Abbiamo parlato tanto di festival in questi anni, d’estate poi ancora di più, ve ne siete accorti: ormai siamo diventati una nazione che ne ha tanti, di eventi qualitativi. Tantissimi. Forse anche troppi, a dirla tutta, come più volte abbiamo accennato in tempi recenti, a costo di passar per gufi, stronzi e guastafeste: perché organizzare festival non deve diventare un’ossessione, una moda, ma deve semmai essere un processo naturale ed organico dove si capisce che – come in tutte le cose naturali ed organiche – le cose possono anche andare male o malino, dove si capisce che si può anche decidere di fermarsi, decidere di rinunciare e darci un taglio se le cose non ingranano davvero senza per questo sentirsi dei “falliti”, oppure – altra casistica importante – se si ha l’impressione che si inizia ad essere ostaggio delle agenzie di booking (che a loro volta spesso sono ostaggio dei management degli artisti…) perché senza di loro non si ha accesso a nomi che “funzionino” – però allora la domanda da farsi è se stai facendo festival per te e la tua comunità, o per il fatturato dell’agenzia e/o dell’artista di turno.
Organizzare festival non deve diventare un’ossessione, una moda, ma deve semmai essere un processo naturale ed organico dove si capisce che le cose possono anche andare male o malino, dove si capisce che si può anche decidere di fermarsi, decidere di rinunciare e darci un taglio se le cose non ingranano davvero
Ora iniziano ad esserci anche le istituzioni che vengono in aiuto: il lavoro pluriennale di Puglia Sounds, ovvero un progetto nato con soldi pubblici, ha reso la Puglia la miglior regione italiana in fatto di festival estivi. Cosa che non è solo un titolo onorifico, ma significa nel suo concreto molte cose importanti: più professionalizzazione, più occasioni di lavoro, più interscambio culturale con altre zone d’Italia e del mondo, più forza e nitidezza nel racconto dell’attrattività turistica locale (vedi l’hashtag #weareinpuglia). Non tutto è perfetto, ci mancherebbe, e l’appello a non cadere nella “festivalite” vale anche per la Puglia, che parliamoci chiaro non è un El Dorado dove se d’estate organizzi qualcosa ci guadagni di sicuro ed offri un’esperienza stupenderrima al tuo pubblico, e non è nemmeno un posto esente da errori, sprechi, scelte fuori fuoco dettate da un eccesso d’ambizione. Così come non è una regione che è riuscita a raggiungere in modo significativo il traguardo della destagionalizzazione: ad esempio è ineccattabile che il Salento in estate sia un incrocio tra Berlino, New York ed Amsterdam, mentre in inverno un mezzo obitorio e/o un posto dove è difficilissimo fare le cose, come ben sa ad esempio chi ha provato a mettere su dei club invernali di livello a Lecce, vedi alla voce Womb.
Ci sono tre storie che ci hanno colpito per tre motivi diversi di cui vi vorremmo parlare qui. Non sono marchette per i tre festival in questione, non è un “piccolo spazio pubblicità” parafrasando Vasco Rossi: è che ci sembrano tre segnali interessanti e significativi. Il primo, il più grosso ed interessante, lo lancia Farm Festival:
Farm è abbastanza ormai un veterano nel panorama dei festival estivi pugliesi, ma si è sempre differenziato per essere attento prima di tutto al pubblico locale, non nasce insomma come “attrattore ad ampio raggio” ma nel momento in cui nasce, cresce e si costruisce ha in mente il pubblico di casa propria, il far crescere una scena di casa propria invece di sperare solo ed unicamente nella Santa Estate Che Porta I Turisti Che Fanno Da Pubblico Esperto Internazionale E Progressista, perché sennò ci stanno solo i bifolchi che ascoltano Al Bano. Quest’idea di creare una data dalla line up “segreta” (…segreta per davvero: sul serio lo sanno in pochissimi, ad oggi) non è nelle loro intenzioni solo un trick promozionale per far parlare di sé, come si legge dalla didascalia del post riportato sopra – l’avete letta? – c’è un preciso ed importante ragionamento dietro. Quanta presa farà questo ragionamento sul pubblico? Quanti biglietti venderà quella serata? Perché è facile ululare alla luna e prendersela coi concerti che costano troppo, con le agenzie e i management sempre più esigenti, è il classico “lamento contro i potenti” che fa sempre presa. Ma se poi nei fatti il pubblico premia sempre i soliti nomi, allora i “potenti” fanno bene a comportarsi come si comportano, bullizzando il mercato (…altrimenti tanto vale tornare ad Al Bano). Vediamo come andrà questo esperimento di Farm. Sarebbe importantissimo esserci. Se siete in zona, supportate.
