Di solito i “virus” scompaginano, cambiano le prospettive, creano panico, disordine e scenari irregolari – e purtroppo da inizio 2020 lo sappiamo bene, no? Ma nel suo piccolo, il “Virus” di Noyz Narcos fa esattamente il contrario. Magari a lui non farebbe e non farà nemmeno piacere sentirselo dire; ma le cose stanno così e, soprattutto – è un bene che stiano così. E’ un complimento, in realtà. Non si può essere incendiari e rivoluzionari tutta la vita, a getto continuo, andando avanti sempre senza prospettiva, in modo quasi ottuso, in un eterno qui&ora nichilista e distruttivo. Ma si può – anzi: si deve – essere consapevoli della propria storia, della propria identità, della propria figura, dei propri valori, di come si inseriscono su scala diacronica (…ovvero: rispetto al passato, nei confronti del presente, in previsione del futuro).
…e questo, quest’ultimo è il “Virus” di Noyz, nell’anno 2021. No: non ci siamo sbagliati. 2021. Perché per noi questo è l’ultimo grande di disco hip hop italiano dell’anno passato, non il primo disco importante del 2022. Completa cioè la tetralogia composta dai lavori di Marra, Salmo, Gué – perché il 2021 è nitidamente l’anno in cui i quarantenni sono tornati a dettare legge, ad essere “i” punti di riferimento della faccenda, dopo anni – successivi alla grande ventata di novità ormai storicizzata da tutti all’anno 2016 – in cui le cose erano cambiate, la scena se la prendevano i ventenni, e i numeri (metaforici e reali) parevano averli solo loro.
Col cazzo. Per fortuna l’hip hop si è salvato dal destino di essere solo una musica per giovani teen-o-poco-più che vogliono la mimesi dopata di hype del momento, ed è tornato ad essere una espressione a tutto tondo, come è sempre stato nei suoi momenti migliori. Il paradosso è che i momenti migliori raramente hanno coinciso coi numeri migliori nel mercato “normale” (ricordiamocelo: “SxM” fu un flop), ma questo è solo un monito come il rap, nel DNA, non è pop. Può capitargli di fare numeri da pop e oltre – e ben venga – ma il suo DNA originario è diverso. Ed ogni tanto deve farci ritorno, se vuole mantenere la consistenza.
Attenzione, però: questo non significa “il 2016 è stato merda, mo’ mettiamocelo alle spalle”. E certi commenti che abbiamo visto in rete – che deridevano la presenza di Sfera e Plaza in “Virus” – sono solo la dimostrazione che anche fra i fautori del rap non-per-ventenni la chiusura mentale sa ancora regnare sovrana. La verità è che l’intervento di Sfera è ottimo, quello di Capo Plaza più che appropriato e, stando sempre sui giovani, Geolier ha tirato fuori un featuring me-ra-vi-glio-so, breve sì ma stilosissimo (più di Speranza, sempre d’impatto ma non sempre a fuoco in “Money Bagz”). Proprio in questo si può vedere la grandezza di Noyz: la sua cifra stilistica e il suo immaginario possono attraversare indenni la già citata prima “scala diacronica”: sono talmente forti e potenti da poter suonare bene nel 2008 così come nel 2021, pardon, 2022, più tutto quello che ci sta in mezzo.
Non ha la forza di “Monster”, “Virus”, non ha nemmeno una “Sinnò me moro” come invece c’era in “Enemy”. Ma è comunque a pieno titolo il quarto-grande-disco-del-2021. Lo diciamo a chiare lettere. Magari è il meno efficace dei quattro (nostra classifica: Marra, Salmo, Gué, Noyz), ma è comunque uno statement importante. Maturo, rotondo, con una identità sonora precisa (Night Skinny sempre di una bravura e di un gusto eccelsi, ma note di merito a Sine per i due beat “rallentati” davvero d’effetto, soprattutto la title track), e con Noyz che non spinge mai inutilmente sull’acceleratore, non fingendo così di essere il ventenne incazzato ed allucinato che non è più ma adottando, invece, un tono più compassato e calibrato da narratore, da carismatico testimone oculare di vita vera&vissuta&intensa.
