Luca Bacchetti, se siete addentro a certe cose, non ha bisogno di troppe presentazioni: uno dei dj Italiani più apprezzati nel circuito house e techno internazionale, soprattutto da chi ne sa, e produttore di release che hanno fatto ballare i club di tutto il mondo. Wagon Repair, Crosstown Rebels, Ovum, Real World, All Day I Dream e la sua ENDLESS sono solo alcune delle label con cui ha pubblicato EP e vari remix. E’ uno che ha girato il mondo per davvero, suonando in più di ottanta paesi, tra cui festival come Tomorrowland, Creamfields, Burning Man e club come Womb Tokyo, Fabric London, DC10 Circoloco, Output NYC, Stereo Montreal, Space Ibiza, Avant Gardner NYC, B018 Beirut, Panorama Bar Berlino, Pacha Buenos Aires, Lost Beach. Ha all’attivo, nel 2019, anche l’uscita dell’album “Secret World”. Ma dal 2021 ha aggiunto un’altra medaglia al petto, diversa anche dalle altre: è il direttore creativo di LIMBO Festival, che proprio questo weekend invaderà la Garfagnana con un’esperienza che promette di essere – per davvero – a trecentosessanta gradi. Abbiamo veramente bisogno di eventi così, e di dj (e persone) così. Ecco allora che gli cediamo la parola, per farci raccontare al meglio cosa ci aspetta da domani a domenica in Toscana (qui info e biglietti). Ma, ovviamente, non ci neghiamo nemmeno digressioni significative, sullo stato delle cose, nel magico (non sempre…) mondo del clubbing.
Come nasce LIMBO Festival? Quando è nata l’idea, quali sono i passaggi con cui si è sviluppata, e se c’era qualche festival pre-esistente a cui almeno in parte ci si è ispirati.
LIMBO nasce grazie alla pandemia: assurdo, ma è cosi. Sono anni che avevo questa idea che non riuscivo a realizzare perché ero sempre in movimento. Con le date e gli impegni, semplicemente non avevo tempo. Lo stop forzato è stata allora un’occasione da prendere al volo, e ho trovato in Alessandro Stefani il partner per proporre qualcosa di diverso: un progetto a lungo termine e con degli obbiettivi chiari. Ovviamente ci saranno degli step da fare, ma quest’anno mettiamo sul piatto un assaggio di quello che potremo sviluppare in modo ancora più completo e complesso nelle prossime edizioni. Non c’è un vero e proprio evento di riferimento, LIMBO si ispira ad una serie di sensazioni ed esperienze che ho fatto negli ultimi 15 anni in giro per il mondo. Suonare nella giungla messicana o nel deserto del Nevada, nell’isola tropicale o semplicemente durante un boat party sono momenti che hanno in comune una componente in più: la natura, il forte bisogno di celebrare la vita nel modo più ancestrale possibile… Questo si rinnova dalla notte dei tempi, e oggi più di prima c’è la voglia di evadere e di decontestualizzarsi. LIMBO vuole essere un momento liberatorio, in cui tutti i sensi convergono e lavorano al massimo!
Cosa vuole avere di diverso e di particolare, LIMBO Festival rispetto ad altri festival in Italia di musica?
LIMBO è una sensazione, è continuo divenire e mai in atto, è riempire quella parte di noi che trascuriamo continuamente, è immergersi in un mood fatto di musica, cibo di altissimo livello e attività per nutrire il corpo ma soprattutto la mente e l’anima! L’aspetto culturale verrà sempre più sviluppato nelle prossime edizioni, quest’anno abbiamo già delle masterclass, ma ti giuro che ci siamo dovuti limitare, presto andremo oltre.
Ci faresti una guida ragionata alla line up?
