Il Grido è uno di quei festival non solo incastonati in una delle mete da anni più popolari d’Italia, Gallipoli, ma pure in grado di sfoderare nella programmazione una serie impressionante di pezzi da novanta del clubbing “da grandi numeri”. Fra questi, non può mancare uno dei più grandi di tutti, un dj capace di esserne protagonista indiscusso già da anni: Marco Carola. Uno status che il dj e producer italiano si è guadagnato negli anni – e che sarebbe sbagliato dare per scontato.
Può piacere. Può non piacere. Può farti dire che “Era meglio un tempo, quando faceva techno pura e dura” ed era oggettivamente uno dei dj più potenti d’Europa a livello di tecnica e sfida sonora, uno che spostava in avanti limiti e confini. Oggi non accade, vero: Marco Carola ha ammorbidito il suono, ha trovato una sua dimensione, ha smesso forse di prendersi dei rischi e di avere un atteggiamento “hardcore” e radicalmente innovativo nei confronti della musica, seguendo la via maestra della techno. La domanda è: fino a che punto è una colpa? Fino a che punto è grave?
Il compito di un artista può essere quello di esplorare di continuo nuovi confini creativi, ma può anche essere quello di rendere felici tutti coloro che fruiscono della sua arte. Valgono entrambi i principi. Valgono entrambi a tal punto, attenzione, hanno a tal punto entrambi la stessa dignità che spesso si compenetrano, si influenzano e nutrono a vicenda. Può anche accadere che un artista trovi una cifra stilistica, decida di “fermarsi” su quella, affinandola, perfezionandola, portandola avanti in modo sistematico. D’altro canto se di fronte ha un pubblico che lo segue con amore e fedeltà, dove sta l’errore, a pensarci bene?
Ecco. Marco Carola e il suo pubblico. Ormai lo diamo per scontato. Fa anche chic prendere molto alla leggera questa cosa, dare tutto per acquisito, pensare che sia inevitabile che Marco Carola abbia sempre migliaia di persone che lo seguono. In realtà, se si ha un po’ di memoria storica, c’è stato un periodo in cui non era così. Lui non è nato con migliaia di persone al seguito ad ogni set. E’ qualcosa che si è conquistato. Anno dopo anno. Ha saputo ad un certo punto entrare in perfetta sintonia con un “comune sentire” che percorre il clubbing europeo ed internazionale, ed è stato in grado di garantirsi un seguito fedelissimo, numerosissimo, accanitissimo.
Lo ha fatto senza hit particolari. Lo ha fatto senza andare in televisione. Lo ha fatto senza occupare militarmente i media (Marco Carola, tra le altre cose, non ama le interviste e non è uno che si mette a compiacere i giornalisti). Lo ha fatto senza invadere il web di cose “furbe”. E’ quindi un fenomeno in tutto e per tutto “sotterraneo”, basato sul passaparola, basato su un patto di fedeltà (semi)segreto tra l’artista e il suo pubblico – e visto che il pubblico cresce, vuol dire che questo patto è rispettato sempre e sempre meglio. Questo è proprio oggettivo.
Quindi ecco. Può piacere. Può non piacere. Ma che Marco Carola sia numeri alla mano uno dei leader del clubbing mondiale in chiave techno e house è un dato oggettivo; e che sia riuscito a diventarlo senza ricorrere a trucchi facili o scorciatoie pop, senza inseguire ritornelli o robe varie, senza attaccarsi al successo di una singola traccia imbroccata bene e poi sfruttata e ri-sfruttata, è un altro dato oggettivo. Oggettivo, e da non prendere sotto gamba. Così come oggettiva è l’intensità del rapporto tra lui e il suo pubblico: enorme. Un’intensità enorme. Uno spettacolo nello spettacolo, sotto molti punti di vista. Qualcosa che si sente nell’aria in pochissimi altri casi, con pochissimi altri dj del giro “nostro”. Qualcosa che accade solo coi caposcuola, con chi il carisma se l’è acquisito sul campo. Uno dei segreti del suo enorme successo – non l’unico – sta anche in questo. Ed è un segreto che rende comunque un’esperienza le nottate in cui prende il controllo della console.