Allora, i fatti. Prima di tutto leggetevi per bene quanto raccontato da CRLN in prima persona. E’ tutto preciso e particolareggiato.
Chiaro: è la sua versione. Ma ci sembra precisa, lucida, posata, inattaccabile (e conoscendo personalmente CRLN, non ne siamo per nulla sorpresi). Comunque: visto che nel momento in cui scriviamo ancora nulla è apparso sulla bacheca ufficiale di Gemitaiz su Facebook, la cosa migliore da fare è leggere l’ottimo pezzo di Mattia Barro su Rolling Stone, che approfondisce la questione e lo fa nel modo migliore: andando a contattare direttamente lui Gemitaiz. L’articolo leggetevelo per intero, merita, ma intanto ecco lo spoiler:
Contatto Gemitaiz: “Mi hanno detto dell’accaduto quando ho finito di suonare, nel backstage. Ovviamente mi dispiace per la ragazza. Purtroppo i giovani non si rendono conto. La maggior parte dei miei colleghi chiama le femmine troie o bitches, non credo ci sia molto da aggiungere.”. Quando gli chiedo se, a suo parere, l’artista ha il dovere di educare il proprio pubblico al rispetto, la risposta è “Si fa quel che si può”. Un po’ poco.
Altro pezzo da leggere, è quello di Giacomo Stefanini su Noisey. Pezzo che cita al suo interno un altro testo della stessa testata che deve finire nelle vostre letture: quello di Federico Sardo. Che ricorda, tra l’altro, come Gemitaiz era già finito nell’occhio del ciclone ma stavolta nel ruolo di “buono”: un suo post sull’argomento immigrazione, critico con le posizioni similsalviniane, aveva sollevato un vespaio, con reazioni sull’onda del “Pensa a fare il musicista”.
Mettete insieme queste letture: dicono tutto quello che c’è da dire e lo dicono benissimo. Spiegano per filo e per segno quanto sia deprimente ciò che è accaduto, quanto la scena rap e trap nel suo insieme (quindi artisti + pubblico, non solo artisti o solo pubblico) debba farsi due domande su che pubblico si stia coltivando, quanto comunque si debbano evitare banali semplificazioni o nostalgismi schematici e superficiali.
Perché il punto è: la musica fino a che punto può cambiare chi la ascolta? La musica fino a che punto può far scomparire gli imbecilli nel mondo? Sarà dura, che scompaiano; ci saranno periodi storici in cui saranno di più e altri in cui saranno di meno, ma sperare nella loro estinzione è arduo. Perché dovresti anche sperare che scompaia la solita, esecrabile “logica del branco” per cui anche persone che prese singolarmente hanno posizioni inappuntabili e civili, una volta nascosti nella folla e/o aizzati dal contesto tirano fuori il peggio di sé. L’artista donna bersagliata sul palco da cori beceri chi vi scrive l’ha visto accadere già più di vent’anni fa (Carmen Consoli, in provincia di Verona – che comunque ne venne fuori alla grande zittendo tutti), non è una novità del 2018 e non è una peculiarità della trap o del rap.
Però ci sono un paio di cose da dire. La prima l’ha già detta CRLN: “Rega’, fatecela – uscite dal Medioevo”. Il fatto che sia ancora normale che in Italia quando si vede una donna musicista su un palco, con davanti un pubblico diciamo “generalista”, partano coretti e ululati è tutto tranne che normale: è solo il segnale che in questa nazione si è ancora socialmente (e quindi mentalmente) ritardati, con dei seri problemi a rapportarsi con la diversità, fosse anche solo di genere. Ok, tu che leggi magari non lo sei, va bene: allora però vedi di fare in modo che, quando te lo vedi succedere accanto, tu possa esprimere il tuo disgusto nel modo più chiaro ed esplicito possibile. Perché è facile pensare “Sì, è sbagliato, però vabbé, ora smettono” (il problema non è quando smettono, il problema è proprio che hanno iniziato); è facile perfino sghignazzare “Sì, è una cagata, comunque fa ridere, e poi in fondo lei non è l’artista giusta per aprire a Gemitaiz” (il sessismo si può applicare a chi non apprezzi artisticamente, o comunque in quel caso è un po’ più perdonabile: interessante).
