L’essere dj e l’esser turista possono sembrare situazioni molto diverse, ma al giorno d’oggi stanno diventando condizioni che vanno a braccetto l’una con l’altra fino a fondersi in uno status inscindibile. Il turista è colui che viaggia, visita luoghi per svago, necessita di conoscenza, viaggia per soddisfare un bisogno di sapere cosa c’è ad una determinata latitudine e di sapere come se la passa la gente del posto. Anche il dj al giorno d’oggi è un viaggiatore, sempre in continuo spostamento tra aeroporti, città in giro per il mondo, festival, club, ritorni a casa eccetera eccetera… Direte voi, ma che c’entra? I turisti viaggiano per piacere mentre i dj per necessità! Fidatevi che non è così. Il viaggio di un dj non è solo legato alla musica, alla sua esibizione, al suo essere artista. Il viaggio per un dj può essere fonte di ispirazione, è un insieme di momenti di arricchimento personale, come se ogni volta che si spostasse si andasse ad aggiungere un pezzettino al puzzle della sua formazione artistica. Il tema del viaggio è una situazione comune ad ogni dj, ma viene ampiamente sottolineata nella figura di Luca Bacchetti: italiano, toscano per essere precisi, migrato in Spagna per seguire la sua passione, sempre in giro per il mondo per quello che ormai è il suo lavoro. Viaggiando Luca fa tesoro di ogni singolo momento, emozione, esperienza, frammenti che ogni volta cerca di tradurre in musica, che sia un disco, un dj set, quello solo il momento lo dirà. Un dj con la valigia in mano, un bagaglio che è sempre pronto ad essere riempito da qualsiasi cosa gli possa capitare durante il viaggio. Nel suo bagaglio abbiamo avuto il piacere di potercisi infilare anche noi di Soundwall durante il suo tour americano, esperienza che abbiamo voluto ripercorrere grazie all’intervista che ci ha concesso. Al suo interno spunti di riflessione sull’esperienza americana, sul clubbing a quelle latitudini, sull’essere dj e sul suo ultimo progetto: Endless, una label (il primo numero intitolato “El Maravilloso Mundo De Xilitla” è già disponibile), un concept, un party, tanta carne al fuoco insomma…
Hai da poco terminato il tuo tour americano, esperienza che hai condiviso con noi attraverso i tuoi video…come valuti globalmente il tour? Ha rispettato le tue aspettative? Cosa ti ha lasciato musicalmente parlando e anche a livello di esperienze?
Dopo tanti tours in USA, è stata la prima volta che ho portato virtualmente gli amici con me, la prima sensazione è stata quella di essere stato in compagnia e condiviso in parte alcuni aspetti legati alla vita da tour; volutamente ho cercato di lasciare spazio alla parte che di solito non si vede. Durante un tour si possono vedere cose inaspettate, non è fatto solo di clubs ed aeroporti, è vero il mondo del dj è spesso un mondo solitario, si passano molte ore da soli tra aeroporti ed alberghi ma spesso si ha la fortuna di poter vedere cose nuove… questo è stato un tour veramente divertente. Ogni luogo musicalmente ha la sua specialità, ogni posto ti suggerisce qualcosa di diverso, che può addirittura sorprenderti rispetto alle aspettative che avevi.
Durante ogni tappa ti sei impegnato a rispondere ad alcune domande che ti abbiamo proposto lasciandoci dei piccoli spunti che mi piacerebbe approfondire. Le prime tappe del tuo tour si sono svolte in Texas dove ci hai parlato di come sia importante vivere il djset e farlo fluire in base al mood del momento e al pubblico che ti trovi di fronte. Quali messaggi cerchi di captare dal dancefloor e come cerchi di tradurli in musica?
Si matura una sorta di sesto senso, sono come due immagini: quella che della tua immaginazione e quella che poi ti si presenta, che spesso scorrono per poi combaciare. Questo per dirti che posso farmi un’idea di quando vado a suonar in un posto nuovo, ma alla fine è sempre una cosa legata al momento, istintiva. Non credo alle gigs pre-confezionate. Non ho mai una scaletta, preferisco decidere al momento e prendermi i miei rischi. Puoi giocare sicuro ma prendendoti dei rischi quella volta che scatta la scintilla traduci tutto in qualcosa di magico e da quel momento puoi portare il tuo pubblico ovunque perché si fida di te! E poi è come tirare fuori il passaporto e dire: “ecco io sono questo”.
