Dicono che musica e discografia siano ormai governate solo da mire economiche ma, come sempre, generalizzare è un errore. Leri Ahel e Zeljko Luketic, rispettivamente da Fiume e Zagabria, antepongono a tutto interessi culturali e sono animati dal desiderio di gettare luce su una fase stilistica particolarmente eccitante del loro Paese natio ma per varie ragioni rimasta quasi del tutto avvolta dalle tenebre. La identificano con una sigla, “ex Yu”, coniata per indicare il bagaglio sonoro lasciato in eredità dagli artisti che producevano musica elettronica nella ex Jugoslavia socialista, principalmente nel periodo post Tito. Quelli di Ahel e Luketic non sono certamente nomi che il pubblico conosce come artisti, seppur entrambi facciano pure i DJ. Appartengono in modo più diretto alla schiera di curatori che, negli ultimi anni, si preoccupano di salvare dall’oblio certi “frammenti sonori” del passato, studiandoli con certosina attenzione. Nel 2017, per rendere più palpabile la loro passione, fondano un’etichetta discografica, la Fox & His Friends, devota alla riscoperta di tesori sepolti e al restauro di nastri originali di composizioni spesso incise originariamente su cassette autoprodotte. I croati hanno un debole per tutto ciò che è “obscure”: unendo i punti di vicende frazionate ed interrotte, proprio come due veri archeologi e storici, analizzano, riabilitano e fanno riflettere su quanto oggi venga utilizzato a sproposito il termine “underground”.
Come e quando approcciate alla musica elettronica?
Leri Ahel: Tutto comincia quando ero poco più di un bambino ed iniziai a collezionare dischi. Nonostante fossi solo un teenager avevo gusti particolarmente eclettici e compravo qualsiasi cosa di Kraftwerk, Prince e Madonna. Nei primi anni Novanta mi avvicinai a cose più elettroniche pur continuando ad acquistare tanti dischi jazz ed afrobeat. Poi iniziai a suonare in vari eventi che si svolgevano nella mia città, Fiume, e da lì un’emittente locale, Svid Radio, ha deciso di mandare in onda il mio show Mutant Disco. Sono ormai otto anni che viene trasmesso, e raggiunge in syndication anche Croazia, Serbia, Spagna, Turchia, Italia, Albania ed altri Paesi. Scopro e suono un mucchio di musica nuova contando su un ottimo riscontro degli ascoltatori.
Zeljko Luketic: Con Leri condivido l’amore per la radiofonia. Ho lavorato a Radio 101 di Zagabria per quindici anni occupando varie posizioni, da redattore e giornalista dell’ufficio notizie a produttore di diversi programmi. In quello che andava in onda nelle ore notturne, Borderline Music, quasi tutto mi era permesso: passavo dall’italo disco alla musica sperimentale sino a pezzi tratti da colonne sonore di film e pellicole pornografiche. Piuttosto sconvolgente e ai limiti, tuttavia i capi non mi chiesero mai di interromperlo perché veniva trasmesso la domenica a partire dalla mezzanotte. Parallelamente ho curato una serie di mostre riguardanti l’ascesa e la caduta della discomusic in Jugoslavia ed ho fatto varie ricerche sulla scena industriale legata alla musicassetta. Inoltre scrivo di musica e film per vari magazine sin dai primi anni Novanta.
Zeljko, ritengo tu sia la persona giusta per parlare della musica elettronica nata nell’ex Jugoslavia tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Anche lì i Kraftwerk sono stati mentori della generazione che iniziò a produrre il “suono delle macchine”?