Un festival è (anche) un intreccio di identità, di amicizie, di senso d’appartenenza. Non è solo questione di quale line up metti in campo
Un altro esempio che vogliamo fare è quello della tigna. Della voglia di crederci, di non mollare mai, ma non a costo di snaturare se stessi. Ecco, in questo Fuck Normality è esemplare al mille per mille. Parliamo di un festival che c’è da anni e che è entrato subito nel nostro cuore perché è stato uno dei primi a ribellarsi alla Puglia festivaliera come creatura eminentemente “turistica”, con cocciutaggine, con decisione, ricreando un’atmosfera che sa di comunità vera, resistente. Quest’anno fino a poche settimane fa, anzi, pochi giorni fa non avevamo avuto notizie di una edizione 2025, e temevamo che si fossero arresi, che il loro voler essere rigidamente artigianali e comunitari li avesse portati a soccombere in un ecosistema dove o giochi a fare il cinico e freddo professionista o non hai più posto a tavola. Invece, Fuck Normality c’è. Con la sua solita bella identità grafica, con una line up che solo a leggerla capisci subito che è Fuck Normality, con la solita cerchia di fiancheggiatori armati di sorriso che potrebbero benissimo non stare accanto ad un vascello nato piccolo per vocazione, ma invece sono sempre lì, sempre pronti a dare una mano. Un festival è (anche) un intreccio di identità, di amicizie, di senso d’appartenenza. Non è solo questione di quale line up metti in campo. E lo puoi fare un festival anche se sai che non ci guadagnerai tantissimo, lavorando su scale piccole, e anche perché non puoi ma soprattutto non vuoi entrare nel gioco al massacro delle aste e dei rialzi.
L’esempio finale è quello di Colligo. Che ha un cartellone molto interessante (così come particolarmente interessante ed atipico era quello di Secolare, volevamo segnalarlo per tempo ma purtroppo certe volte gli eventi ti travolgono e non riesce a pubblicare tutto quello che vorresti pubblicare), ma che soprattutto ci colpisce per un elemento in più: le date. Parlavamo prima di come fosse necessario destagionalizzare. Gravina non è il Salento, dove lo squilibrio tra estate e le altre stagioni dell’anno è deprimente (lo sa bene chi ha provato a fare club invernali di un certo livello a Lecce), ma che un festival estivo pugliese “interessante” di quelli che piacciono a noi si svolga a settembre e non a luglio od agosto è un segnale bello bello. Agosto è diventato quasi irreale in Puglia per la quantità di cose che mirano alto per quantità e qualità (si è appena spento Viva dopo un’edizione di grandissimo successo con numeri mai fatti in precedenza, inizia ora nelle stesse zone la lunga e strepitosa settimana di Locus, con delle cose meravigliosa anche per gli estimatori di nicchia – vedi il ritorno dei Galliano l’8 agosto per giunta ad ingresso gratuito; arriva poi Panorama coi suoi mega-nomi; c’è Cinzella con un validissimo programma di robe live per tutti, giovani & attempati; ci sono altre cose ancora), ma settembre è quasi sempre stato il mese in cui i turisti se ne tornavano al nord e allora, beh, era inutile provare a fare qualcosa. Colligo ci prova, invece. Con scelte belle e sofisticate, con un indirizzo artistico delineato. Cose che costano: soldi, sforzi, rischi, rapporti. Ma se il tutto prende piede, se settembre non è più “terra di nessuno”, se si dimostra puoi fare cose significative anche se non cavalchi i maggiori flussi turistici, lanci un segnale benefico, un segnale fondamentale.