumenti magari rotti o da mettere a posto, ed è un aspetto che secondo me è interessante, anche perché poi abbiamo provato a registrarlo “meglio”, con la strumentazione giusta, e non aveva la stessa resa di quando l’abbiamo registrato in cantina e ho fatto io mixing e mastering. Forse avrei preferito suonasse meglio, e ci sono stato su tanto, ma quando l’abbiamo riregistrato con strumenti migliori, magari trovando degli espedienti per farlo suonare meglio o più forte, non aveva la stessa spinta, suonava semplicemente diverso.