Abbiamo puntato tutto sulla qualità con le eccellenze del dancefloor. Ci sono dei nomi storici, uno su tutti Prins Thomas, una vera istituzione, e altri di cui sentirete parlare a breve. Penso a Jimi Jules, un vero talento, altro artista che il successo se lo è costruito senza trucchi o giochini. Ho chiesto ad Inigo Vontier di fare il warm up del sabato perché so che sarà un set unico, mi permetto di dire inusuale e nuovo in Italia! Messicano di Guadalajara, questa sarà la sua prima data nel nostro paese. Penso poi a Benjamin Frohlich e alla sua Permanent Vacation, oppure a quello che stanno facendo Cinthie e Desiree. Power to the women! Sarà divertente, bravi dj, niente pippe! (risate, NdI)
Sei uno dei dj dallo sguardo più lucido e affilato su tutto ciò che è club culture: cosa è cambiato rispetto a dieci, quindici anni fa? Cosa è migliorato, cosa è peggiorato? E su cosa bisognerebbe intervenire con più urgenza?
Tutto il mondo è profondamente cambiato con i social network. Nel frattempo la tecnologia ha permesso a chiunque di poter accedere a questo mondo nostro, e porsi come protagonista. Tutto questo può andare bene, ma ha anche innescato molti meccanismi in cui si può “bluffare”. In questo modo la scena si è ripopolata di approfittatori, di squali, ma le persone vere le riconoscerai sempre, assomigliano a Nemo e a nessun altro! (risate, NdI) …la vera responsabilità è di chi decide cosa proporre: per raccontare una storia ci vuole lo script ed il coraggio. Detta in soldoni servono le palle, altrimenti arriverai sempre dopo, sarai la copia della copia, e questo mondo perderà l’anima. La cultura dei festival è andata a braccetto con i numeri da social, ma il club ha sofferto: in questo nuovo scenario si può parlare ancora di “club culture”? La cosa buona è che tutto questo caos mediatico ha generato al tempo stesso anche tanta consapevolezza, e sono in tanti a puntare i piedi per proteggere un mondo meraviglioso fatto di storie vere, di missioni, di verità, di onestà intellettuale. Tutte cose che arrivano dritte al cuore e di cui l’arte non si potrà mai privare.
Quanto è difficile mantenere l’equilibrio tra successo ed umanità?
Ho avuto la fortuna di conoscere delle vere rockstar e scoprire la loro semplicità. Ovviamente c’è una struttura a proteggerle, altrimenti non riuscirebbero a vivere, ma lontano dal palco vivono in modo semplice per mantenere le porte aperte alla creatività. Non ostentano e non ne hanno bisogno, perché a loro interessa il principio attivo, non tanto il resto, e questo è un aspetto molto affascinante che rimane però sempre in ombra. Pensa un po’ invece alla nostra scena: il successo è inteso essenzialmente come un sostantivo, non come participio passato. Un evento realmente “successo” non si trasforma in “successo” se non passa dai social network, dove contano solo i numeri non il valore del fatto stesso. Se non sei virale non esisti, questa è la più grande cazzata dei nostri tempi. Quanta leggerezza e superficialità, quanta ostentazione e, in alcuni casi, arroganza. Oh, ma a voi questo modello non ha ancora stufato? (sorride, NdI) Bisogna essere “alti”, per accedere al vero successo. Tutto il resto è un compromesso per mediocri, un buon conto in banca e una chimera trofeo appesa in studio!
Nei tuoi ormai molti anni di carriera, qual è il festival più bello a cui hai mai suonato? E perché?
Ho la sensazione che tu sappia già la mia risposta! Erroneamente continuiamo a chiamarlo festival, ma nasce come un grande esperimento sociale. Io ad esempio ho lasciato un contributo di questo tipo. Il Burning Man è sicuramente uno dei posti dove ho avuto la sensazione di vivere qualcosa che già appartiene alla storia e ho provato la sensazione di esserci dentro. E’ una dimensione che ti permette di esprimerti diversamente perché c’è massima predisposizione da parte del pubblico, è un contesto nuovo, radicale, ancestrale… Non tutti coloro che ci vanno ne colgono l’opportunità; ma quando se ne sente parlare a sproposito, facci caso, a parlare sono sempre persone che non lo hanno mai vissuto. E viverle, le esperienze, è indispensabile.