Zeljko Luketic: A differenza di altri Paesi del blocco orientale, in quel periodo in Jugoslavia vigeva un socialismo più “soft”. Il partito comunista, dopo la rottura con l’ideologia stalinista sovietica, iniziò ad accogliere influenze occidentali. Ci era permesso, ad esempio, vedere film americani nei cinema oppure comprare nei negozi di dischi la maggior parte della musica in circolazione. Era possibile scorgere tracce di capitalismo sia nel governo che nella pianificazione dell’economia. I confini erano aperti quindi i musicisti potevano recarsi all’estero ed acquistare gli strumenti più nuovi, e ciò rese possibile l’assorbimento di tutte le influenze e tendenze occidentali, dalla moda alla musica. Ben diversa invece era la situazione in cui versava l’ex Unione Sovietica. Era vietato importare strumenti dall’estero e quindi lì i compositori si videro costretti a ricorrere ad alternative come prodotti economici fatti in casa. In Jugoslavia i primi strumenti Korg, Moog e PPG furono portati da famosi musicisti rock che a loro volta li condivisero con altri. I primi “esperimenti” (escludendo però la musica elettroacustica, connessa principalmente a compositori di matrice classica) erano parecchio vicini al filone del progressive rock. I Kraftwerk rappresentarono dei punti di riferimento e tutti i loro album potevano essere acquistati liberamente, ma un ruolo importante lo giocarono anche i brani di Jean-Michel Jarre e Tangerine Dream, trasmessi non solo dalle radio ma usati come colonne sonore in documentari e spettacoli televisivi. Synth pop e new wave si diffusero qui nello stesso momento in cui raggiunsero altre parti d’Europa, supportate dai mass media, dalla stampa musicale ed anche da alcune band autoctone come i Videosex e i Denis & Denis che divennero autentiche star. Le principali case discografiche, come la Jugoton o la PGP RTB, iniziarono a pubblicare pezzi elettronici di stampo new wave e post punk, ma comprensibilmente non avevano molta voglia di investire su “suoni nuovi”, pertanto gran parte di quel movimento artistico convogliò le proprie produzioni su cassetta, supporto che visse un periodo roseo negli ambienti underground. Purtroppo NME ed altri giornali britannici che dominavano la scena giornalistica europea concessero ben poco spazio alle band jugoslave, quindi il grande pubblico ne ignorava totalmente l’esistenza. La situazione sta cambiando adesso con appassionati e collezionisti di dischi che cercano di approfondire cosa accadde in quel periodo. Il mercato discografico della Jugoslavia era enorme e perfettamente in grado di autosostenersi. Basti pensare che venivano stampati otto milioni di dischi all’anno ed alcune band che non ebbero fortuna in patria conobbero il successo proprio qui, come avvenne ad esempio ai Classix Nouveaux. Erano fortissimi in Jugoslavia e i loro tour registravano sempre il sold out mentre oltremanica non li conosceva praticamente nessuno.
Leri, il tuo radio show Mutant Disco gravita intorno a musica proveniente da ogni parte del globo, e settimanalmente hai la possibilità di selezionare brani nuovi. Un’idea sulla musica contemporanea te la sarai fatta: è ancora intrigante come nelle passate decadi?
Leri Ahel: Oggi c’è in circolazione una quantità di musica di gran lunga superiore rispetto a qualsiasi periodo precedente. A differenza del passato però, i mass media generalisti non seguono più con una certa attenzione la produzione di musica, quindi è necessario esplorare canali diversi. La gente sostiene sempre che la musica di ieri sia più bella, probabilmente ciò deriva dal fatto che le etichette vivevano una condizione economica forte ed applicavano una più rigorosa selezione dei prodotti che pubblicavano. Oggi invece chiunque può aprire un account su Bandcamp e pubblicare la propria musica senza rimettersi al giudizio di alcun A&R, ma questo non significa che il prodotto sia buono. Alcuni curano pure dei radio show come il mio, selezionando e mixando nuova musica. Ricevere oltre cento promo al giorno, come talvolta avviene a me, però è veramente dispersivo. Diventa complicato ascoltare e valutare tutto, e questo va a scapito di artisti ed etichette che fanno bene il proprio lavoro ma che, proprio a causa dell’immensa mole di materiale in circolazione, possono rimanere sepolti. Io, per il Mutant Disco, cerco di stare sempre attento a ciò che accade. I risultati possono essere emozionanti e gratificanti.
Da un po’ di anni molti DJ e compositori cercano di creare musica nel cosiddetto stile old school. Per fare ciò si avvalgono di vecchi equipment come sintetizzatori analogici e drum machine di prima generazione, e qualcuno ricorre persino a vecchi registratori come il Revox. Talvolta però, più che una scelta dettata da esigenze artistiche, pare un trend seguito per farsi accettare dal pubblico generalista che tende ad identificare, con superficialità, la genuinità e la bravura in metodologie di composizione ormai desuete. Se la musica contemporanea suona come se fosse stata creata in passato, è legittimo pensare che il futuro risiedeva nello stesso passato?
