Fa strano dirlo: Dancity ormai è un decano, tra i festival italiani. Chi l’ha visto nascere se lo ricorda come cellula sorprendente e combattiva, in grado di rivoluzionare l’allora panorama dei festival di musica elettronica con una proposta nuova, fresca, capace di combinare sperimentazione e divertimento, ricerca e presa bene: una “via di mezzo” che da queste parti è sempre stata amata moltissimo, quando fatta con criterio. E di criterio, a Dancity, ne hanno avuto dal giorno uno. E tanto.
Come tutti capita a tutti i decani, ci sono state anche traversie. L’idea alta e coraggiosa di entrare nel “salotto buono” della deliziosa (…e, prima di Dancity, preoccupantemente sonnacchiosa) Foligno ha avuto momenti altissimi, tra la suggestione dei luoghi – piazze, maestose chiese sconsacrate e palazzi medievali – e la risposta entusiasmante della gente, così come ne ha avuti invece altri più complicati (chi c’era sa, ma nulla che comunque abbia mai danneggiato davvero l’esperienza-festival). Il momento più complicato di tutti è stato però il recidere il cordone ombelicale con Foligno stessa, almeno come sede del festival. Trovando una nuoca casa a Villa Fabri, a Trevi, sempre ovviamente in Umbria.
Se da un lato, da veterani, siamo ovviamente un po’ nostalgici e rimpiangiamo un certo tipo di magia che attraversava il contesto cittadino folignate tutto, dall’altro lato va detto che il “fuoco artistico” di Dancity è più vivo che mai e questa è la cosa che conta, che conta parecchio. La qualità insomma delle scelte per la line up è insomma assolutamente intatta. Anzi: sarà magari per il nuovo baricentro in essere, ma sotto certi punti di vista è ancora più battagliera ed esploratrice.
Certo, qualche nome ben consolidato non manca, tipo Kelly Lee Owens, DVS1, Rival Consoles: ma accidenti, averne di “nomi consolidati” così, non è infatti propriamente la solita zuppa quanto piuttosto una selezione accurata. C’è anche qualche nome sulla bocca di tutti in tempi recenti (il fenomeno Dj Marcelle, ad esempio), e lì scatta inevitabilmente l’effetto-curiosità, così come c’è anche qualche nome collaudatissimo: ma questi ultimi sono comunque messi in condizione di fare qualcosa di particolare (vedi ad esempio i back to back di Ralf con l’amico Leo Mas, o di Ivan Smagghe col baltico Manfredas).
Ci sono però scommesse e motivi d’interesse come l’afrofuturismo di Floyd Lavine, le sperimentazioni di Nadia Struiwigh, nuove potenziali stelle come Batu e Coby Sey. Agevoliamo la diapositiva definitiva sulla line up qui sotto, e divertitevi a capire chi conoscete e chi no, chi vi ispira e chi chissà, lavorando con le vostre conoscenze, con quelle di amici informati ma anche con la “grande scomparsa” degli ultimi anni nel mondo di certa elettronica, e parliamo forse più di pubblico specializzato ed addetti ai lavori che di artisti e semplici passanti: la curiosità.
Sì. Dancity è come prima e forse anche più di prima l’antidoto perfetto contro la pigrizia di pubblico e promoter (…un fenomeno pervasivo ormai da troppo tempo a questa parte, e molto pericoloso). Non è quasi mai un festival di luoghi comuni, è quasi sempre un festival di sorprese; è di sicuro un festival che fa un lavoro serio sulla qualità, a costo di essere scostante, difficilmente lo vedrai schiavo delle solite logiche & solite line up. Se questa cosa va premiata (spoiler: secondo noi, sì), è il caso di seguirlo e sostenerlo. Con gioia.
Anche perché poi – e questa è la cosa più importante – al lavoro di ricerca si unisce la voglia di offrire qualcosa che intrattenga, spinga alla felicità, non sia insomma solo una messa cantata per i soliti saputi ma sappia tirare fuori il lato coinvolgente, giocoso e “fisico” della musica nuova, della musica che si rifrae attraverso il prisma della club culture in sfaccettature consolidate ed anche assai inaspettate. Info qui, prevendita qui. 1, 2 e 3 giugno. Anche quest’anno, Dancity c’è. E c’è da par suo. Bene. Molto bene.