(CRLN, in un’intensa foto; continua sotto)
E’ facile anche un’altra cosa: utilizzare tutto questo come una levata di scudi contro la misoginia nel rap, contro la sua “vuotezza” infarcita di parafernalia sessisti. Argomento trito e ritrito. Che comunque ha più di una pezza d’appoggio (di nuovo: leggetevi gli articoli linkati sopra), sia chiaro; solo che non esaurisce la questione, ecco. E’ come quando Salvini ti fa credere che è bloccando l’immigrazione illegale che l’economia ripartirà: può “suonare” bene, può suonare a molti logico e consequenziale, ma se uno analizza bene la questione capisce che è una cazzata o almeno un eccesso di semplificazione e superficialità. Il rap è misogino sotto certi punti di vista, ha un certo tipo di misoginia verbale nel suo DNA, ok, ma proprio grazie a questo DNA è anche una delle musiche in cui più e meglio, negli anni passati, le donne si sono affermate e hanno avuto un ruolo da protagonista e/o hanno giocato al gioco, sì, ma fissando comunque loro le regole che preferivano nel modo in cui preferivano, utilizzando quando necessario anche il linguaggio della sensualità e della sessualità. Se poi invece vogliamo stringere di più l’obiettivo e pensiamo al rap italiano, è una delle scene in cui ai suoi albori mai e poi mai sarebbe successa una cosa del genere, chi ha frequentato le jam negli anni ’90 lo sa: le ragazze presenti erano poche ma, per lo più, rispettate. E se qualcuna saliva sul palco o ballava breakdance o dipingeva sul muro, insultarle su base sessista, ecco, sarebbe sembrato all’epoca tanto surreale ed insensato quanto stupido: e credeteci, è MOLTO stupido.
Quindi ecco, non è questione tout court di hip hop come musica, come cultura e come scena. E’ questione di come lo usi e di dove ti porta. Di quanto si annacquano gli anticorpi del buon senso quando entri nei meccanismi del pop e del mainstream, non capendo quanto siano delicati e sofisticati sotto l’apparente semplicità, quanto amplifichino o distorcano messaggi e radici.
E allora, riassumendo: gli stupidi ci saranno sempre, cambieranno quantità crescendo o diminuendo temporaneamente, cambieranno forma, ma non si estingueranno mai; la musica non riuscirà mai a rendere il mondo un posto perfetto. Va bene. Ma questo non è un motivo per non incazzarsi contro gli stupidi in questione, per rassegnarsi al sessismo, per ritenerlo “normale”, a maggior ragione in un contesto dove entra in campo un’arte come la musica. E come è successo alla scena hip hop italiana di essere passata da nicchia dove sarebbe stato difficile per non dire impossibile sentire coretti alla “Faccela vede’” nel momento in cui saliva una donna su un palco a, invece, mezzo estetico-stilistico di massa scelto come colonna sonora preferita proprio dalla fascia più becera della popolazione (eh sì, amici del rap: è successo questo, vi piaccia o meno…), lo stesso potrebbe succedere a certe derivazioni pop, alla techno, alla house, perfino a quello che si definisce indie. La guardia va tenuta sempre alta. Sempre. In qualsiasi contesto, in qualsiasi genere musicale, in qualsiasi tipo di pubblico.
Perché siamo in un mondo dove è ancora atipico se una donna in certi generi musicali è cantante (e magari anche autrice, non solo interprete); se è strumentista; se è dj; se è ingegnere del suono. Non c’è solo il subumano che ulula contro CRLN o il Gemitaiz troppo timoroso nel prendere una posizione netta su quanto è successo (o il comportamento di Marracash due anni fa, vedi sempre quanto raccontato da CRLN nel suo post). Quella è solo la punta dell’iceberg, sgradevolissima e da combattere certo, ma il male e l’errore sono molto più profondi e diffusi. E finché non ragioniamo sulla radice e su essa lavoriamo, i casi come quello di CRLN continueranno a ripetersi, noi ci indigneremmo tantissimo (che è il minimo sindacale, eh!) ma poi, ecco, non sarà cambiato granché.
Intanto, solidarietà a Carolina. Ma ha personalità, lei, e da questa esperienza uscirà ancora più forte e più convinta (e sperabilmente con meno teste di cazzo che le rompono scimmiescamente le scatole). Chi l’altro giorno l’ha insultata è un idiota e/o un vigliacchetto, un ominicchio o una donnacciuola; e Gemitaiz ha fatto male a sottovalutare la cosa. Il rap deve chiedersi, oggi molto più di prima, che tipo di pubblico sta tirando su (non basta fare i numeri, devi ancora capire la qualità di questi numeri: o ti va bene tutto?). Ma dopo che se lo è chiesto il rap, se lo devono chiedere en passant anche tutti gli altri generi musicali – chiedendosi in realtà, prima ancora, perché diavolo è ancora così visto come “atipico” che ci siano donne in determinati ruoli che non siano meramente ornamentali. Perché nasce tutto da lì.
E di strada da fare, maledizione, ce n’è ancora moltissima.