Leri Ahel: Non nascondo che dietro l’utilizzo di bobine e strumenti analogici ci sia sempre un’emozione speciale, ma alla fine quel che conta è la qualità del risultato finale. I processi compositivi si possono anche distruggere, come accadde col punk negli anni Settanta che parve un suono confusionario seppur non lo fosse. Gli stili sono lì per essere seguiti o modificati, mantenuti integri o rigenerati, e senza dubbio l’equipment può essere un valido alleato per fare ciò. Perché si usano ancora vecchi registratori Revox e Studer? Perché il risultato a cui portano è ottimo e i proprietari di etichette come la nostra cercano essenzialmente musica incisa su nastri magnetici. Un tempo era lo standard ma oggi nessun Revox potrà aiutare a rendere la tua registrazione migliore in assenza di musica valida.
Zeljko Luketic: Le tendenze sono sempre fenomeni temporanei soggetti a costanti cambiamenti a differenza degli stili musicali, permanenti perché rappresentano forme artistiche. I compositori dovrebbero prima capire cosa poter fare con quegli strumenti e poi cercare di aggiungere qualcosa di personale ed esclusivo a generi già esistenti. Tutta la musica dei film contemporanei, ad esempio, nasce sulla variazione delle prime opere di Wagner, e la struttura della musica pop è inalterata da oltre mezzo secolo. Anche in ambito cinematografico l’editing e l’uso della camera sono immutati dai tempi di Eisenstein. Credo che il trend della musica prodotta in puro “old style” sia stato decretato dalla saturazione di device digitali e dalla velocità con cui questi permettono di fare qualsiasi operazione. La conversione all’analogico sembra conferire all’autore una certa abilità ma non significa automaticamente aumentare la qualità del suo operato. Durante l’ascolto non bado se ci sia il suono di un sintetizzatore analogico o digitale, preferisco concentrarmi sul brano e non sulla strumentazione usata per realizzarlo. Questa è una mania che invece appartiene più ai collezionisti di strumenti. Il futuro senza dubbio inizia nel passato ma non è qualcosa di definitivo. Lo paragonerei ad una spirale senza fine.
L’ultimo decennio ha visto nascere un numero esagerato di etichette dedicate alle ristampe, e secondo alcune stime le vendite sarebbero addirittura più rincuoranti rispetto a chi invece pubblica brani nuovi. Possiamo parlare quindi di un inedito approccio vintage alla musica?
Leri Ahel: Le reissue label possono essere di svariate tipologie. Le major, come la Sony ad esempio, optano per l’ennesima ristampa completa dei Rolling Stones o di David Bowie, monetizzando il trend che vede il ritorno all’oggetto fisico, opposto alla virtualizzazione dei file digitali scaricabili o allo streaming. Secondo alcune indagini, almeno il 50% del pubblico che segue tale tendenza non ascolta il disco neanche una volta. Vuole solo possedere l’oggetto, perché è bello da vedere e probabilmente la copertina si intona col colore della propria collezione di libri e di mobili. Naturalmente la gente può decidere di fare quel che vuole coi dischi, non voglio mettere in discussione ciò. Poi esiste un altro tipo di reissue label, ovvero le piccole etichette che scavano nei repertori di artisti spesso ignoti per scoprire gemme dimenticate. Queste lavorano in modo ben diverso dalle major. Mentre i grandi puntano al guadagno facile ed immediato, i piccoli fanno lavoro di ricerca, lodevole per i fan.
Zeljko Luketic: L’anno scorso Leri comprò “Blackstar” di David Bowie ma l’LP suonava malissimo, era pieno di rumori fastidiosi. Tornammo dal negoziante che fu disposto a sostituirlo con un’altra copia. Purtroppo anche la seconda era fallata. Ci recammo per la terza volta nel negozio e non fummo trattati proprio benissimo. Ci dissero che nessuno si era lamentato di quel prodotto, fuorché noi. Decisi di approfondire su internet ed ho scoperto che la tiratura realizzata in Francia dalla MPO presentava difetti di fabbricazione. Solo pochissimi si sono accorti di ciò, forse pensando che il suono fosse intenzionalmente così “disturbato” o magari non l’hanno mai ascoltato pur avendolo comprato. Parlando invece del passato, i dischi di musica prodotta nell’Europa dell’Est non godevano di una distribuzione capillare e in virtù di ciò i prezzi sul mercato dell’usato hanno raggiunto livelli inammissibili. Chiaramente quando esce la ristampa di un titolo raro, il prezzo è destinato a scendere e questo rende il disco più accessibile. Inoltre le reissue label spesso si preoccupano di realizzare un mastering migliore, oltre ad aggiungere una serie di accortezze non presenti sulla pubblicazione originale. Mi riferisco a coloro che lavorano in modo legale licenziando i brani dai detentori dei diritti e non a chi invece realizza bootleg ed incisioni illegali di pessima qualità che hanno recentemente inondato il mercato.