Dopo il Texas ti sei spostato sulla costa ovest degli Stati Uniti dove ti aspettava il party Culprit all’Hotel Standard di Los Angeles. Di questo party si chiacchiera molto, sia per la location, sia per il mood che si crea. Tu che ci sei stato e hai avuto il piacere di suonarci cosa ci puoi dire a riguardo?
La west coast già è affascinate a prescindere, se pensi alle rivoluzioni culturali degli anni sessanta, summer of love, la rivoluzione informatica, il cinema, il surf! E’ da sempre la terra del sogno, l’ultima frontiera… LA è per questo affascinante ed è un posto che mi mette un’energia particolare, più psichedelica se vuoi, più deep. Non credo sia un caso il successo delle Culprit Sessions allo Standard Hotel di downtown. Lo spirito di questa onda musicale riflette molto aspetti solari e psichedelici delle west coast, questa situazione stimola molto il mio lato musicalmente più deep e poi è un rooftop nel centro di downdown, belle ragazze, atmosferaa cool, i riflessi ed i giochi di luce che si creano sui grattacieli al tramonto lo rendono unico…
Finita la tappa ad ovest sei tornato sulla costa est degli Stati Uniti con le tappe di Philadelphia e New York. Tra le due coste c’è sempre stata una differenza a livello culturale, a livello di abitudini della gente per non parlare dei loro modi di vivere. Come pensi che si traducano queste differenze nel modo di vivere la musica, il clubbing?
Le differenze sono appunto quelle di cui parlavo prima, la west coast sogna, la east è più conservatrice… mi viene in mente il film “Manhattan” di Wody Allen, dove lui insiste su Philadelphia e su alcune sue “diversità” culturali già rispetto a NY, ma questo ovviamente se vogliamo fare un discorso profondo. E’ vero queste differenze culturali ci sono ma la scena clubbing è molto eterogenea proprio grazie alla musica che è il vero collante e questa è una vera figata. Sempre one nation under a groove!
Esauriti i tuoi impegni nel nord America ti sei spostato nell’emisfero sud con le tappe di San Paolo, Rio De Janeiro e Brasilia. Com’è la situazione clubbing in quei luoghi?
Il Sud America in generale si riassume in una sola parola: fisico. Tutto è molto fisico. Il Brasile stà crescendo molto, ha nuove prospettive grazie al fatto che tra due anni ospiterà i mondiali di calcio, c’è attesa e motivazione, questa cosa la si avverte molto stando a contatto con chi vive là; tornando a noi è una soddisfazione suonare davanti ad un pubblico così caloroso e ricettivo, non voglio essere scontato ma non posso neanche evitare quella che è una semplice realtà… si vedono ballare le ragazze più belle del mondo e non è poco credimi!
Il Sud America è un luogo che ti ha sempre influenzato musicalmente, cosa ti trasmette di tanto significativo? Non è che ti ricordano la tua Barcellona?
La fisicità del Sud America io la traduco sempre in groove, che per me è essenziale per la musica che ho sempre prodotto, è quello spirito solare ed istintivo che mi piace… Messico, Colombia, Perù, Brasile, Cile, più ti sposti al sud e più hai la sensazione di incontrare persone più semplici e vere. Lo stesso succede con il pubblico, il pubblico sudamericano è meraviglioso in questo, questi ballano veramente! Hai ragione Barcelona è molto simile, perché è la città europea più “sud-americana”, è una vera e propria porta di accesso al Sud America, certi quartieri di Barcelona non sono poi così lontani da certi scorci di Lima o Rio De Janeiro… A Barcelona puoi sicuramente fare un buon allenamento.
Durante il tuo soggiorno sud americano ci hai detto come per te siano importanti i momenti in cui provi forti emozioni, situazioni fondamentali che sostanzialmente ti danno l’ispirazione per fare un disco. Raccontaci qualcosa in più riguardo a questi momenti.