(Eccolo, “Virus”; continua sotto)
Fuori i difetti di “Virus”: è troppo lungo (era meglio qualche traccia in meno, dopo un po’ la sensazione è che sia sia allungata un po’ la minestra); i featuring di Cam’ron e Raekwon sono figurine ingiallite, mettono più malinconia che prestigio; manca di qualche picco memorabile (come già detto, non c’è una “Sinnò me moro”, non a caso citata all’inizio, quasi con nostalgia e consapevolezza della sua assenza); Luché nella sua strofa poteva far decisamente meglio. Ma fuori anche i pregi: ha un abito sonoro coerente, di classe e ben delineato (e qui grazie all’ondata 2016 ed all’effetto Charlie Charles & co., che ha messo fine ai dischi patchwork con un producer preso di qua e uno di là, come se fossero prugne al mercato); Noyz non sbaglia una traccia che sia una, come flow, anche ora che è meno adrenalinico e macchina-da-rime; Franco 126 dà un valore aggiunto enorme, in “Virus” fa capire davvero qual è il suo fascino, nel momento in cui esce dal luogocomunismo indie e si (ri)butta nel tremendismo dell’hip hop scuro e malato; di Geolier già detto; “Verano Zombie pt. 3”, contrariamente a quanto letto in giro, è degnissima, e la strofa di Metal Carter – per quanto palesemente aggiustatissima ritmicamente per farla star dritta – è davvero spassosa ed efficace; Coez caccia un gran bell’intervento in “Spine”, e Gué con “La tua musica tocca i bambini come i preti” tira fuori la frase più memorabile e corrosiva del quinquennio.
Riflettendo su tutto l’album e tutta l’operazione, ci sono alcune cose che mancano. Una, già detta: il coraggio di asciugare un po’ la tracklist (…sì, la sappiamo l’utilità strategica di avere album con tante tracce, ai tempi dello streaming, va bene, va bene; ma Marra ha sbancato tutto facendo un disco ragionevolmente compatto, e allora come la mettiamo?). La seconda, anche questa già detta: una o due tracce che siano davvero memorabili, ma è una mancanza relativa, visto che il livello medio è alto e non ci sono filler. La terza, quella molto più importante: Noyz non ha mai realmente lasciato Roma. Milano gli ha dato capacità di messa a fuoco del proprio talento, coesione, professionalità, sicurezza in se stesso e nel proprio stile; ma non è in alcun modo entrata nel suo immaginario, nelle sue narrazioni, nella sua capacità chirurgica, meravigliosa e dolorosa di analizzare le cose. Milano non esiste, nel mondo lirico di Noyz, se non per brevi accenni sbrigativi e poco approfonditi. Ed è un peccato, perché il cielo sa quanto Milano in questi anni ’20 avrebbe bisogno di una voce intensa e spietata come la sua, per farsi fotografare da essa (e riflettere quindi su se stessa un po’ di più, invece di celebrarsi e basta).
La malelingue dicono sempre più: “Noyz continua da anni a fare sempre lo stesso pezzo”. Onestamente? Sta diventando vero. Però lo fa così bene che non puoi dirgli niente, lo fa in modo così sincero e non paraculo che non puoi fargli mezza critica davvero cattiva, lo fa in modo così intelligente ed onesto che non vieni mai sfiorato dal sospetto lo stia facendo per allungare il brodo (a meno che tu non sia prevenuto contro di lui; ma quello allora è un altro discorso). Però sì, sono anni che sta a Milano ma la metropoli lombarda – e la fauna che la abita – non è ancora riuscita ad “entrare” nel suo mondo, rinnovando temi e visuali. Sì: NN avrebbe bisogno di un suo personalissimo “Noi, loro, gli altri” che lo porti a confrontarsi col mondo in modo sfaccettato, mettendolo e mettendosi in discussione.
Ma già così, “Virus” è un disco bello, solido, importante. Un disco che riporta l’hip hop lì dove deve stare: nella capacità di analizzare la realtà con uno sguardo critico e molto personale, non nella voglia di assecondarla per poi contare i dischi d’oro farlocchi e le stats sugli streaming; e nella sfera di una galassia estetica ben definita e ben riconoscibile, non nella scuderia di un’indie-pop innocuo ed a favore di ventenne che “…a me la musica piace tutta”. Nel fare questo, non fa la mossa da boomer che solo-gli-anni-’90 (anche se Skinny si diverte a fare un sacco di citazioni anni ’90, con la solita intelligenza e la solita capacità di renderle attuali e “vive”), ma ha la maturità e la sensibilità di incorporare anche tutto ciò di buono che è arrivato con la grande ventata di novità del 2016, come suoni, come flow, come attenzione allo Zeitgeist. Insomma, come dicevamo all’inizio non è un “Virus” che scompagina e scompone ed infetta, ma è un “Virus” che rimette le cose al loro posto e la sa comporre in modo coerente, confrontandosi sia col passato che col presente – e con la capacità di durare ben bene nel tempo, quindi nel futuro. Promosso a pieni voti. Non pienissimi, ma pieni sì. Ogni tanto, il vero “Virus” è quello che torna a parlare al tuo sistema immunitario risvegliandolo e rafforzandolo, non quello che lo distrugge.