Quest’anno avete fondato un’etichetta, la Fox & His Friends, che si prefigge di “resuscitare” musica oscura del passato. Parlatecene.
Leri Ahel: Fondamentalmente vogliamo pubblicare musica meravigliosa e slegata dalle tendenze del momento in edizioni accurate, rimasterizzate, legalmente licenziate e presentate in un modo che spingerebbe noi stessi a comprarle. L’etichetta si rivolge in primo luogo a collezionisti di dischi e fan, noi lo siamo e sappiamo bene cosa bisogna fare per rendere speciale una pubblicazione. Questo implica lavorare solo coi master originali e non effettuando rip dal vinile o, ancora peggio, ricavare i pezzi da file MP3, operazione che praticano selvaggiamente alcuni bootlegger da strapazzo. Ci affidiamo alle migliori stamperie e validi ingegneri del suono capaci di ottenere un ottimo remaster, e infine ci preoccupiamo dell’aspetto grafico con package e copertine curate nel minimo dettaglio, includendo extra come liner notes, inserti, poster ed altro ancora che possa catturare l’attenzione dell’acquirente.
Zeljko Luketic: Tengo a precisare che lavoriamo prevalentemente con autori e detentori dei diritti, tenendoli costantemente aggiornati su quel che facciamo in modo da avere la loro approvazione. Recentemente su un giornale croato hanno parlato della Fox & His Friends come “etichetta che svolge un approfondito lavoro di ricerca culturale”. È fondamentale che i nostri dischi non siano fabbricati in modo economico e non supportiamo le copertine generiche bianche anonime e prive di informazioni. Tutto ciò incide sul costo finale ma i fan e i negozi riconoscono i nostri sforzi e ci supportano. La parte dedicata alla ricerca credo sia tra le più importanti. Non cerchiamo musica su YouTube, siamo in contatto diretto coi compositori e musicisti. Ci sono voluti ben tre anni per completare i lavori di “Visitors From The Galaxy” di Tomislav Simovic: inizialmente si pensava che i master fossero andati cancellati o persino distrutti, ma alla fine siamo stati in grado di ritrovarli.
La prima uscita su Fox & His Friends è stata proprio quella di “Visitors From The Galaxy” di Tomislav Simovic.
Leri Ahel: “Visitors From The Galaxy” è un film di fantascienza del 1981 diventato un classico nell’Europa dell’Est. Fu un successo ai festival del cinema a Madrid, Trieste e Bruxelles e lasciò confuso il pubblico con un mix di personaggi bizzarri tra cui un uomo col seno, nudisti che accoglievano gli extraterrestri, una bellissima eroina aliena coi suoi figli che si comportavano in modo strano, ed un terribile e violento mostro. La scenografia fu curata dal famoso regista ceco Jan Svankmajer. Il film fu una coproduzione tra Jugoslavia e Cecoslovacchia e fu parzialmente girato nei Barrandov Studios, a Praga. Le esterne invece furono fatte nei pressi di Dubrovnik, in caverne nascoste. Fu distribuito in Cecoslovacchia, Germania Ovest, Polonia, Spagna, Italia e Cuba, e ciò fu nettamente atipico per un film socialista. In Italia giunse col titolo “I Visitatori Della Galassia Arcana”. La colonna sonora ci ha impressionato al punto da volerla pubblicare su vinile.
