Ci risiamo: cala di nuovo la scure sulle discoteche e le sale da ballo, e la musica in generale. Cala di brutto, cala senza mediazioni, cala (quasi) senza preavviso. Abbiamo letto sulle varie bacheche parecchie parole in libertà. I lamenti e la rabbia sono comprensibili, ma non devono prendere completamente il posto della razionalità. La razionalità dice una cosa: la variante Omicron è qualcosa che è apparso all’orizzonte da pochissimi giorni, ed ha per ora una unica cosa certa – un tasso di trasmissibilità altissimo. Ovvero: può far raddoppiare il numero di persone contagiate in pochi giorni. Un tasso di crescita esponenziale. Lo stiamo sperimentando già: nel momento in cui scriviamo queste righe, i nuovi contagiati al giorno sono quasi 45.000. Esattamente una settimana fa erano 28.000. Due settimane fa erano 20.000. Se uno non fa lo struzzo, sono numeri che si commentano da soli.
La speranza è che la Omicron sia molto contagiosa ma ben poco dannosa (soprattutto per chi si è coscienziosamente vaccinato – coscienziosamente per sé ma anche per le persone attorno a sé). Ma è una speranza, non (ancora) una certezza. Per una volta, condividiamo la linea della prudenza: troppo rischioso giocare alla roulette russa con tassi di crescita di questo tipo, perché se per caso salta fuori che la Omicron invece è come la Delta o giù di lì, il collasso del sistema sanitario è dietro l’angolo. Non è solo questione di “morire di Covid“, o di essere intubati per sopravvivere (che già è tremendo); è questione che tutte le altre malattie che necessitano ospedalizzazione rischiano di non poter essere curate. Uno scenario apocalittico.
Non è una certezza, ma è una possibilità. Finché non ci sono dati più chiari su questa nuova ondata e questa nuova variante, non riusciamo a fare una colpa sulla linea della prudenza. Anche perché ad oggi il governo Draghi aveva dimostrato che, se c’era da essere un minimo coraggiosi, lo si era. Ma qui si rischia di passare dal coraggio all’incoscienza: non è il caso.
Insomma: questa improvvisa, repentina, brutale chiusura delle discoteche, delle sale da ballo, degli assembramenti di piazza ci pare accettabile. Stavolta ci pare accettabile. Doloroso, ma accettabile e comprensibile. Poi sì, si possono fare mille considerazioni e polemiche – e le abbiamo fatte, in passato – sulla bizzarra evidenza che ad assembrarsi nei supermercati o sul trasporto pubblico evidentemente c’è meno Covid, sul fatto che i luoghi di lavoro dove crei fatturato per il padrone sono meno a rischio di quelli in cui invece vai a divertirti e ad esprimere liberamente te stesso, ma questi sono discorsi che si possono – e devono! – fare in un quadro (relativamente) chiaro e stabile. Ora, lo ripetiamo, viviamo in mezzo ad un’incognita. Accettiamolo. E che a ballare, toccarsi, abbracciarsi, parlarsi ad alta voce da vicino si rischi di più il contagio, è un dato di fatto. Solo che appunto, in questo frangente con questa situazione non possiamo permetterci dei “rischi calcolati“, finché i dati non sono più chiari.
Il vero scandalo non è la chiusura. Il vero scandalo è che si annuncino chiusure, anche repentine, ma non si parli minimamente di ipotesi di ristoro. Nessuno chiede numeri e date precisi: è una situazione di emergenza, si deve agire in tempo reale. Ma concettualmente dovrebbe diventare automatico che se chiudi per legge dei settori, altrettanto per legge devi subito pensare a delle misure che almeno in minimissima parte li aiutino a reggere il danno subito. Un danno subito per colpa di nessuno, se non del destino e della pandemia che imprevedibilmente muta.
Questa chiusura varata ieri 23 dicembre è diversa dalle altre, perché il comportamento della nuova variante è differente da quello che avevano le precedenti (e molto più preoccupante, in potenza); ma per l’ennesima volta è una chiusura in cui non si pensa minimamente ad alleviare la botta che si va ad inferire a determinati settori, a determinati lavoratori. A scanso di equivoci: non siamo scemi o bellamente ingenui, non ci aspettiamo un risarcimento del 100% (anche perché la platea dei danneggiati, considerando anche chi è coinvolto indirettamente, è enorme). Ma qualcosa. Almeno qualcosa. Cazzo, almeno qualcosa: per salvaguardare un principio. E per stare vicini a chi rischia in proprio, a chi tutele non ne ha. Perché questo è un periodo particolare, dolorosamente particolare: richiederebbe un cambio di approccio.