Per me l’esperienza del viaggio è sempre molto legata al processo creativo: io mi innamoro, mi perdo completamente nel viaggio, per me è inevitabile; c’è chi preferisce passare le giornate chiuso in albergo, a me piace buttarmi tra la gente, mescolarmi al traffico, arrampicarmi sul Corcovado e poi conoscere l’artista pazzo che ha costruito questa scala meravigliosa in una favela. Queste sono le cose che mi producono adrenalina, è un modo per rendere il tour vivo, un modo diverso per “entrare” nell’atmosfera del posto che ti ospita e tornare poi con qualcosa in più. E’ come dire: esco, guardo, ascolto e poi traduco… Questo nel mio caso si traduce in musica. A Lapa (quartiere di Rio) una mattina ho visto una cosa che non dimenticherò mai, sono stato attratto da “O Sole Mio” pensa! Sono entrato in questo palazzo, ho salito una scala e mi sono trovato davanti 30 tra ragazzi e ragazze che ballavano come pazzi in un clima di gioia e libertà… una situazione surreale credimi, come essere proiettati di colpo in un film di Fellini, la sensazione di essere proprio dentro al film. Stavano celebrando la vita attraverso la danza, in un modo puro, libero, istintivo e primordiale… sudore, fisicità, sorrisi.
L’ultima tappa del tour, quella di Buenos Aires, è saltata e quindi hai dovuto far ritorno anticipatamente nella tua Barcellona, luogo dove hai potuto riprendere a concentrarti sul tuo nuovo progetto Endless. Durante il tour ci hai detto che Endless sarà sia una label (che ha visto già l’uscita del suo primo disco) sia un party. Puoi dirci qualcosa di più riguardo a questo progetto? Come è nato, qual è l’idea che si trova alla base e magari qualche anticipazione per il futuro?
Endless è come un giocattolo per un bimbo, vedo questa label in quel modo, è qualcosa di personale che trae ispirazione dalle esperienze che ho accumulato in questi anni, riflette la mia visione della musica e della scena clubbing… voglio che sia molto istintiva e diretta, senza filtri e libera dalle troppe dinamiche di mercato, diretta da cuore a cuore, una linea che unisce l’artista ed il pubblico. “El Maraviglioso Mundo De Xilitla” è la prima release che è uscita in vinile e digitale, un viaggio di 12 minuti con cui ho volutamente inaugurare questo nuovo ciclo; la prima fase vedrà la pubblicazione di mie releases, in seguito una serie di artisti che amo e che potranno trovare in Endless una piattaforma in più dove potersi esprimere libereramente. Sto ancora lavorando a quello che sarà il party, che seguirà un vero e proprio concept ma che sveleremo solo nel 2013!
Dopo aver parlato del tuo tour vorrei farti un’ultima domanda legata sia ai tuoi vissuti recenti sia al passato, ma perché no, anche al futuro. Ti vedo sempre in tour per il mondo, spesso in America, nord e sud, Spagna, Australia, Giappone e in moltissimi altri posti, ma in Italia? Poco spazio, mi sembra di capire. Trovo davvero difficile spiegarmi come mai il tuo paese natale non riesca ad apprezzare in modo pieno e nella maniera che si meriterebbe uno dei suoi più grandi talenti. Che spiegazione puoi dare a questo? E in generale cosa pensi a riguardo del rapporto che ha l’Italia con i propri artisti?
E una cosa che trovo affascinante, la cosa che mi sorprende è la quantità di messaggi e mail che ricevo da chi mi segue in Italia, non è vero che il mio paese non mi apprezza, è che al momento preferisce dare spazio ad altri… è una storia lunga che abbiamo sentito molte volte, ma il fatto stesso di aver suonato praticamente ovunque e trovarmi a parlare dell’Italia in questi termini, rende tutto affascinante, una cosa che dovrebbe far riflettere. In un momento in cui tutto è branding, ho fatto la scelta di giocare da solo e scegliere il mio percorso, da un lato apparentemente la si paga ma se ne acquista in libertà. Quello con il proprio paese è un rapporto difficile con cui si sono dovuti interfacciare bene o male tutti gli artisti italiani, chi poi rientra in Italia alla fine se ne lamenta, l’eterna contraddizione in cui non voglio cascare. Credo anche che tutte le cose abbiano il suo tempo, una cosa è chiara… dal momento che se ne accorgeranno non potranno farne più a meno.