Zeljko Luketic: L’autore della soundtrack del film è Tomislav Simovic, un musicista nato a Zagabria che ha composto oltre trecento colonne sonore. Purtroppo è venuto a mancare nel 2014. È noto anche per le sue opere jazz e per aver arrangiato canzoni pop per famosi cantanti jugoslavi. Analogamente ai musicisti nativi del posto, anche lui seguiva il Festival di Sanremo, famosissimo nella parte croata dell’ex Jugoslavia, come del resto tutta la musica pop italiana. Ricordo che all’indomani del Festival, le radio locali già trasmettevano le cover delle canzoni in gara. La rivista musicale preferita di Simovic era italiana, Musica Jazz. Fu scelto personalmente dal regista di “Visitors From The Galaxy”, Dusan Vukotic, a cui fornì un’incredibile colonna sonora interamente elettronica, rivoluzionaria per la Jugoslavia dei primi anni Ottanta. Poiché i sintetizzatori erano strumenti particolarmente costosi, ai tempi non c’erano molti musicisti in grado di poterne fare uso e quindi sperimentare nuove tecniche compositive. Si trattò infatti della prima colonna sonora elettronica realizzata in Jugoslavia. Simovic è ancora oggi ricordato come uno dei più importanti e pluripremiati compositori croati anche se nessuna delle sue colonne sonore fu pubblicata. La Fox & His Friends è stata la prima a fare un’operazione di questo tipo, e ciò ci rende particolarmente orgogliosi. Abbiamo intenzione di pubblicare altri brani di Simovic tra cui la colonna sonora realizzata per “Surogat” (esportato come “Ersatz And The Substitute”), un cortometraggio del 1961 sempre diretto da Dušan Vukotic che vinse l’Academy Award negli Stati Uniti.
La seconda pubblicazione della Fox & His Friends è invece “Decadance” dei NEP. Altra gemma che stava per finire nell’oblio?
Leri Ahel: A “Decadance” è legata una storia altrettanto interessante. I NEP erano un collettivo multimediale formatosi a Zagabria nel 1982. Il fondatore, Dejan Krsic, adesso designer e storico d’arte, ha collaborato con numerosi artisti per abbattere le barriere tra il pop e la cultura elitaria. Profondamente ispirato da Walter Benjamin ed Andy Warhol per quel che riguarda l’arte, e da Brian Eno e i Kraftwerk per la musica, Krsic creò i NEP (ossia Nova Evropa) come “termine ombrello” per raccogliere svariate attività artistiche, dal design grafico alla composizione musicale, dalla fotografia alle realizzazioni video ed altro. Musicalmente i NEP focalizzarono la loro attenzione su esperimenti ambient incisi su nastro, ma non esitarono nel cimentarsi in brani pop, genere di cui Kršic era fan. Ciò avvenne nel 1989, anno in cui fu realizzato il brano “Decadance”, mai pubblicato in maniera ufficiale (ma solo su cassetta autoprodotta, nda). Il 12″, che include anche un remix di Snuffo degli Snuff Crew, anticipa l’uscita dell’album “Pop Not Pop” che contiamo di pubblicare nei primi mesi del 2018 in un’esclusiva limited edition che conterrà tutta la storia dei NEP, poster, flyer e fanzine.
Zeljko Luketic: Tra i collaboratori dei NEP c’erano anche Jane Stravs, il fotografo dei Laibach e dei Borghesia, la direttrice televisiva Gordana Brzovic, Jovan Culibrk, attuale vescovo della chiesa serba ortodossa, ed Anja Rupel, cantante della band synth pop Videosex. Anche in questo caso tutto il materiale è stato recuperato e masterizzato dai nastri originali e pressato per la prima volta su vinile. La special edition numerata di sole 100 copie include un fumetto realizzato da Miroslav Mrva, collaboratore della Marvel. Il disco è stato distribuito da Clone ed è già sold out.
In che modo riuscite a scoprire musica così rara?
Leri Ahel: Sia io che Zeljko abbiamo accumulato molta esperienza nell’ambito del collezionismo musicale e nella ricerca di materiale relativo alla scena “ex-Yu” (ex Jugoslavia, nda). Il termine inglese “digging” credo sia il più adatto per descrivere la nostra attività, visto che “scaviamo” accuratamente nel passato alla ricerca di ogni tipo di registrazione e non solo quelle che gli artisti ritengono i propri lavori migliori. Anzi, direi che spesso accade l’esatto opposto, a conquistarci sono proprio i brani che loro vorrebbero dimenticare e cestinare.
Zeljko Luketic: Sto completando un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Zagabria quindi questo tipo di attività è decisamente incline alla mia professione. Fare “digging” significa sporcarsi le mani rovistando in mezzo ad impolverate bobine analogiche che non necessariamente appartengono a collezioni formali di musica. Non sono brani presenti su YouTube e non puoi cercarli attraverso Google. Si tratta di un lavoro che richiede particolari abilità, dall’archiviazione alla corretta preservazione e digitalizzazione del suono. Ricordo bene il mio primo giorno di lavoro presso Radio 101 a Zagabria, nel 1995. Gli strumenti erano ancora analogici e fui costretto ad imparare tutto sulla riproduzione e sull’editing dei nastri. Ai tempi le trovai operazioni piuttosto noiose perché l’era digitale incalzava, ma a posteriori sono grato a chi mi insegnò quelle tecniche che oggi mi tornano davvero utili.
Che cosa dobbiamo aspettarci dalla Fox & His Friends in un prossimo futuro?
Leri Ahel: Stiamo per completare i lavori della compilation “Socialist Disco” che si basa su una ricerca curata da Zeljko nel 2015. Ha studiato l’influenza che esercitò la disco music sui concetti socialisti della sessualità, oltre al ruolo che ebbe nel clubbing, nel DJing e nella composizione musicale in genere. L’iniziativa riscosse molto successo, credo quindi che questo LP rappresenterà la raccolta più accurata di tutto quel che gira intorno alla disco jugoslava.
Zeljko Luketic: Come annunciato qualche riga fa, contiamo di pubblicare un altro LP di Simovic e quello dei NEP che offrirà una panoramica generale sulla loro musica. Inoltre siamo cooperando con l’etichetta Dark Entries su una co-produzione, “Synth Yugoslavia”, una compilation che compilerò personalmente e che aprirà nuovi spiragli sulla scena nostrana. In cantiere ci sono altri progetti, consiglio di seguirci perché nel 2018 offriremo molte sorprese ai collezionisti.
Zeljko, a proposito della Dark Entries: nel 2012 ti sei occupato delle liner notes sulla ristampa di “Clones” dei Borghesia, pubblicato originariamente nel 1984 su cassetta. Come è nata la collaborazione con l’etichetta di Josh Cheon?
Zeljko Luketic: Frequentavo la scuola superiore e non perdevo un concerto dei Borghesia. Successivamente riuscii a conoscerli personalmente, prima Aldo Ivancic e poi tutti gli altri membri della band. Josh della Dark Entries mi contattò chiedendo un aiuto per questa pubblicazione, cosa che ho fatto scrivendo le note di copertina a cui ti riferivi. L’uscita di questa ristampa mi ha reso felice perché sino a qualche tempo fa ero l’unico a chiedere ad Aldo di frugare nel suo archivio di vecchi nastri. A causa della mia insistenza forse qualche volta mi ha persino odiato, ma alla fine credo che anche lui sia contento che alcune delle sue vecchie tracce possano rivivere e non essere dimenticate. L’anno prossimo uscirà “Un Chant D’Amour”, colonna sonora realizzata dai Borghesia per l’unico film (in bianco e nero) diretto da Jean Genet nel 1950. Sarà pubblicata per la prima volta dalla Dark Entries. A tal proposito vorrei ricordare anche alcune connessioni tra i Borghesia e l’Italia: nel repertorio della band ci sono alcune canzoni in lingua italiana visto che la loro città natale, Pola, è molto vicina al confine. Inoltre il primo album ufficiale, “Ljubav Je Hladnija Od Smrti” (ossia “Love Is Colder Than Death”) uscì nel 1985 su un’etichetta italiana, la Totò Alle Prese Coi Dischi.
Nel 2012 ti sei occupato anche del terzo volume di “Ex-Yu Electronica”, una compilation piena zeppa di band completamente avvolte nel mistero.
Zeljko Luketic: Le etichette slovene Subkulturni Azil e Monofonika mi hanno interpellato per una ricerca accurata da trasformare in quella raccolta. Si trattava di un focus sulla musica industrial e sperimentale proveniente dalla Jugoslavia, pubblicata esclusivamente su cassette introvabili. Insomma, materiale puramente underground che non fu mai notato da alcuna etichetta. Il mio intento era creare un crossover tra musica rigorosamente sperimentale ed altra destinata ad audience un po’ più grande, e credo di esserci riuscito. La compilation è stata oggetto di entusiasmanti recensioni ma fu qualcosa che avvenne in seguito a rendermi particolarmente felice. Vladimir Ivkovic, che ha pubblicato parecchi dischi di Rex Ilusivii sulla propria Offen Music, mi ha rivelato che la sua più gradita scoperta fu esattamente il volume che curai io per “Ex-Yu Electronica”. Fu completamente rapito dal brano che scelsi di Rex Ilusivii, “In The Mooncage IV”, da voler pubblicare le restanti tracce su un doppio vinile. Sono entusiasta che il mio lavoro abbia smosso le acque ed ispirato persone stimate come Ivkovic. Sull’LP c’erano anche gli Aporea, una band macedone che ha visto la propria musica incisa su vinile per la prima volta. Sino a quel momento infatti avevano registrato le loro composizioni solo su cassette in edizione limitata, con copertine disegnate a mano ed incise in oro (vero!) da Jovan Culibrk dei NEP. Da questi dettagli emerge il tipo di ricerca che perseguo, si tratta di raccogliere tanti pezzi di storia ed unirli per la prima volta.
Nel 2014 invece è stata la volta di “Electronic Jugoton – Synthetic Music From Yugoslavia 1964-1989”, un’altra compilation che lascia ben trasparire il tuo ammirevole lavoro storico-archivistico.
Zeljko Luketic: “Electronic Jugoton” è stata pubblicata dalla più grossa etichetta della ex Jugoslavia, la Croatia Records, nata dalle ceneri della Jugoton. Lavorare con una casa discografica di questo tipo mi ha garantito accesso ad un repertorio di circa 70.000 master ed una completa libertà di redigere la tracklist. Insomma, un sogno per chiunque debba assemblare una compilation. Ho voluto includere anche piccoli intermezzi promozionali, a volte pronunciati da bambini. Inizialmente i dirigenti dell’etichetta pensarono che fosse un’idea fallimentare ma ho insistito e sono riuscito a spuntarla. Questa “follia” ha fatto nascere un piccolo trend locale visto che i DJ del posto stanno iniziando ad inserire vecchie canzoni per bambini nei loro set. L’etichetta è molto contenta del risultato, la compilation vende ancora ed è già alla terza ristampa.
Che mondo era quello della Jugoton?
Zeljko Luketic: Era una casa discografica di dimensioni enormi, senza dubbio la più grande che operava in Jugoslavia. Molte band provenienti da Belgrado si recavano nei suoi studi a Zagabria perché la Jugoton era propensa a pubblicare musica elettronica, considerata ai tempi un esperimento editoriale le cui spese potevano essere coperte senza troppi problemi dagli introiti delle vendite dei dischi rock e pop. Ad eccezione di band come Denis & Denis e Dorian Gray però preferivano non fare grosse tirature. Un “test” per sondare il mercato era rappresentato dai singoli in formato 7″ (da noi detti gergalmente “45 giri”, nda): se le vendite non erano convincenti, all’artista interessato non sarebbe stato concesso incidere un LP. Ai tempi in Jugoslavia c’era persino una speciale commissione che decideva le sorti di una canzone. Quelle ritenute “non buone” sarebbero state messe in vendita nei negozi ad un prezzo maggiore, e ciò accadde in prevalenza ai dischi folk. Per fortuna gran parte della musica elettronica strumentale fu esente da tale “vidimazione”, visto che il verdetto della giuria era strettamente legato ai testi.
Avete mai avuto occasione di entrare in contatto con la scena italiana?
Leri Ahel: Sono cresciuto con radio e televisioni italiane. Tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta qui non c’erano molte emittenti televisive e radiofoniche, avevamo solo due canali tv nazionali e pochissime radio, molto piccole. Gran parte della popolazione di Fiume girava le antenne verso l’Italia in modo da ricevere i vostri segnali ed avere una programmazione più ampia. Io facevo zapping sulla radio sino a quando trovavo qualche pezzo di musica elettronica. Non ricordo i nomi delle emittenti ma mi piacevano molto i programmi mixati dei DJ italiani. A cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta andavo a Trieste e Monfalcone almeno due volte al mese per comprare dischi nuovi. Prima di entrare nell’Unione Europea c’era un limite al numero di oggetti che si potevano “importare”, e non nascondo che qualche volta mi ritrovai a “contrabbandare” dischi con l’aiuto di mia mamma. La polizia di frontiera difficilmente sospettava di un’anziana signora!
Zeljko Luketic: L’italo disco ha influenzato in modo radicale house e techno. A me piace ancora e credo che le sue radici non saranno mai fuori moda. Sono anche un grande amante delle colonne sonore italiane di film gialli ed horror. Brani di Claudio Simonetti dei Goblin e Fabio Frizzi sono fonte d’ispirazione. Infine citerei etichette tipo la fiorentina Contempo Records e gruppi come i Pankow, tra i miei preferiti in assoluto. Recentemente ho apprezzato delle cose realizzate dalla MinimalRome ma potrei fare ancora molti nomi. In Italia c’è tanta buona musica.